RIGIDITÀ ARTERIOSA, FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE E DANNO D’ORGANO

La rigidità arteriosa viene accentuata, oltre che dall’età e dalla pressione arteriosa (come abbiamo visto nei mesi scorsi; ricordo che gli articoli precedenti sono indicizzati sul sito web del Centro, www.centrogrossipaoletti.org), dal diabete mellito, dalla sindrome metabolica, e dall’obesità viscerale. Numerosi meccanismi sono stati proposti per queste associazioni, tra i quali la produzione da parte del grasso viscerale di numerose citochine (quali interleuchina-6, inibitore dell’attivatore del plasminogeno e leptina) e acidi grassi liberi, tutti responsabili di disfunzione endoteliale, che a sua volta è uno dei meccanismi alla base della rigidità arteriosa. La PWV aortica si correla inoltre con la presenza di danno d’organo a carico di altri distretti, quali l’ipertrofia concentrica e la disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, la microalbuminuria e la disfunzione renale. Un elenco delle condizioni che sono state associate a un aumento della rigidità arteriosa è riportato nella Tabella.

In questi ultimi anni vi è stato un crescente interesse nei confronti della rigidità arteriosa quale indicatore precoce di coinvolgimento vascolare in una serie di condizioni cliniche che costituiscono altrettanti fattori emergenti di rischio cardiovascolare, quali l’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV), le patologie infiammatorie croniche e l’emicrania.
L’infezione da HIV e la conseguente AIDS si sono trasformate da malattia rapidamente mortale in patologia a decorso cronico non guaribile ma curabile dopo l’introduzione nella pratica clinica, a metà degli anni ’90 del secolo scorso, delle potenti terapie antiretrovirali di combinazione. L’aumentata aspettativa di vita comporta la comparsa di condizioni patologiche e danni organici fisiologicamente legati all’invecchiamento, che si sovrappongono alle complicanze tardive della terapia antiretrovirale, in particolare le alterazioni metaboliche e il rischio cardiovascolare. La terapia con farmaci antiretrovirali, in particolare con inibitori delle proteasi, si accompagna ad alterazioni metaboliche (dislipidemia, insulino-resistenza, disfunzione endoteliale), che si riflettono in un aumento della rigidità arteriosa. Recenti dati suggeriscono che anche l’infezione da HIV di per sé possa avere un effetto indipendente sfavorevole sullo sviluppo della malattia aterosclerotica e sulla rigidità arteriosa.

Le malattie infiammatorie croniche, come l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso sistemico, si accompagnano a un’aumentata incidenza di malattie cardiovascolari. Un indicatore pre-clinico di tale tendenza è costituito dalla rigidità arteriosa, che risulta precocemente aumentata in entrambe le malattie. Più in generale, la condizione di infiammazione cronica sub-clinica che si associa alla presenza di diversi fattori di rischio cardiovascolare ed è misurata dai valori di proteina C-reattiva ad alta sensibilità, si accompagna a un’aumentata rigidità arteriosa.

L’emicrania, patologia cronica che interessa oltre il 10% della popolazione, è associata a un aumento del rischio di ictus cerebrale ischemico e di altre complicanze cardiovascolari (angina pectoris, infarto miocardico, morte per cause cardiovascolari), per meccanismi non del tutto chiariti. Anch’essa si accompagna a un’aumentata rigidità arteriosa, suggerendo l’esistenza di un coinvolgimento vascolare sistemico nell’emicrania, che può costituire un meccanismo alla base dell’aumentato rischio cardiovascolare nei soggetti affetti.

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