IL CROQUE MONSIEUR

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Nel 1910 il “croque monsieur” compare per la prima volta nel menu di un bistrot parigino. Citato anche nell’opera di Proust, si è poi diffuso rapidamente in tutta la Francia. La leggenda attribuisce la sua nascita al caso, quando alcuni operai appoggiarono il loro panino su una stufa per scaldarlo, fondendo così il formaggio interno e creando una croccante crosticina. L’autentica ricetta del croque monsieur consiste in una fetta di pane spalmata con besciamella ed emmenthal grattugiato, su cui si mette una fetta di prosciutto. Si chiude il panino con un’altra fetta di pane spalmata di senape, besciamella ed emmenthal grattugiato, a questo punto si inforna fino e quando il formaggio è gratinato. Esiste anche la variante femminile chiamata “croque madame”, che prevede l’aggiunta di un uovo all’occhio di bue. È certamente un panino gourmet e ogni regione francese ne ha inventata una variante: “croque provençal” con il pomodoro, “croque auvergnat” con formaggio blu d’Auvergne,” croque tartiflette” con patate e formaggio Reblochon.

L’AGLIO: LA RICETTA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

L’aglio è presente in tante ricette: la semplice bruschetta o la pasta “aglio, olio e peperoncino” fanno parte da tempo della nostra quotidianità. Molte preparazioni regionali prevedono come ingrediente l’aglio, per lo più usato come aroma per insaporire le pietanze. Una ricetta particolare che travalica i nostri confini è la zuppa di aglio alla castigliana (“sopa de ajo”). Nata nelle taverne di Madrid, dove veniva originariamente servita agli operai dopo il lavoro, ora rimane una zuppa legata alla Settimana Santa. Gli ingredienti sono: 6 spicchi di aglio, 8 fette di pane raffermo, 500 ml di brodo preferibilmente di carne, 2 cucchiai di paprica affumicata (pimentón de la Vera), 4 uova, sale e olio extravergine di oliva. Sbucciare l’aglio e tagliarlo a fettine sottili, quindi in una casseruola mettere l’olio e l’aglio e far soffriggere. Unire il pane tagliato a dadini e far tostare fino a quando è dorato. Salare, unire la paprika e versare il brodo lasciando cuocere per almeno 10 minuti. Unire le uova lasciandole cuocere in superficie; servire la zuppa calda.

Per porzione. Kcal 386. Proteine 16.35 g. Lipidi 17.97 g (saturi 3.46 g, monoinsaturi 8.45 g, polinsaturi 1.00 g). Carboidrati 49.34 g. Fibra 3.18 g.

L’AGLIO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

L‘aglio è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Liliacee, caratterizzata da una parte ipogea costituita dal bulbo. Questo è formato da bulbilli o spicchi con tunica esterna che può essere di colore gradatamente bianco o rosso, a seconda della varietà. È di facile coltivazione, resistendo anche alle basse temperature. La semina avviene in autunno mentre la raccolta avviene nei mesi di luglio e agosto, soltanto quando la parte aerea è completamente seccata. Le proprietà dell’aglio son note fin dall’antichità: gli Egizi usavano somministrarne abbondanti quantità agli operai che costruivano le piramidi per preservarli da malattie infettive. Tra i Romani la pianta era considerata sacra e dedicata alla dea Cerere. Nel tempo le credenze circa le ”magiche” proprietà dell’aglio si sono largamente diffuse, definendolo la “spezierìa” dei contadini. Le principali proprietà terapeutiche furono confermate da Pasteur, che mise in evidenza le capacità antisettiche e antipertensive. L’allicina contenuta in questo ortaggio ha un forte potere inibente su numerosi batteri tra cui quelli del tifo, come comprovato da Pasteur. Ricco di minerali (calcio, fosforo, magnesio) l’aglio fresco ha anche un buon contenuto di vitamina C.

