I CEREALI INTEGRALI RIDUCONO LA MORTALITÀ NEL DIABETE DI TIPO 2

I risultati di una meta-analisi presentati al congresso annuale della Società Europea per lo Studio del Diabete dimostrano che il consumo di cereali integrali, fibre, pesce e acidi grassi polinsaturi omega-3 riduce la mortalità per tutte le cause nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 (T2D). In particolare, l’analisi di 82 studi prospettici per un totale di 5.879 pazienti, dimostra che l’aggiunta di una sola porzione (circa 20 g/die) di cereali integrali da alimenti come pane integrale, riso integrale o cereali per la colazione, è associata a una riduzione di circa il 16% della mortalità per tutte le cause. Il consumo di una porzione di pesce a settimana si associa a una riduzione della mortalità del 5%, il consumo di 5 g/die di fibre a una riduzione del 14% e l’assunzione di 0,1 g/die di acidi grassi polinsaturi omega-3 a una riduzione del 13%.

Un’alimentazione ricca di fibre riduce il rischio di demenza

Le fibre alimentari sono carboidrati di origine vegetale che gli enzimi dell’apparato digerente umano non sono in grado di digerire e assorbire. Vengono classificate come solubili o insolubili in base alla loro capacità di sciogliersi in acqua. Per citarne alcune: le pectine, le gomme e le mucillagini sono fibre solubili di cui sono ricchi i legumi; la cellulosa e la lignina dei cereali integrali e delle verdure sono fibre insolubili.

Diversi studi hanno ipotizzato un ruolo protettivo delle fibre alimentare sul decadimento cognitivo e quindi sullo sviluppo di demenza, e un recente studio giapponese ha contribuito a supportare questa ipotesi.

A partire dagli anni ’80, i ricercatori dell’Università di Tsukuba hanno invitato 3700 soggetti sani, di età compresa tra i 40 e i 64 anni, a rispondere ad una survey sulle abitudini alimentari. I soggetti sono stati seguiti per circa vent’anni, durante i quali si sono registrati 670 casi di demenza invalidante. I ricercatori hanno scoperto che coloro che consumavano quantità maggiori di fibre, specialmente quelle solubili, avevano un rischio di demenza del 25% più basso rispetto a coloro che ne consumavano quantità ridotte.

Difficile stabilire al momento se esista una relazione di causalità e i possibili meccanismi che legano l’alimentazione alla neuroprotezione. Una delle ipotesi è che le fibre siano in grado di ridurre la neuroinfiammazione, alla base dello sviluppo delle patologie neurodegenerative, tramite la regolazione del microbiota intestinale. In aggiunta, l’utilizzo di fibre alimentari contribuisce a ridurre altri fattori di rischio alla base delle demenze, quali il peso corporeo e la pressione sanguigna.

Ulteriori studi sono necessari, ma di certo i risultati promettenti di questo studio suggeriscono un  intervento sulla dieta come possibile strategia preventiva per le demenze.

Yamagishi K, Maruyama K Ikeda A et al. “Dietary fiber intake and risk of incident disabling dementia: the Circulatory Risk in Communities Study”. Nutritional Neuroscience 2022. Doi: 10.1080/1028415X.2022.2027592 (Impact Factor=5.000)

 

A TAVOLA NON SI INVECCHIA! MANGIARE VELOCEMENTE AUMENTA IL RISCHIO DI DISLIPIDEMIA

Ricercatori napoletani confermano il vecchio detto popolare: mangiare lentamente fa bene alla salute. Lo studio ha coinvolto 187 individui (età 43.6±16.0 anni, 62% donne, BMI 31.5±7.5 kg/m2), dei quali sono state registrate le abitudini alimentari e la durata dei pasti. In base alla mediana della durata dei pasti, ciascun individuo è stato categorizzato in due gruppi: mangiatori veloci (MV, colazione in <10 min, pranzo e cena in <20 min) e mangiatori lenti (ML, colazione in ≥10 min, pranzo e cena in ≥20 min). Analizzando sia i dati grezzi, che i dati aggiustati per età, sesso, BMI, attività fisica, abitudine al fumo e consumo di alcol, è emerso che il rischio di dislipidemia è significativamente più elevato nei MV che nei ML (Figura).
La dislipidemia si sconfigge quindi anche a tavola, non solo scegliendo accuratamente cosa si mangia, ma anche concedendoci il tempo di acquisire la consapevolezza di quello che stiamo mangiando. Prendersi tempo per mangiare, consumando i pasti principali in almeno 20 minuti, diminuisce il rischio di dislipidemia, anche in persone a rischio come quelle con obesità, e aiuta pure a mangiare un poco di meno, controllando meglio l’introito calorico.
J Transl Med (IF=5.531) 19:530,2021. doi: 10.1186/s12967-021-03199-1.

