OBESITÀ E RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Che l’aumento di peso corporeo sia un fattore di rischio per l’insorgenza di eventi cardiovascolari è accertato da tempo. Ricercatori coreani hanno condotto una “revisione a ombrello” (umbrella review) per definire se esista una relazione causale tra incremento dell’adiposità e rischio di malattie cardiovascolari o mortalità. Le “revisioni a ombrello” analizzano i risultati di precedenti rassegne e meta-analisi, consentendo di verificare associazioni e relazioni causali tra un parametro ed eventi multipli (per. es. adiposità e tutti i possibili eventi cardiovascolari), ponendosi così a un livello più alto della ricerca scientifica; le meta-analisi, invece, analizzano le relazioni tra un parametro e un singolo end-point clinico. I ricercatori coreani hanno selezionato studi osservazionali e di randomizzazione mendeliana (RM), che valutavano l’associazione tra BMI e rischio cardiovascolare o mortalità: 12 revisioni sistematiche, 53 metanalisi (che includevano 501 studi) e 12 studi di RM.
Un aumento del BMI si associa a un maggiore rischio di malattie coronariche, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, stroke, ictus emorragico, ipertensione arteriosa, stenosi della valvola aortica, embolia polmonare, tromboembolismo venoso, mortalità cardiovascolare e mortalità totale. Ogni aumento del BMI di 5kg/m2 si associa a un aumento degli eventi che va dal 10% per l’ictus emorragico (RR=1.10; 95%CI 1.01-1.21) al 49% per l’ipertensione (RR 1.49; 95%CI 1.40-1.60). L’analisi degli studi di RM dimostra un effetto causale dell’obesità su tutti gli end-points cardiovascolari, eccetto lo stroke; non dimostra invece un effetto causale dell’obesità sulla mortalità totale.

Eur Heart J (IF=29.983) 42:3388,2021. doi: 10.1093/eurheartj/ehab454.

COMPLICANZE A LUNGO TERMINE DEL DIABETE MELLITO DI TIPO 2 A INSORGENZA GIOVANILE

L’incidenza del diabete mellito di tipo 2 a esordio giovanile è aumentata parallelamente all’aumento del numero di bambini con obesità; negli Stati Uniti del 4,8% all’anno nel periodo dal 2002 al 2012. I processi patologici associati al diabete, compreso lo sviluppo di insulino-resistenza e il deterioramento della funzione delle cellule beta pancreatiche, progrediscono più rapidamente nel diabete di tipo 2 a esordio giovanile rispetto a quello dell’età adulta, aumentando il rischio di complicanze precoci.
I ricercatori dello studio TODAY hanno recentemente pubblicato i risultati del follow-up (dal 2011 al 2020) su 500 partecipanti (età 26,4±2,8 anni; tempo medio dalla diagnosi di diabete 13,3±1,8 anni).
L’incidenza cumulativa di ipertensione e dislipidemia è stata del 67,5% e del 51,6%. L’incidenza di malattia renale diabetica e neuropatia è stata del 54,8% e del 32,4%. La prevalenza di malattia retinica, comprese le fasi più avanzate, è stata del 13,7% nel periodo 2010-2011 e del 51,0% nel periodo 2017-2018. Il 60,1% dei partecipanti ha presentato almeno una complicanza, il 28,4% almeno due complicanze.
New Engl J Med (IF=91.253) 385:416,2021. DOI: 10.1056/NEJMoa2100165

LO STUDIO ITALIANO “SAVE YOUR HEART”

