Da Chiara Pavanello
Abbiamo giá visto come l’inibizione di PCSK9, mediante evolocumab e alirocumab consenta di ottenere riduzioni del colesterolo LDL anche superiori al 60%. Quanto questo effettivamente si traduca in una minor incidenza di eventi cardiovascolari è stato però solo parzialmente dimostrato. Gli studi randomizzati e controllati OSLER (con evolocumab) e ODYSSEY LONG-TERM (con alirocumab) avevano calcolato, in una prima analisi esplorativa, una riduzione superiore al 45% rispetto a placebo di tutti gli eventi cardiovascolari dopo un follow-up medio di 65 settimane. Lo studio GLAGOV aveva invece dimostrato l’efficacia di evolocumab nel ridurre dello 0.95% (rispetto ad un peggioramento dello 0.05% con placebo) il volume della placca aterosclerotica, misurata mediante ultrasonografia intravascolare e indicatore surrogato del rischio cardiovascolare.
Finalmente, il 17 marzo sono stati presentati al congresso annuale dell’American College of Cardiology e contemporaneamente pubblicati sul New England Journal of Medicine, i risultati dello studio FOURIER, disegnato per valutare l’efficacia di evolocumab nel ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari in soggetti ad elevato rischio (soggetti giá con infarto del miocardio, ictus ischemico o arteriopatia periferica). Il trial, uno dei più grandi mai condotti, della durata di circa 2 anni, ha incluso più di 27000 pazienti con malattia cardiovascolare. Metá dei soggetti ha assunto l’inibitore di PCSK9, mentre l’altra metá ha assunto placebo. Entrambi in associazione a una terapia ipolipidemizzante standard ottimizzata. L’aggiunta dell’inibitore di PCSK9 ha prodotto una riduzione del 27% del rischio di infarto miocardico e del 21% di ictus, senza però alcun effetto sulla mortalitá totale. L’effetto positivo era già visibile dopo un anno di terapia e indipendente dalla posologia del trattamento e dal valore basale di colesterolo LDL. Dobbiamo invece attendere ancora un anno per conoscere l’effetto sugli endpoint cardiovascolari dei 18000 pazienti inclusi nel trial con alirocumab, l’altro inibitore di PCSK9.