I risultati di una meta-analisi presentati al congresso annuale della Società Europea per lo Studio del Diabete dimostrano che il consumo di cereali integrali, fibre, pesce e acidi grassi polinsaturi omega-3 riduce la mortalità per tutte le cause nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 (T2D). In particolare, l’analisi di 82 studi prospettici per un totale di 5.879 pazienti, dimostra che l’aggiunta di una sola porzione (circa 20 g/die) di cereali integrali da alimenti come pane integrale, riso integrale o cereali per la colazione, è associata a una riduzione di circa il 16% della mortalità per tutte le cause. Il consumo di una porzione di pesce a settimana si associa a una riduzione della mortalità del 5%, il consumo di 5 g/die di fibre a una riduzione del 14% e l’assunzione di 0,1 g/die di acidi grassi polinsaturi omega-3 a una riduzione del 13%.
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OBESITÀ E RISCHIO CARDIOVASCOLARE
Che l’aumento di peso corporeo sia un fattore di rischio per l’insorgenza di eventi cardiovascolari è accertato da tempo. Ricercatori coreani hanno condotto una “revisione a ombrello” (umbrella review) per definire se esista una relazione causale tra incremento dell’adiposità e rischio di malattie cardiovascolari o mortalità. Le “revisioni a ombrello” analizzano i risultati di precedenti rassegne e meta-analisi, consentendo di verificare associazioni e relazioni causali tra un parametro ed eventi multipli (per. es. adiposità e tutti i possibili eventi cardiovascolari), ponendosi così a un livello più alto della ricerca scientifica; le meta-analisi, invece, analizzano le relazioni tra un parametro e un singolo end-point clinico. I ricercatori coreani hanno selezionato studi osservazionali e di randomizzazione mendeliana (RM), che valutavano l’associazione tra BMI e rischio cardiovascolare o mortalità: 12 revisioni sistematiche, 53 metanalisi (che includevano 501 studi) e 12 studi di RM.
Un aumento del BMI si associa a un maggiore rischio di malattie coronariche, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, stroke, ictus emorragico, ipertensione arteriosa, stenosi della valvola aortica, embolia polmonare, tromboembolismo venoso, mortalità cardiovascolare e mortalità totale. Ogni aumento del BMI di 5kg/m2 si associa a un aumento degli eventi che va dal 10% per l’ictus emorragico (RR=1.10; 95%CI 1.01-1.21) al 49% per l’ipertensione (RR 1.49; 95%CI 1.40-1.60). L’analisi degli studi di RM dimostra un effetto causale dell’obesità su tutti gli end-points cardiovascolari, eccetto lo stroke; non dimostra invece un effetto causale dell’obesità sulla mortalità totale.
Eur Heart J (IF=29.983) 42:3388,2021. doi: 10.1093/eurheartj/ehab454.
POLIPILLOLA CON O SENZA ASPIRINA IN PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE?
ANSIA E INSTABILITÀ EMOTIVA AUMENTANO IL RISCHIO CARDIOMETABOLICO
I maschi adulti che tendono ad essere ansiosi rischiano di sviluppare malattie cardiometaboliche. È quanto emerge da uno studio del Veterans Affairs Boston Healthcare System (USA).
La ricerca ha analizzato i dati relativi a 1.561 uomini (età 53.0±8.4 anni), che tra il 1975 e il 2015 hanno completato la scala Eysenck Personality Inventory-Short Form (per l’instabilità emotiva) e la Worries Scale (per l’ansia), e che si sono sottoposti alla misurazione ogni 3-5 anni di 7 biomarkers di rischio cardiometabolico (CMR): pressione arteriosa sistolica e diastolica, colesterolo totale, trigliceridi, BMI, glicemia e VES. Per ciascun individuo è stato calcolato un punteggio CMR (da 1 a 7) in base al numero di marcatori che superavano i valori-soglia indicati dalle linee guida americane.