LA DIETA DASH RALLENTA LA PROGRESSIONE DELL’ATEROSCLEROSI CORONARICA NON OSTRUTTIVA?

Un studio pilota condotto in Polonia ha messo in evidenza come un intervento sullo stile di vita focalizzato sulla dieta DASH possa rallentare la progressione dell’aterosclerosi e ridurre il volume delle placche non calcificate in pazienti con aterosclerosi coronarica non ostruttiva.
Lo studio monocentrico randomizzato ha incluso 89 pazienti (41% donne) con sintomi di angina lieve e sospetta coronaropatia; l’età media era 60 anni e l’indice di massa corporea medio era 29. La maggior parte dei soggetti presentava ipertensione e/o dislipidemia, sono stati esclusi i pazienti diabetici e quelli che avevano subito bypass coronarici.
I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi: il gruppo “intervento” ha ricevuto consulenze alimentari e incoraggiamento ad aumentare l’attività fisica, oltre alla terapia medica ottimale; il gruppo “controllo” ha ricevuto solo la terapia medica. Dopo un esame della composizione corporea, ogni paziente incluso nel braccio intervento ha ricevuto un piano nutrizionale personalizzato DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension). La dieta DASH aumenta il consumo di frutta, verdura, cereali e latticini poveri di grassi, e limita i grassi saturi, il colesterolo, i cereali a basso contenuto di fibre con un elevato indice glicemico e i dolci. I partecipanti sono stati incoraggiati a fare cinque pasti al giorno, con meno di tre ore tra un pasto e l’altro. L’adesione alla dieta è stata valutata tramite un diario alimentare autocompilato.
Il volume degli ateromi, misurato tramite angioTAC (CTA), è aumentato significativamente nel gruppo di controllo (+1,1%), meno nel gruppo intervento (+1,0%); la differenza tra i gruppi, tuttavia, non è risultata significativa. Entrambi i gruppi hanno mostrato significative riduzioni delle placche non calcificate, con una riduzione maggiore nel gruppo intervento (-1.7% vs -0.7%, P=0.044). Non è stata riscontrata differenza tra i gruppi nelle placche calcificate.

La dieta DASH rimane uno dei modelli nutrizionali più ampiamente studiati, di cui è stato dimostrato il beneficio per l’ipertensione arteriosa e la riduzione del rischio cardiovascolare. Si basa su cibi comuni, non è restrittiva ed è relativamente facile da seguire. I risultati di questo studio, pur limitati a un numero ridotto di soggetti, dimostrano che la dieta DASH potrebbe essere efficace anche nel rallentare la progressione dell’aterosclerosi e ridurre la vulnerabilità delle placche in pazienti con aterosclerosi coronarica non ostruttiva.

JACC Cardiovasc Imaging (IF=12.740) 14:1192,2020.  doi: 10.1016/j.jcmg.2020.10.019

I PSEUDOCEREALI

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Sulla nostra tavola sono apparsi alimenti nuovi come la quinoa, l’amaranto e la chia. Normalmente sono considerati cereali, in realtà sarebbe più corretto definirli pseudocereali. Derivano da piante dicotiledoni, al contrario dei cereali comuni che originano da piante monocotiledoni. I pseudocereali sono dei semi che possono essere consumati come tali o macinati e trasformati in farine. Tra tutti questi il più conosciuto è il grano saraceno usato in molti piatti regionali. Hanno un buon profilo nutrizionale e sono privi di glutine. Ricchi di proteine e fibra si prestano per svariate ricette apportando un buon valore calorico.

UN SOLO DRINK AL GIORNO AUMENTA IL RISCHIO DI FIBRILLAZIONE ATRIALE

Bere anche poco, ma regolarmente, aumenta il rischio di sviluppare fibrillazione atriale. È quanto emerge da un’analisi dell’University Heart and Vascular Center di Hamburg-Eppendorf. I ricercatori hanno utilizzato come riferimento un drink giornaliero, definito da una quantità di 12 grammi di etanolo, contenuti in un piccolo bicchiere di vino (120 ml), in una birra piccola (330 ml), o in un bicchierino di superalcolici (40 ml). Hanno utilizzato dati relativi a 107.845 adulti provenienti da cinque coorti in Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Italia; hanno escluso 7.753 partecipanti con fibrillazione atriale al basale, lasciando nell’analisi 100.092 persone. Al basale sono state raccolte informazioni su vari fattori di rischio, tra cui indice di massa corporea, pressione arteriosa, diabete, colesterolo, fumo, cardiopatie, status occupazionale, livello di istruzione e assunzione abituale di alcol. L’età mediana dei partecipanti era di 47,8 anni e per il 51,7% si trattava di donne. Il consumo mediano di alcol era pari a 3 grammi al giorno.
Durante il follow-up, che è durato una mediana di 13,9 anni, sono stati registrati 5.854 nuovi casi di fibrillazione atriale. Il consumo di un drink al giorno aumentava del 16% il rischio di sviluppare una fibrillazione atriale (HR 1.16, 95%CI 1.11-1.22). Il rischio era simile per tutte le tipologie di alcolici consumati.

