L’EMBOLIA POLMONARE NEI PAZIENTI CON COVID-19

Come sapete, l’infezione da SARS-CoV-2 è caratterizzata principalmente da febbre, sintomi respiratori, con affanno e infiltrati polmonari. Molti pazienti presentano inoltre uno stato pro-coagulante, caratterizzato da incremento dei livelli di D-dimero e complicanze trombotiche, principalmente l’embolia polmonare (EP), che peggiorano la prognosi. Ricercatori spagnoli hanno condotto uno studio con molti, ambiziosi obiettivi: paragonare l’incidenza di EP nei pazienti con COVID-19 che arrivavano al dipartimento d’emergenza con quella standardizzata nella popolazione generale; identificare eventuali fattori di rischio associati allo sviluppo di EP in pazienti con COVID-19; descrivere eventuali caratteristiche cliniche distintive in questi pazienti, rispetto ai pazienti con EP senza COVID-19; valutare la prognosi dei pazienti COVID-19 che sviluppano EP.
I ricercatori hanno esaminato retrospettivamente i dati dei pazienti COVID-19 con diagnosi di EP, ricoverati dai dipartimenti d’emergenza di 62 ospedali spagnoli, durante il primo focolaio di COVID-19. Pazienti COVID-19 senza EP e pazienti non-COVID-19 con EP sono stati inclusi come gruppi di controllo. Sono stati identificati 368 casi di EP in 74.814 pazienti con COVID-19 (4,92‰). L’incidenza di EP nella popolazione COVID-19 è risultata di 310/100.000 anni-persona, quasi 10 volte superiore a quella di 35/100.000 anni-persona osservata nella popolazione non-COVID-19 (OR 8.95; 95%CI 8.51-9.41). Diverse caratteristiche cliniche dei pazienti con COVID-19 erano associate indipendentemente alll sviluppo di EP: valori di D-dimero >1.000 ng/mL e dolore toracico erano associati direttamente, insufficienza cardiaca cronica era associata indirettamente all’EP. L’EP nei pazienti COVID-19 ha colpito le arterie polmonari più piccole rispetto ai pazienti non-COVID-19. La mortalità intraospedaliera nei pazienti COVID-19 con EP(16.0%) era simile a quella dei pazienti COVID-19 senza EP (16.6%; OR 0.96; 95%CI 0.65-1.42), ma superiore rispetto a quella dei pazienti non-COVID-19 con EP (6.5%; OR 2.74; 95%CI 1.66-4.51).
L’EP è una complicanza frequente nei pazienti con COVID-19, ma non aumenta la mortalità in questi pazienti, che è decisamente più elevata rispetto ai pazienti con EP non- COVID-19.
Eur Heart J (IF=29.983) 42:3127,2021. doi:10.1093/eurheartj/ehab314

UN SOLO DRINK AL GIORNO AUMENTA IL RISCHIO DI FIBRILLAZIONE ATRIALE

Bere anche poco, ma regolarmente, aumenta il rischio di sviluppare fibrillazione atriale. È quanto emerge da un’analisi dell’University Heart and Vascular Center di Hamburg-Eppendorf. I ricercatori hanno utilizzato come riferimento un drink giornaliero, definito da una quantità di 12 grammi di etanolo, contenuti in un piccolo bicchiere di vino (120 ml), in una birra piccola (330 ml), o in un bicchierino di superalcolici (40 ml). Hanno utilizzato dati relativi a 107.845 adulti provenienti da cinque coorti in Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Italia; hanno escluso 7.753 partecipanti con fibrillazione atriale al basale, lasciando nell’analisi 100.092 persone. Al basale sono state raccolte informazioni su vari fattori di rischio, tra cui indice di massa corporea, pressione arteriosa, diabete, colesterolo, fumo, cardiopatie, status occupazionale, livello di istruzione e assunzione abituale di alcol. L’età mediana dei partecipanti era di 47,8 anni e per il 51,7% si trattava di donne. Il consumo mediano di alcol era pari a 3 grammi al giorno.
Durante il follow-up, che è durato una mediana di 13,9 anni, sono stati registrati 5.854 nuovi casi di fibrillazione atriale. Il consumo di un drink al giorno aumentava del 16% il rischio di sviluppare una fibrillazione atriale (HR 1.16, 95%CI 1.11-1.22). Il rischio era simile per tutte le tipologie di alcolici consumati.

Questo studio è importante perché offre forti evidenze che anche quantitativi modesti di alcolici possono aumentare, leggermente ma significativamente, il rischio di sviluppare fibrillazione atriale.

