La celiachia o “malattia celiaca” è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino tenue scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Il glutine è la frazione proteica alcol-solubile di alcuni cereali, come frumento, orzo e segale. In Italia si stimano circa 600.000 pazienti celiaci, pari all’1% della popolazione, ma i diagnosticati ad oggi sono appena 190.000. L’unica terapia disponibile per la celiachia consiste in una dieta senza glutine (gluten-free diet), che va mantenuta con rigore per tutta la vita.
In anni recenti mangiare cibi senza glutine, facilmente reperibili sul mercato, è diventato relativamente comune anche tra individui non affetti dalla malattia, convinti che sia “più sano” o che possa contribuire a rimanere in buona salute. Sono circa 6 milioni gli italiani che consumano regolarmente cibi senza glutine pur non essendo malati, spendendo così ogni anno 105 milioni di euro nell’acquisto di cibi a loro non necessari.
Tuttavia non esistono evidenze scientifiche a dimostrazione dei presunti benefici per la salute di una dieta “gluten-free” se non si è celiaci. Uno studio della Columbia University di New York, appena pubblicato sul British Medical Journal, ha analizzato i dati di 65000 donne e 45000 uomini non celiaci, seguiti tra il 1986 e il 2010, e divisi in cinque gruppi a seconda del consumo stimato di glutine. La ricerca ha dimostrato che l’esclusione del glutine dall’alimentazione non produce alcun beneficio sul rischio cardiovascolare. Peraltro, i cibi senza glutine hanno generalmente un indice glicemico maggiore, e quindi favoriscono l’innalzamento della glicemia, e cibarsi di alimenti senza glutine esclude dall’alimentazione cereali potenzialmente benefici per il sistema cardiovascolare. Quindi, in chi non è celiaco l’esclusione del glutine è inutile, o addirittura potenzialmente pericolosa.
BMJ (IF=20.785) 357:j1892, 2017.