Il punteggio CMR medio aumenta di 0.8 unità per decade tra i 33 e i 65 anni, quando raggiunge un valore di 3.8, per poi aumentare di 0.5 unità per decade. Instabilità emotiva e ansia peggiorano l’andamento, aumentando rispettivamente del 13% (95%CI, 1.03-1.23) e del 10% (95%CI, 1.01-1.20) la probabilità di raggiungere un punteggio CMR ≥6 nel tempo.
Ansia e instabilità emotiva rovinano la vita anche compromettendo la condizione cardiometabolica; di questo si deve tener conto nello sviluppare interventi per migliorare la salute della popolazione.
J Am Heart Assoc (IF=5.501) 11:e022006. doi:10.1161/JAHA.121.022006.
A TAVOLA NON SI INVECCHIA! MANGIARE VELOCEMENTE AUMENTA IL RISCHIO DI DISLIPIDEMIA
INVECCHIAMENTO DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE. SI PUÒ RALLENTARE?
Esistono nel mondo delle aree geografiche in cui la percentuale di centenari è particolarmente elevata; tra queste la Sardegna e Ikaria in Grecia. A Ikaria è stato condotto uno studio epidemiologico (the IKARIA study) che aveva come scopo di evidenziare le caratteristiche individuali e le abitudini di questa popolazione di eccezionale longevità.
Lo studio conferma che adeguati stili di vita possono rallentare l’invecchiamento cardiovascolare e promuovere la longevità.
1. Alimentazione. Si conferma che la cosiddetta “dieta mediterranea”, tipica delle popolazioni italiane e greca, oltre a influenzare i classici fattori di rischio cardiovascolare (sovrappeso, diabete, dislipidemia e ipertensione), ha effetti positivi sui meccanismi fisiopatologici dell’invecchiamento, riducendo l’infiammazione, lo stress ossidativo e la disfunzione endoteliale. Un elemento della dieta mediterranea che incontra sempre più favore è il caffè. I greci di Ikaria sono moderati consumatori di caffè. Il caffè contiene polifenoli e vitamine ad attività antiossidante. Inoltre la caffeina e i suoi metaboliti aumentano la produzione di monossido d’azoto (NO) e migliorano la funzionalità endoteliale. Il caffè sembra anche avere attività antiaggregante.
2. Attività fisica. Circa il 90% degli uomini e il 70% delle donne di Ikaria con più di 80 anni, svolge costante attività fisica di grado moderato o elevato. Anche in questo caso, è noto che una costante attività fisica, oltre a un effetto favorevole sui classici fattori di rischio cardiovascolare, previene l’infiammazione e riduce lo stress ossidativo. Inoltre ha un effetto diretto anti-aging, rallentando l’accorciamento dei telomeri.
3. Fumo. La percentuale di fumatori tra gli anziani di Ikaria è particolarmente ridotta (17% degli uomini, 7% delle donne). Anche in questo caso il fumo di sigaretta (tabacco o elettronica) promuove infiammazione, stress ossidativo e disfunzione endoteliale.
4. Ambiente. L’inquinamento ambientale, attraverso I composti che vengono inalati, aumenta lo stress ossidativo, promuove l’infiammazione, induce disfunzione endoteliale e irrigidimento delle arterie. Inoltre influenza direttamente il processo di invecchiamento promuovendo l’accorciamento dei telomeri e aumentando la metilazione del DNA. Anche il clima può avere un effetto positivo sulla longevità. Sardi e Greci godono di un clima relativamente mite, mentre un’indagine su 15 grandi città europee ha dimostrato che temperature invernali più basse si associano a un eccesso di mortalità cardiovascolare e respiratoria, specie negli anziani.
J Amer Coll Cardiol (IF=20.589) 77:189,2021. doi: 10.1016/j.jacc.2020.11.023.
INVECCHIAMENTO DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE E LONGEVITÀ. MECCANISMI GENETICI
INVECCHIAMENTO DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE E LONGEVITÀ. MECCANISMI FISIOPATOLOGICI
Esistono nel mondo delle aree geografiche (zone blu) in cui la percentuale di centenari è particolarmente elevata; tra queste la Sardegna e Ikaria in Grecia. A Ikaria è stato condotto uno studio epidemiologico (the IKARIA study) che aveva come scopo di evidenziare le caratteristiche individuali e le abitudini di questa popolazione di eccezionale longevità.