PRODOTTI AGROALIMENTARI TRADIZIONALI: I RABATON

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

I rabaton sono gnocchi particolari, dalla tipica forma a bastoncino. Tipici della piana tra Alessandria e Torino, la zona denominata “la Fraschetta”, prendono il nome dal dialetto piemontese: rabatar cioè rotolare un pezzo di impasto per formare un bastoncino della grandezza di un sigaro. La consistenza è simile a quella degli gnocchi di patate mentre il sapore ricorda i canederli trentini. Gli ingredienti sono ricotta, biete, uova, pan grattato e parmigiano. Nascono in questa zona perché i pastori con le loro greggi passavano in primavera in transumanza per raggiungere i pascoli estivi. La ricotta, ingrediente fresco e non conservabile, spesso veniva scambiata per altri prodotti meno deteriorabili. Le  massaie dell’alto Monferrato impiegarono le biete prodotte negli orti per creare, unendole alla ricotta, una ricetta facile e gustosa. I rabaton si immergono in acqua bollente per pochi minuti e poi si fanno gratinare in forno con burro e parmigiano. Ogni anno si tiene una sagra nelle strade di Litta Parodi, dove nel 1999 è nata la confraternita du Rabaton.

IL CEDRO: LA RICETTA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Il consumo di cedro come frutto abituale è poco diffuso; l’utilizzo più frequente infatti avviene con l’impiego in pasticceria dei suoi canditi, i cedrini, ingredienti indispensabili in molti dolci tradizionali. La loro preparazione casalinga è un po’ lunga ma non difficile e la conservazione dei prodotti canditi in barattoli di latta è di qualche mese. Gli ingredienti sono: buccia di cedro gr. 700, zucchero gr. 700 e 500 gr. di acqua. Si deve lavare il cedro e tagliarlo a metà per rimuovere la pola centrale. Le bucce tagliate a striscioline devono quindi essere ammollate in acqua fredda per tre giorni avendo l’accortezza di cambiare l’acqua tre volte al giorno. Mettere le fettine di cedro in una pentola, aggiungere lo zucchero e l’acqua quindi portare ad ebollizione a fiamma bassissima avendo cura di girare le fettine per mantenerle coperte di sciroppo. Dopo 20 minuti spegnere il fuoco e lasciare assorbire bene lo zucchero, lasciar poi riposare anche un giorno intero. Le fettine devono risultare lucide e trasparenti. Una volta asciugate su di una gratella possono essere conservate anche per svariati mesi.

 Per porzione (gr 50). Kcal 93.50; Proteine 0.05 gr; Lipidi 0.10 gr (saturi 0.01 gr; monoinsaturi 0.02 gr; polinsaturi 0.02 gr); Carboidrati 24.70 gr; Fibra 1.65 gr.

IL CEDRO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Plinio il vecchio definì il cedro ”la mela assira”: infatti il frutto fu importato in Europa dal Medio Oriente. Si diffuse rapidamente in tutto il bacino del Mediterraneo grazie agli Ebrei che tuttora lo consumano nelle festività dei tabernacoli in agosto. In Italia esiste una rinomata coltivazione in Calabria, chiamata la “riviera dei cedri” in provincia di Cosenza, dove viene coltivata la varietà liscio di Diamante. Il cedro è un agrume appartenente alla famiglia delle Rutacee e si presenta come un grande arbusto capace di raggiungere anche i 4 metri di altezza. Il frutto ha una buccia molto spessa, aromatica, con all’interno una scorza bianca che costituisce il 70% del peso totale. La polpa, succosa e dal gusto amaro, viene utilizzata per la preparazione di bibite o marmellate. La parte pregiata del frutto è la scorza, ricca di olio essenziale assai utilizzato nell’industria cosmetica per la preparazione di saponi e profumi. Tra tutte le  varietà, si preferisce la  cedrina in quanto più ricca di essenza. Il cedro presenta un buon contenuto di vitamina C e di antiossidanti. Povero di calorie (solo 32 kcal per 100 grammi) è indicato anche nelle diete per diabetici, come dimostrato da uno studio svolto dalla facoltà di scienze farmacologiche dellUniversità della Calabria.