Eur Heart J (IF=22.673) 42:1170,2021. doi: 10.1093/eurheartj/ehaa953

 

AMILOIDOSI CARDIACA. UN UPDATE DELL’AMERICAN HEART ASSOCIATION

Recentemente, l’American Heart Association (AHA) ha pubblicato un documento di consenso sull’amiloidosi cardiaca, in particolare la forma più comune da accumulo da transtiretina (ATTR). Esistono due forme di amiloidosi da transtiretina: 1) la forma ereditaria, autosomica dominante, nella quale si verifica il patologico accumulo della proteina mutata; 2) la forma wild type, detta in precedenza amiloidosi cardiaca senile. L’ATTR può infiltrare anche altri organi, come il sistema nervoso autonomico e quello periferico, ma il coinvolgimento cardiaco rappresenta il principale determinante della sopravvivenza. La sopravvivenza mediana dopo la diagnosi, nei pazienti non trattati, è di 2,5 anni per le forme dovute a mutazione e 3,6 anni per quelle wild-type. Fondamentale è la diagnosi precoce, e l’AHA sottolinea che la diagnosi della cardiomiopatia da amiloidosi non è appannaggio dei centri esperti, dove si esegue la biopsia endomiocardica, ma può essere effettuata anche da centri di livello specialistico inferiore.
La cardiomiopatia da ATTR si ritrova nel 16% delle stenosi aortiche severe e nel 13-17% dei pazienti con scompenso cardiaco. Il documento di consenso attribuisce un ruolo fondamentale, nella diagnosi di amiloidosi cardiaca, alla scintigrafia miocardica con tracciante osseo, che permette di effettuare diagnosi senza ricorrere alla biopsia endomiocardica. L’ecocardiogramma e la risonanza magnetica sono metodiche essenziali per porre il sospetto clinico, e per la diagnosi differenziale con altre cardiomiopatie. In alcuni casi, quando il quadro scintigrafico è dubbio, oppure non è possibile effettuare la scintigrafia, si deve ricorrere alla biopsia endomiocardica, presso centri specializzati. Nel documento vengono riportate anche le terapie più recenti: quelle che agiscono sul silenziamento della proteina come il Patirisan e l’Inotersen, oppure il Diflunisan o il Tafamidis che stabilizzano la proteina con meccanismi differenti, e infine farmaci che provocano la distruzione e/o il riassorbimento della proteina. Infine, si affrontano la gestione dello scompenso cardiaco e delle aritmie in tale contesto clinico.

Circulation (IF=23.603) 142:e7,2020. doi: 10.1161/CIR.0000000000000792.

L’AMILOIDOSI CARDIACA. 5. TERAPIA

Lo scopo della terapia per tutte le forme d’amiloidosi è quello di ridurre la concentrazione plasmatica del precursore proteico al fine di favorirne il riassorbimento e, al contempo, di ridurre la formazione di fibrille e la loro infiltrazione negli organi bersaglio. Nelle amiloidosi AL tale scopo si può raggiungere contrastando e possibilmente eradicando il clone plasmacellulare responsabile della produzione di catene leggere. Il trapianto di cellule staminali autologhe è il trattamento più efficace, possibile tuttavia solo in unnumero limitato di soggetti affetti. Per coloro i quali non possono eseguire il trapianto, a causa delle co-morbilità e/o delle caratteristiche personali, la terapia di scelta è il trattamento chemioterapico.

Nella forma ATTR wild-type sono ad oggi impiegati farmaci capaci di stabilizzare la struttura terziaria della transtiretina così da ridurre la produzione di monomeri di transtiretina e rallentare il processo di fibrillogenesi. Nella forma mATTR il trapianto di fegato appare, almeno nelle forme iniziali, il trattamento di scelta, essendo la quasi totalità della transtiretina mutata prodotta dal fegato. Nei pazienti che non possono essere sottoposti a trapianto è possibile l’impiego di farmaci in grado di silenziare il gene TTR; sono molecole RNA anti-senso in grado di bloccare la traduzione dell’mRNA nel precursore proteico. Stabilizzatori e anti-senso hanno dimostrato di migliorare la qualità della vita e di ritardare la progressione della neuropatia nei pazienti con amiloidosi ATTR ereditaria.