Lo studio conferma che quattro sono i maggiori meccanismi fisiopatologici dell’invecchiamento cardiovascolare.
1. Lo stress ossidativo. Lo stress ossidativo è il risultato di un’alterazione dell’equilibrio tra specie reattive dell’ossigeno (ROS), dannose, e sostanze antiossidanti, protettive. Lo stress ossidativo può causare danni al DNA mitocondriale e mutazioni nel genoma. L’efficacia dei meccanismi antiossidanti e la resistenza allo stress ossidativo diminuiscono con l’età. I livelli di antiossidanti, prevalentemente vitamina C ed E, sono elevati e i livelli di ROS sono ridotti nei centenari di Ikaria rispetto ad anziani di più giovane età.
2. Infiammazione. Il ruolo di un basso grado d’infiammazione nel rischio cardiovascolare e nell’invecchiamento è stato riscontrato in vari studi. Al contrario, le molecole antinfiammatorie appaiono essere protettive: ad esempio una variante genetica che promuove la sintesi dell’interleuchina antinfiammatoria IL-10 è stata associata alla longevità dei centenari italiani. Un’importante fonte d’infiammazione è il grasso viscerale. La redistribuzione del grasso, da sottocutaneo a viscerale, promuove l’invecchiamento. Il grasso viscerale è infiltrato da cellule infiammatorie e secerne citochine e ormoni pro-infiammatori come la leptina. È emerso anche che il microbiota intestinale contribuisce all’infiammazione. La presenza di un normale microbiota è considerata protettiva sia per le malattie cardiovascolari che per l’invecchiamento. Trattamenti farmacologici con gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, statine e aspirina hanno un effetto anti-infiammatorio e anti-aging in modelli animali. Il canakinumab, un anticorpo monoclonale che lega IL-1b e inibisce indirettamente il pathway dell’IL-6, entrambe pro-infiammatorie, ha dimostrato di ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori.
3. Disordini metabolici: iperglicemia e insulino resistenza. L’iperglicemia induce la senescenza di vari tipi cellulari, come i progenitori della cellule endoteliali, le cellule muscolari lisce e quelle dei tubuli renali. Un vecchio ma efficace farmaco anti-diabetico, la metformina, che agisce come sensibilizzante dell’insulina e ha proprietà antiossidanti e anti-infiammatorie, è stato proposto come farmaco dalle potenzialità anti-age. Infine, la presenza dell’isoforma rara dell’apolipoproteina E APOE4 è correlata a minore longevità, aumentato rischio di malattie cardiovascolari e di Alzheimer, rispetto all’allele più comune APOE3.
4. Ipertensione arteriosa e stiffness arteriosa. Valori pressori alti e aumento della rigidità (stiffness) arteriosa aumentano il rischio cardiovascolare e promuovono l’invecchiamento, mentre alcuni polimorfismi genetici correlati a una pressione bassa aumentano la longevità.
J Amer Coll Cardiol (IF=20.589) 77:189,2021. doi: 10.1016/j.jacc.2020.11.023.
NON TUTTO IL GRASSO È UGUALE: QUELLO BRUNO PROTEGGE DALLE MALATTIE CRONICHE
Non tutto il grasso è uguale. Quello che si deposita sugli organi interni è dannoso per la salute, perché produce mediatori dell’infiammazione e aumenta il rischio di malattie metaboliche e cardiovascolari. Esiste però anche un grasso “buono”, il grasso bruno (BA), che potrebbe al contrario proteggere proprio dalle malattie metaboliche o cardiache. Il BA è una sorta di centrale energetica dell’organismo: più abbondante nei neonati e scarso negli adulti, è correlato inversamente all’indice di massa corporea (BMI); al crescere del BMI tende a diminuire. Il BA brucia moltissime calorie per mantenere la temperatura corporea (è il motivo per cui è presente in grandi quantità negli animali che vanno in letargo), ma contribuisce anche a regolare il metabolismo, equilibrando i livelli plasmatici di glucosio e riducendo la pressione sul pancreas per produrre insulina.