Questo studio è importante perché offre forti evidenze che anche quantitativi modesti di alcolici possono aumentare, leggermente ma significativamente, il rischio di sviluppare fibrillazione atriale.

Eur Heart J (IF=22.673) 42:1170,2021. doi: 10.1093/eurheartj/ehaa953

 

LE FAVE

Le fave sono l’unico legume che si può consumare sia cotto che crudo. Note come Vicia faba, la pianta è simile a quella del fagiolo, produce un baccello con all’interno semi. Ne esistono diverse varietà classificate  secondo le dimensioni dei semi. Quella usata comunemente è la fava da orto che ha i semi della grandezza di un’oliva. Possono essere consumate fresche o secche. Hanno un buon contenuto di proteine, ferro, potassio e magnesio. In cucina vengono usate come purea o nelle zuppe. In Liguria in primavera, sono usate fresche per un particolare pesto che può accompagnare un piatto di pasta.

Ingredienti per 4 persone: 150g. di fave fresche private della buccia più dura, 75 g. di pecorino grattuggiato, 70 ml. di olio extra vergine di oliva, uno spicchio di aglio, 4 foglie di menta. Mettere tutti gli ingredienti in un mixer e azionarlo ad intermittenza per non far surriscaldare le lame, fino a ottenere una crema omogenea con cui condire la pasta.

POLIFENOLI E CAPACITÀ COGNITIVE. UNA META-ANALISI

Ricercatori emiliani hanno condotto una meta-analisi di 21 studi che hanno valutato gli effetti dei polifenoli sulle capacità cognitive.
5 studi, per un totale di 508 pazienti trattati e 501 controlli, hanno utilizzato come end-point una variazione dell’ADAS-Cog (Alzheimer’s Disease Assessment Scale–Cognitive Subscale), un test utilizzato per valutare il deterioramento cognitivo nella malattia di Alzheimer. Gli effetti complessivi non hanno mostrato un impatto significativo dei polifenoli su ADAS-Cog (p=0,310), ma l’analisi per sottogruppi ha mostrato un effetto positivo di Ginkgo biloba su ADAS-Cog, rispetto al placebo (differenza media −2,02, 95%CI tra −3,79 e −0,26, p=0,020).
In 8 studi, per un totale di 1868 pazienti trattati e 1856 controlli, è stato utilizzato il Mini-Mental State Examination (MMSE) un breve esame per valutare diversi domini della funzione cerebrale, come orientamento, memoria, attenzione, calcolo, linguaggio e capacità di richiamare determinate acquisizioni. Anche in questo caso non è emerso alcun effetto significativo dei polifenoli sull’esito di MMSE (p=0,080).Il Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS) Digital symbol test, che si focalizza principalmente sulla memoria, è stato riportato in 8 studi, per un totale di 4.032 pazienti (2.029 pazienti e 2.003 controlli); complessivamente non si è riscontrato un effetto significativo dei polifenoli (p=0,380). Il WAIS Block design, che si focalizza su orientamento spaziale e capacità motoria,  è stato valutato in 4 studi, per un totale di 3.389 pazienti, indicando invece un miglioramento significativo (p=0,005), in particolare quando è stato utilizzato l’estratto di Ginkgo biloba (differenza media −0,43, 95%CI tra −0,73 e −0,13).
Infine, 3 studi, per un totale di 301 soggetti (150 trattati e 151 controlli) hanno utilizzato il Reys Auditory Verbal Learning Task (RAVLT), che valuta l’apprendimento verbale e la memoria. La somministrazione di polifenoli ha aumentato significativamente il punteggio del RAVLT-richiamo immediato (differenza media 1,63, 95%CI 1,2- 2,00, p<0,001). Il WCST è stato riportato in 4 studi per un totale di 456 pazienti. L’effetto complessivo non è stato significativamente influenzato dalla somministrazione di polifenoli (p=0,070). Il test trail making A (TMT-A) è stato utilizzato in 7 studi, per un totale di 3473 pazienti. La somministrazione di polifenoli non ha migliorato significativamente questo punteggio (p=0,620). Allo stesso modo, il test trail making B (TMT-B) è stato utilizzato in 8 studi, per un numero totale di 3.503 soggetti (1.765 pazienti e 1.738 controlli). L’effetto complessivo dei polifenoli è stato statisticamente significa> goli (differenza media −1,85, IC 95%: −3,14, −0,55, p=0,005).
In conclusione, i risultati di questa meta-analisi suggeriscono che l’integrazione con polifenoli potrebbe migliorare alcuni indicatori specifici dello stato cognitivo nell’uomo. Tra tutti i composti utilizzati, l’estratto di Ginkgo biloba sembra essere il più attivo; i benefici riportati potrebbero essere attribuibili all’intero fitocomplesso, dove è probabile che sia composti polifenolici che non polifenolici giochino un ruolo attivo.