L’AMILOIDOSI CARDIACA. 4. DIAGNOSI DIFFERENZIALE

L’amiloidosi cardiaca, essendo una malattia infiltrativa e sistemica, presenta caratteristiche assenti in altre condizioni cliniche ad essa simili. Le manifestazioni cliniche del coinvolgimento cardiaco in corso d’amiloidosi cardiaca, quali la dispnea, il cardiopalmo, l’astenia, la congestione periferica, sono aspecifiche e non aiutano nella diagnosi differenziale. Il riscontro di manifestazioni cliniche del coinvolgimento d’organo al di fuori del sistema cardiovascolare può invece facilitarla. Nella forma AL è comune l’interessamento renale e gastro-intestinale per cui è frequente il riscontro d’insufficienza renale con proteinuria, anoressia e cachessia, e difficoltà alla deglutizione. Nella forma ATTR l’interessamento nervoso è frequente e può essere accompagnato da interessamento oculare: segni e sintomi di neuropatia periferica e disautonomica (ipotensione ortostatica, sincope, perdita del controllo sfinteriale) associati a opacità del vitreo, sono comuni nell’ATTR. Merita una menzione speciale la sindrome del tunnel carpale che, specie quando bilaterale, rappresenta un segno specifico d’amiloidosi ATTRwt, in grado d’anticipare le manifestazioni cardiache di una decade. L’infiltrazione del miocardio può determinare quadri elettrocardiografici suggestivi d’amiloidosi cardiaca. Ma l’ecocardiogramma rappresenta il principale esame strumentale per la diagnosi non invasiva d’amiloidosi cardiaca. L’infiltrazione miocardica determina disfunzione sistolica già dalle fasi precoci di malattia; la frazione d’eiezione (FE), tuttavia, resta preservata fino alle fasi avanzate di malattia mentre l’evidenza di una deformazione miocardica consente il riscontro di disfunzione sistolica già dalle fasi precoci di malattia. Tra le metodiche di imaging non invasive riveste un ruolo sempre più importante la Risonanza Magnetica Cardiaca, per la sua capacità di caratterizzazione tissutale e per l’elevata risoluzione spaziale che permette una valutazione morfologia e funzionale.
La diagnosi definitiva richiede la conferma istologica della presenza di sostanza amiloide su campione bioptico ottenuto da tessuti coinvolti nel processo infiltrativo (grasso periombelicale e ghiandole salivari in prima battuta per la facile accessibilità, o in alternativa il tessuto miocardico da biopsia endomiocardica) e la sua successiva tipizzazione con metodiche immunoistochimiche. In tempi recenti l’imaging nucleare ha rivoluzionato la diagnosi d’amiloidosi ATTR. I radioisotopi osseo-specifici impiegati nella scintigrafia ossea total body legano i depositi di amiloide da transtiretina, e solo in misura minore ii depositi da catene leggere. Il grado d’accumulo a livello miocardico è variabile e determinato visivamente dallo score di Perugini (da 0 = nessun accumulo a 3 = accumulo miocardico patologico, superiore a quello osseo). Nei pazienti con score 2-3, in assenza di segni laboratoristici suggestivi per amiloidosi AL, la diagnosi non invasiva d’amiloidosi ATTR è possibile con specificità e sensibilità superiori al 99%. La successiva analisi genetica consentirà la distinzione tra forme mutant e wild-type. Nei casi non diagnostici o dubbi (score di Perugini 2-3 in presenza di screening ematologico per discrasie plasmacellulari positivo, score di Perugini 0-1 in presenza di un sospetto d’amiloidosi ATTR ancora alto), la diagnosi definitiva resta invasiva e necessita di biopsia dei tessuti coinvolti.

L’AMILOIDOSI CARDIACA. 3. DIAGNOSI

L’amiloidosi cardiaca è ampiamente sottodiagnosticata perché erroneamente considerata rara, difficile da diagnosticare e intrattabile. I recenti avanzamenti nella conoscenza della malattia hanno consentito un più frequente riscontro rispetto al passato e agevolato i percorsi diagnostici. Il sospetto diagnostico è il momento cruciale al fine di ottenere una diagnosi precoce e l’inizio di trattamenti in tempi utili per assicurare un significativo miglioramento della prognosi. L’amiloidosi cardiaca può manifestarsi come fenocopia di condizioni patologiche più comuni e prognosticamente più favorevoli quali la cardiopatia ipertensiva, la cardiopatia valvolare associata alla stenosi aortica e la cardiomiopatia ipertrofica. Ciò rende conto al tempo stesso della difficoltà nella diagnosi e della necessità di passare da una valutazione prevalentemente fenotipica ad una specificamente eziologica al fine d’intercettare in fase precoce una condizione a prognosi infausta.
Il paziente con amiloidosi cardiaca può presentare diversi quadri clinici d’esordio: scompenso cardiaco congestizio, parossismi di fibrillazione atriale, nuova insorgenza di blocchi atrio-ventricolari o blocchi di branca, dispnea e astenia associati a stenosi aortica di grado variabile. Per le caratteristiche di progressione del processo infiltrativo, il paziente può essere asintomatico fino alle fasi più avanzate di malattia. Sempre più di frequente, quindi, il sospetto diagnostico d’amiloidosi cardiaca sorge per il riscontro occasionale d’ipertrofia ventricolare sinistra all’imaging cardiovascolare. Al fine di poter giungere alla diagnosi occorre ricercare quei segni clinici, elettrocardiografici, laboratoristici e strumentali che caratterizzano la malattia. L’età avanzata, la presenza di tunnel carpale bilaterale e/o di anomalie laboratoristiche, quali il picco monoclonale al quadro proteico elettroforetico o di proteinuria all’esame delle urine delle 24 ore, quando associati a quadri di imaging ed ECG tipici, sono elementi fortemente suggestivi di amiloidosi. L’assenza di essi permette invece di escludere con elevata probabilità la diagnosi di amiloidosi.