Il forte impatto della pandemia sui pazienti con malattie cardiovascolari ha creato una situazione delicata e richiede interventi urgenti e coordinati tra i vari attori del SSN. Questo è lo scenario emerso da “Save Your Heart”, campagna di screening promossa dal Gruppo Servier in Italia, in collaborazione con la Società Italiana di Farmacia Clinica (SIFAC) e con il patrocinio della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA), della Società Italiana per lo studio dell’Aterosclerosi (SISA) e Conacuore Onlus.
Save Your Heart è uno studio osservazionale condotto nel periodo maggio-luglio 2021 in 21 farmacie di comunità presenti in 15 regioni italiane, con l’obiettivo di indagare i fattori di rischio cardiovascolare non diagnosticati e/o non controllati in soggetti ipertesi in trattamento antipertensivo e intercettare i pazienti che sottovalutano o ignorano le possibili conseguenze a cui sono esposti. Lo screening ha coinvolto oltre 500 pazienti di età superiore o uguale a 50 anni, di entrambi i sessi, disponibili a effettuare in autoanalisi la misurazione di pressione arteriosa, profilo lipidico (colesterolo totale, colesterolo HDL e colesterolo LDL) e glicemia, nonché la compilazione di un questionario sull’aderenza alle terapie in corso.
I risultati dello screening sono allarmanti. Il 68% dei partecipanti non raggiunge valori pressori accettabili. Il 59% dei partecipanti trattati per ipercolesterolemia non raggiunge i valori-target di colesterolo-LDL, mentre il 72% di chi ha dichiarato di non essere ipercolesterolemico presenta valori di colesterolo-LDL superiori a quelli raccomandati dalle linee guida. Il 69% degli ipertesi diabetici non ha un buon controllo della glicemia e nel 31% di coloro che hanno dichiarato di non essere diabetici (~85% del campione), sono stati riscontrati valori di glicemia tipici degli stati prediabete-diabete. Un’ulteriore criticità viene dal fatto che quasi la metà dei partecipanti (49%) ha un rischio alto o molto alto di andare incontro a un evento cardiovascolare fatale a 10 anni. Infine, oltre il 40% dei pazienti è risultato solo parzialmente aderente alle terapie antipertensive, condizionando l’efficacia dei trattamenti stessi e contribuendo così al mancato controllo dei valori pressori.
Questi numeri confermano la necessità di individuare un nuovo approccio clinico per identificare e trattare in maniera efficace i soggetti ipertesi, al fine di evitare possibili conseguenze cardiovascolari a medio e lungo termine, quali ictus cerebrale e infarto del miocardio.

LA GESTIONE DELL’IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE OMOZIGOTE: IL REPORT DEL CONSORZIO GLOBALE HICC

L’ipercolesterolemia familiare omozigote (HoFH) è una malattia genetica rara che causa elevati livelli di colesterolo LDL (LDL-C) e conseguente malattia cardiovascolare precoce. I dati di prognosi e le indicazioni attualmente disponibili per la gestione della patologia sono limitati a piccoli studi, per lo più condotti in Paesi ad alto reddito.
Per una valutazione contemporanea e sistematica delle caratteristiche, della diagnosi, del trattamento e degli outcome di questa patologia su scala globale, nel 2016 è nato il consorzio Homozygous Familial Hypercholesterolemia International Clinical Collaborators (HICC), che conta clinici e ricercatori coinvolti nella gestione di HoFH di 88 centri, tra cui anche il nostro Centro, in 38 Paesi diversi. L’HICC ha dato il via alla più grande raccolta retrospettiva su HoFH finora pubblicata, collezionando i dati di 751 pazienti.
La principale osservazione emersa dallo studio, pubblicato il 27 gennaio di quest’anno su The Lancet, è la grande disparità sanitaria tra Paesi nella gestione dell’HoFH. I pazienti provenienti da Paesi a basso reddito presentavano un quadro clinico più grave alla diagnosi, con livelli di LDL-C pretrattamento più elevati ed eventi cardiovascolari più precoci di una decade, rispetto a quelli di Paesi ad alto reddito. Solo il 56% dei pazienti, quasi tutti in Brasile e Sudafrica, ha ricevuto conferma genetica di HoFH, rispetto al 92% dei Paesi più ricchi.
L’utilizzo di farmaci ipolipidemizzanti ha consentito di ridurre i livelli di LDL-C in tutti gli HoFH, ma con riduzioni di quasi tre volte maggiori nei Paesi ad alto reddito, con una conseguente maggior quota di pazienti che raggiungono i target raccomandati dalle linee guida (66% vs 24% dei Paesi a basso reddito). Come emerso dal report, questo divario è legato soprattutto alla disparità di accesso tra i vari Paesi, non solo ai più efficaci farmaci ipolipidemizzanti di ultima generazione (inibitori di PCSK9, lomitapide), ma anche alle classiche terapie di associazione (statina + ezetimibe).
Dal report dell’HICC emerge ancora una volta come l’HoFH sia sottodiagnosticata e sottotrattata. L’utilizzo di terapie ipolipidemizzanti è sicuramente efficace e aumenta la sopravvivenza senza eventi CV, sottolineando l’importanza di una rivalutazione delle politiche sanitarie globali per ridurre le ineguaglianze e migliorare l’outcome di tutti i pazienti HoFH.
Lancet (IF=79.323) 2022 Jan 28:S0140-6736(21)02001-8.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35101175/

