I ricercatori del NCD Risk Factor Collaboration (NCD-RisC), coordinati dalla School of Public Health dell’Imperial College di Londra, hanno condotto un’analisi sulla variazione dei livelli plasmatici di colesterolo “non-HDL” (colesterolo totale – colesterolo-HDL; un valore che corrisponde grossolanamente al colesterolo-LDL, difficile da misurare su grandi numeri) dal 1980 al 2018 in 200 Paesi. Si tratta di dati relativi a 102,6 milioni di individui. I ricercatori hanno riscontrato che nel mondo Occidentale, a partire dagli anni ’80, i livelli di colesterolo non-HDL hanno incominciato a diminuire, grazie, secondo gli autori della ricerca, a cambiamenti nell’alimentazione, specialmente la sostituzione dei grassi saturi con insaturi e la riduzione dei grassi trans, e più tardi all’uso su larga scala delle statine. In contrasto con quanto osservato nei Paesi occidentali, i livelli di colesterolo non-HDL sono aumentati nell’Est e Sud-Est dell’Asia, e in Africa, dove il consumo di cibo animale, carboidrati raffinati e olio di palma è aumentato, e l’utilizzo delle statine rimane basso.
In Italia, la riduzione del colesterolo non-HDL è stata meno pronunciata di quella osservata nei Paesi del nord Europa, e di conseguenza i livelli sono oggi più alti che in molti Paesi nord-Europei (Belgio, Svezia, Germania, Finlandia, Danimarca, Regno Unito). Nel 1980 i livelli di colesterolo non-HDL nelle donne italiane erano i 30° più alti del mondo e i 24° più alti d’Europa; nel 2018, erano gli 80° più alti nel mondo e i 22° più alti in Europa. Nei maschi, nel 1980 i livelli di colesterolo non-HDL erano i 21° più alti del mondo e i 18° più alti d’Europa; nel 2018, erano i 43° più alti nel mondo e i 21° più alti in Europa.
Nature (IF=42.778) 582:73,2020. doi: 10.1038/s41586-020-2338-1.