Un recente documento della European Society of Cardiology (ESC) e della European Society of Hypertension (ESH) ha rivisto i criteri per la definizione delle cosiddette “crisi ipertensive”, stabilendo che siano denominate “urgenze ipertensive” quelle condizioni caratterizzate da un aumento marcato dei valori pressori (oltre 180/110 mmHg) in assenza di segni acuti di danno d’organo, mentre siano denominate “emergenze ipertensive” le condizioni in cui l’aumento dei valori pressori sia associato alla comparsa di segni acuti di danno d’organo. In quest’ultimo caso, le manifestazioni cliniche possono comprendere sindromi coronariche acute, ictus o emorragia cerebrale, dissecazione aortica e insufficienza renale acuta.
Indipendentemente dalla definizione, i ricoveri presso il pronto soccorso riconducibili all’ipertensione arteriosa sono in constante aumento anche in Italia. Tale aumento comporta non solo l’occupazione del posto letto in area critica, ma anche un notevole impiego di risorse economico-sanitarie per gli accertamenti diagnostici e l’ottimizzazione terapeutica di questa tipologia di pazienti. Sulla base di tali considerazioni, l’identificazione di fattori potenzialmente in grado di predire l’accesso in pronto soccorso per urgenza/emergenza ipertensiva è rilevante al fine di contenere la spesa sanitaria e ridurre il numero di ospedalizzazioni per ipertensione. Tra questi il sesso femminile, l’obesità, la presenza di cardiopatia ipertensiva o ischemica, l’impiego di terapie farmacologiche complesse (politerapia) e l’abuso di sostanze stimolanti o di farmaci anti-infiammatori o cortisonici.
Un recente studio ha sottolineato l’importanza di un altro elemento coinvolto nello sviluppo di urgenze/emergenze ipertensive. Tale studio ha valutato l’aderenza al trattamento farmacologico prescritto mediante determinazione diretta sul campione delle urine in una coorte di 100 pazienti ipertesi trattati afferenti al pronto soccorso per “crisi ipertensiva” (16 con emergenza ipertensiva, e 84 con urgenza ipertensiva) nel periodo compreso tra ottobre 2014 e giugno 2015. Tra i pazienti in cui è stato possibile eseguire correttamente l’esame delle urine (n=62), il 24% è risultato essere non aderente alla terapia e il 36% parzialmente aderente alla terapia farmacologica prescritta. Oltre la metà dei soggetti che si sono rivolti al pronto soccorso a causa dell’ipertensione arteriosa è risultata quindi non aderente alla terapia farmacologica antipertensiva. Fattori correlati alla non aderenza sono risultati essere una storia di ipertensione di più lunga data, un numero maggiore di compresse ed un numero maggiore di farmaci.
Sebbene lo studio abbia incluso un numero relativamente ridotto di pazienti, fornisce ugualmente alcuni spunti interessanti di riflessione sulla necessità di mantenere nel tempo un efficace controllo dei valori pressori entro i limiti raccomandati attraverso la semplificazione del trattamento farmacologico antipertensivo e l’uso sempre più esteso di terapie di associazione in singola pillola, come raccomandato dalle recenti linee guida ESC/ESH 2018 sull’ipertensione arteriosa.
J Clin Hypertens (IF=2.629) 21:55,2019