A TAVOLA NON SI INVECCHIA! MANGIARE VELOCEMENTE AUMENTA IL RISCHIO DI DISLIPIDEMIA

Ricercatori napoletani confermano il vecchio detto popolare: mangiare lentamente fa bene alla salute. Lo studio ha coinvolto 187 individui (età 43.6±16.0 anni, 62% donne, BMI 31.5±7.5 kg/m2), dei quali sono state registrate le abitudini alimentari e la durata dei pasti. In base alla mediana della durata dei pasti, ciascun individuo è stato categorizzato in due gruppi: mangiatori veloci (MV, colazione in <10 min, pranzo e cena in <20 min) e mangiatori lenti (ML, colazione in ≥10 min, pranzo e cena in ≥20 min). Analizzando sia i dati grezzi, che i dati aggiustati per età, sesso, BMI, attività fisica, abitudine al fumo e consumo di alcol, è emerso che il rischio di dislipidemia è significativamente più elevato nei MV che nei ML (Figura).
La dislipidemia si sconfigge quindi anche a tavola, non solo scegliendo accuratamente cosa si mangia, ma anche concedendoci il tempo di acquisire la consapevolezza di quello che stiamo mangiando. Prendersi tempo per mangiare, consumando i pasti principali in almeno 20 minuti, diminuisce il rischio di dislipidemia, anche in persone a rischio come quelle con obesità, e aiuta pure a mangiare un poco di meno, controllando meglio l’introito calorico.
J Transl Med (IF=5.531) 19:530,2021. doi: 10.1186/s12967-021-03199-1.

PRESSIONE SANGUIGNA. L’IPERTENSIONE NOTTURNA AUMENTA IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Le persone che soffrono di innalzamenti della pressione sanguigna durante la notte sono a maggior rischio di eventi cardiovascolari e insufficienza cardiaca. A questa conclusione è giunto uno studio della Jichi Medical University di Tochigi, in Giappone.
I ricercatori hanno esaminato i dati di 6.359 pazienti (68.6±11.7 anni, 48% maschi) con almeno un fattore di rischio per eventi cardiovascolari, ma nessun sintomo di malattia cardiovascolare, sottoposti a monitoraggio della pressione per 24 ore. Dopo un follow-up medio di 4,5 anni si sono verificati 309 eventi cardiovascolari, tra cui 119 ictus, 99 episodi di malattia coronarica e 88 casi di insufficienza cardiaca.
Ogni aumento di 20mmHg di pressione sistolica durante la notte era associato a un rischio maggiore di malattia cardiovascolare aterosclerotica e di insufficienza cardiaca. Una pressione notturna più elevata di quella diurna era associata a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari (HR 1.48; 95%CI 1.05-2.08) e in particolare di insufficienza cardiaca (HR 2.45; 95%CI 1.34-4.48).
Durante il sonno, la posizione supina aumenta il ritorno venoso, con conseguente aumento del precarico cardiaco. Inoltre, l’innalzamento della pressione sistolica notturna agisce notevolmente sulla tensione della parete cardiaca, aumentando sia il precarico che il postcarico.

Circulation (IF=23.603) 142:1810,2020. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.120.049730