Ricercatori americani e tedeschi hanno esaminato 134.529 PET (tomografia a emissione di positroni) di più di 52.000 pazienti sottoposti a tale indagine per la diagnosi o il monitoraggio di un tumore. I radiologi, quando eseguono questo esame, segnalano sempre la presenza di BA per distinguerlo da un tumore. Con questo tipo di reclutamento è stato possibile valutare gli effetti del BA sulla salute dei soggetti esaminati, senza dover sottoporre a radiazioni individui sani.
BA è stato identificato solo in 5.070 pazienti (9.7%). Era più prevalente nelle donne e la sua quantità era inversamente correlata con l’età e il BMI. I soggetti con BA (BAT+) erano più sani dal punto di vista metabolico e cardiovascolare dei soggetti senza grasso bruno (BAT-): presentavano una minor prevalenza di diabete mellito di tipo 2 (4.6% vs 9.5%), dislipidemia (18.9% vs 22.2%), ipertensione (26.7% vs 30.7%) fibrillazione atriale (2.8% vs 3.6%), insufficienza cardiaca (1.0% vs 2.0%), malattia coronarica (3.1% vs 4.9%) e malattia cerebrovascolare (2.1% vs 2.8%). È inoltre emerso che il BA mitiga gli effetti negativi dell’obesità: le persone obese con BA avevano un rischio ridotto di sviluppare malattie metaboliche e cardiovascolari.
Ma come si può aumentare la quantità di BA? Purtroppo non si sa. A oggi sappiamo che si può stimolare il BA esponendosi a basse temperature. Alcuni ingredienti dei cibi, come la capsaicina o le catechine, sembrano capaci di attivare il BA e sono allo studio farmaci specifici che potrebbero essere efficaci attivatori del BA.
Nat Med (IF=36.130) 27:58,2021. doi: 10.1038/s41591-020-1126-7
EVOLOCUMAB SOMMINISTRATO IN OSPEDALE AI PAZIENTI CON INFARTO MIOCARDICO RIDUCE IL COLESTEROLO LDL GIÀ DAL 1° GIORNO PORTANDO A TARGET OLTRE L’80% DEI PAZIENTI ALLA DIMISSIONE
Lo studio EVACS (Evolocumab in Acute Coronary Syndrome) ha arruolato 57 pazienti ricoverati per infarto miocardico, assegnati in modo casuale in un rapporto 1:1 a una singola dose di Evolocumab 420 mg o placebo entro 24 ore dall’ammissione. Tutti i pazienti hanno ricevuto statine ad alta intensità, salvo controindicazioni. L’età media era di 55 anni, il 42% erano donne, il 60% era in precedente terapia con. I livelli medi di colesterolo LDL (C-LDL) all’ammissione erano 91.5±35 mg/dl nel gruppo Evolocumab e 89.6±41 mg/dl nel gruppo placebo.
Evolocumab ha ridotto il C-LDL in media di 28.4±4 mg/dl. Il C-LDL è diminuito rispetto al basale dal primo giorno nel gruppo Evolocumab (70.4±27 mg/dl) ed era inferiore a quello del gruppo placebo già dal terzo giorno. La differenza tra i 2 gruppi è rimasta costantemente significativa durante il ricovero e al follow-up a 30 giorni. La percentuale di pazienti nel gruppo Evolocumab, i cui livelli di C-LDL alla dimissione erano pari o inferiori ai target delle Linee Guida AHA/ACC e ESC, era dell’80.8% e 65.4% rispettivamente, più alta rispetto a quella nel gruppo placebo, 38.1% e 23.8%.
L’elevato rischio di nuovi eventi cardiovascolari precoci nel post infarto giustifica un trattamento aggressivo nella riduzione del C–LDL. Evolocumab somministrato già in ospedale nel paziente infartuato è efficace nel ridurre il C-LDL e consente alla maggior parte dei pazienti di raggiungere valori target di C-LDL fin dai primi giorni dall’evento.
Circulation (IF=23.603) 142:419,2020