L’AMILOIDOSI CARDIACA. 2. FISIOPATOLOGIA

Nell’amiloidosi l’infiltrazione di fibrille proteiche è disomogenea e può interessare diversi organi e ciascuno in grado variabile. Ciò giustifica l’ampia eterogeneità fenotipica della malattia. A livello cardiaco qualsiasi struttura (miocardio, apparati valvolari, pericardio) può essere potenzialmente colpita. L’infiltrazione del miocardio determina un progressivo aumento degli spessori parietali con riduzione delle dimensioni cavitarie. Il danno miocardico è multifattoriale (citotossicità diretta delle fibrille proteiche, danno cellulare da stress ossidativo ed ischemia) e causa una progressiva alterazione della funzionalità cardiaca. In sistole si ha una riduzione della capacità contrattile; in diastole, un aumento delle pressioni di riempimento. Perciò l’amiloidosi cardiaca è definita una cardiomiopatia a fenotipo ipertrofico e fisiologia restrittiva. Il danno miocardico si manifesta con l’aumento stabile e cronico dei livelli circolanti degli enzimi di necrosi miocardica (troponina cardiaca I e T).

L’infiltrazione di fibrille nel miocardio può condurre ad anomalie della genesi del ritmo (fibrillazione atriale, blocchi seno-atriali avanzati) e anomalie della conduzione (blocchi atrio-ventricolari e blocchi di branca). Il coinvolgimento valvolare è frequente e determina perlopiù insufficienza valvolare di grado lieve. Inoltre, l’amiloidosi cardiaca ATTRwt si associa a stenosi aortica. Il coinvolgimento pericardico è anch’esso frequente e causa per lo più versamento pericardico di grado lieve.

L’AMILOIDOSI CARDIACA. 1. COS’È?

Le amiloidosi sono malattie sistemiche caratterizzate da deposizione extracellulare (infiltrazione) di fibrille insolubili. Tali fibrille sono composte da precursori proteici che, a seguito di modifiche strutturali (misfolding), si aggregano in strutture polimeriche in grado di precipitare a livello extracellulare determinando disfunzione d’organo. L’amiloidosi cardiaca è riconducibile a due precursori proteici. Le catene leggere delle immunoglobuline, prodotte nel corso di discrasie plasmacellulari (es. mieloma multiplo, MGUS), nell’amiloidosi AL (Light chains amyloidosis). La transtiretina, prodotta dal fegato e in misura minore a livello oculare, nell’amiloidosi ATTR (Transthyretin amyloidosis); la transtiretina può essere strutturalmente anomala per mutazioni geniche (nella forma mutant o ATTRm) o per deficit acquisiti ad eziopatogenesi sconosciuta (nella forma wild type o ATTRwt).

Nell’amiloidosi AL, le fibrille precipitano principalmente a livello renale e gastro-intestinale e il coinvolgimento cardiaco interessa poco più della metà dei casi. Nell’amiloidosi ATTR le fibrille presentano uno spiccato tropismo per il sistema nervoso e cardiaco; il fenotipo risultante dipenderà dall’eziologia. Nella forma ereditaria, a seconda del tipo di mutazione genica, è possibile riscontrare fenotipi prevalentemente neurologici (es. mutazione Val30Met early onset), prevalentemente cardiologici (es. mutazione Ile68Leu), e misti (es. mutazione Val30Met late onset). Nella forma wild type il coinvolgimento cardiaco prevale su quello neurologico. Il coinvolgimento cardiaco, indipendentemente dalla forma di amiloidosi, ha sempre un forte impatto prognostico negativo. Tuttavia, nella forma AL la prognosi è generalmente peggiore, e questo sembra legato ad effetti citotossici diretti mediati dalla sostanza amiloide sugli organi e i tessuti coinvolti.