Canakinumab è un anticorpo monoclonale diretto contro l’interleuchina IL-1beta (ne abbiamo parlato ieri), che agisce bloccandone le attività biologiche; non riconosce la forma IL-1alfa. Ha un’emivita relativamente lunga, tanto da venir somministrato per via sottocutanea una volta ogni 3 settimane. È approvato dall’EMEA e dall’FDA per il trattamento di alcune malattie infiammatorie rare, come la sindrome di Muckle-Wells, la malattia infiammatoria multisistemica a esordio neonatale, gravi forme di sindrome familiare autoinfiammatoria da freddo, la sindrome periodica associata al recettore del fattore di necrosi tumorale, e la sindrome da iperimmunoglobulinemia D.
Sulla base di un coinvolgimento dell’IL-1beta nell’aterogenesi e nell’insorgenza di eventi cardiovascolari, è stato condotto, e da poco terminato, lo studio CANTOS (Canakinumab ANti-inflammatory Thrombosis Outcome Study), in più di 10000 individui sopravvissuti a un infarto miocardico, sottoposti alle comuni terapie indicate in prevenzione secondaria (statine ad alte dosi, aspirina e altri antiaggreganti, beta-bloccanti, anti-RAAS…). I pazienti arruolati presentavano uno stato infiammatorio cronico, dimostrato da livelli di proteina C reattiva (hsCRP) > 2.0 mg/L, e sono stati trattati con 3 diverse dosi (50 mg, 150 mg o 300 mg) di canakinumab ogni 3 mesi. Dopo 4 anni di trattamento le tre diverse dosi di canakinumab hanno ridotto i livelli di hsCRP del 26%, 37% e 41%; canakinumab non ha prodotto alcuna variazione nei livelli di lipidi circolanti. La dose più bassa (50 mg) non ha prodotto effetti sugli eventi cardiovascolari (una combinazione di infarto o stroke non fatale e morte cardiovascolare), che invece sono diminuiti del 15% e 14% con le dosi più elevate.
Non mancano però le ombre. Innanzitutto l’efficacia non è correlata alla dose somministrata. Curiosamente la somministrazione di canakinumab ha aumentato le infezioni fatali; e non è variata la mortalità totale.
New Engl J Med (IF=72.406) 377:1119, 2017