Giorn Ital Arterioscler 11:5,2020

POLIFENOLI E CAPACITÀ COGNITIVE

Numerosi studi clinici osservazionali e di intervento hanno suggerito l’esistenza di un’associazione tra l’assunzione di alimenti a elevato contenuto di polifenoli, come frutti di bosco, uva, cacao e tè verde, e un miglioramento delle funzioni cognitive. Ciò nonostante, non tutti gli studi hanno dato risultati positivi in modo univoco, lasciando aperto il dibattito sul potenziale utilizzo dei polifenoli per il mantenimento della salute cognitiva. Per esempio, la dieta mediterranea, il cui apporto di polifenoli corrisponde a circa 1 g/die, tende a prevenire il deterioramento cognitivo. Invece, gli effetti neuroprotettivi degli isoflavoni della soia sembrano limitati, essendo influenzati da diversi fattori legati alle caratteristiche individuali, al tipo di trattamento e a fattori correlati alla pianta stessa. Le ragioni alla base di queste discrepanze si possono ritrovare nella diversa quantità e biodisponibilità dei composti utilizzati, come pure nella variabilità interindividuale della composizione e funzione del microbiota intestinale, che fa sì che l’assunzione degli stessi polifenoli si traduca in effetti diversi, a seconda delle caratteristiche di ciascun individuo. In sintesi, la mancanza di risultati convincenti degli studi clinici rende difficile trarre una conclusione solida sull’effetto preventivo dei polifenoli sulle funzioni cognitive e sulla neurodegenerazione. Per cercare di fare un po’ di chiarezza sull’argomento, in un prossimo post esporremo i risultati di una recente meta-analisi condotta da ricercatori emiliani.

POLIFENOLI E MALATTIE CARDIOVASCOLARI. UNA META-ANALISI

Ricercatori emiliani hanno condotto una meta-analisi per cercare di fare chiarezza sugli effetti cardiovascolari dei polifenoli. Hanno analizzato i risultati di 34 studi clinici, in cui sono state somministrate dosi di polifenoli significativamente più elevate di quelle assunte per via alimentare (per es. >100 mg/die di quercetina e 80-132 mg/die di isoflavoni). È stata riscontrata una notevole eterogeneità tra gli studi analizzati per differenze di trattamento in termini di formulazione, dose, fonte e tipo di polifenoli utilizzati.
16 studi, per un totale di 1.190 soggetti (606 trattati con polifenoli e 584 con placebo), hanno valutato gli effetti sulla pressione arteriosa (PA). L’analisi complessiva ha mostrato una riduzione significativa della PA sistolica (differenza media −1.01 mmHg, 95%CI tra −2.04 e 0.02 mmHg, p=0.005) e della PA diastolica (differenza media −1.32 mmHg, 95%CI tra −2.37 e −0.27 mmHg, p=0,001) dopo somministrazione di polifenoli. 21 studi, per un totale di 1.933 soggetti (988 trattati con polifenoli e 945 con placebo) hanno valutato gli effetti sulla colesterolemia (HDL-C e LDL-C). La somministrazione di polifenoli ha ridotto significativamente i livelli di LDL-C (differenza media −4.39 mg/dL, 95%CI tra −7.66 e −1.11 mg/dL, p=0.009) e aumentato i livelli di HDL-C (differenza media 2.68 mg/dL, 95%CI 2.43-2.92 mg/dL, p<0.001). 8 studi, per un totale di 568 soggetti (289 trattati con polifenoli e 279 con placebo), hanno valutato gli effetti vascolari dei polifenoli, misurando la vasodilatazione flusso-mediata (FMD), un parametro di funzionalità endoteliale (vedi articoli precedenti), che è aumentata (differenza media 0.89%, 95%CI 0.40- 1.38%, p<0.001). In 9 studi, per un totale di 611 pazienti (303 trattati con polifenoli e 308 con placebo), è stata esaminata la hs-CRP, un classico parametro infiammatorio, che non è variata.
L’analisi complessiva ha rivelato un effetto positivo dei polifenoli sui parametri cardiovascolari considerati. Nonostante questi effetti siano significativi dal punto di vista statistico, le differenze evidenziate sono di modesta entità e talvolta di dubbio beneficio clinico.

Giorn Ital Arterioscler 11:5,2020