L’IDROMELE

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Antichissima bevanda, l’idromele è un composto fermentato ottenuto da acqua (idro) e miele (meli). Le prime notizie provengono addirittura dalle civiltà precolombiane dove i Maya chiamavano l’infuso balche, dalla radice dell’albero con cui aromatizzavano la bevanda, che veniva riservata solo ai sacerdoti per officiare rituali religiosi. Nel nostro mondo la diffusione dell’idromele si ebbe principalmente nell’Europa del nord fra i popoli celtici. Inizialmente furono i Druidi ad utilizzarla per le feste religiose ma ben presto divenne bevanda per tuttala popolazione. Mantenne però nel tempo una valenza propiziatoria in riferimento allo scandire delle stagioni. Sembra che la nostra espressione “luna di miele” nasca dall’usanza di portare alla sposa un quantitativo adeguato (28 giorni) di idromele come auspicio di abbondanza e fertilità. Al giorno d’oggi la produzione avviene solo a livello  artigianale. La qualità del prodotto è data dalle caratteristiche del miele usato oltre, ovviamente, alla perizia del produttore, che deve monitorare costantemente la bevanda. Infatti dopo una prima fermentazione dovuta ai lieviti naturali del miele, se ne compie, nel tempo, una seconda, meno aggressiva, ma che determina le caratteristiche finali. Al gusto si deve avvertire un aroma di “pan brioche” ed i più esperti riescono a riconoscere la qualità del miele con cui si è prodotto il mosto.

LA SALSAPARIGLIA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Che sia il cibo preferito dei Puffi è arcinoto a tutti i bambini, ma che sia a tutti gli effetti una pianta arbustiva molto diffusa nei paesi mediterranei è assai meno risaputo. La salsapariglia appartiene alla famiglia della Liliaceae e deve il suo nome alla schiuma saponosa (salsa) che produce strofinandone le foglie, che ricorda la schiuma dei cavalli (pariglia). In Sardegna viene chiamata straccabraghe per via delle spine presenti su tutto il  corpo della pianta. La parte edibile è rappresentata dai teneri germogli primaverili che vengono cucinati come gli asparagi selvatici di cui ricordano il sapore. È un vegetale di particolare importanza in fitoterapia dove fin dall’antichità viene utilizzato come depurante. In centro America le popolazioni native facevano largo uso delle radici della salsapariglia come antinfiammatorio e antimicotico. In questa pianta sono presenti saponine steroidee, steroli vegetali e antiossidanti tra cui l’astilbina. È un diaforetico naturale, favorisce cioè la sudorazione e tuttora viene impiegato come depurativo, diuretico ed espettorante. Si utilizzano le radici essiccate (20 grammi) che vengono fatte bollire in acqua (circa 2 litri) fino ad ottenere un decotto da bere come tonico o depurativo.

L’ASPARAGO DI BASSANO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Fu Linneo a classificare per primo l’asparago come “Aspearagus officinalis” per evidenziare le proprietà medicamentose di questo ortaggio. Se ne conoscono diverse qualità, che si differenziano per dimensioni, colore e gusto. Uno dei più prelibati è l’asparago bianco di Bassano: viene coltivato in una zona ben circoscritta nella provincia di Vicenza che raggruppa soltanto dieci comuni. Solo questa zona gode del microclima particolare capace di produrre, se pure in quantità limitata (non rispondendo alla grande richiesta del mercato) un prodotto di ottima qualità certificata dal marchio DOP. Il consorzio che raggruppa tutti i produttori stabilisce le caratteristiche che questo ortaggio, per potersi fregiare del marchio DOP deve avere: il turione (la parte edibile dell’asparago) di una lunghezza tra i 18-22 cm, con un diametro centrale di 11 mm con apice serrato. La raccolta avviene ad aprile e deve essere consumato entro pochi giorni perché facilmente deteriorabile. Il sapore dell’asparago bianco è particolare, dolce-amaro risultando piacevolmente croccante al palato. Ha un apporto calorico molto basso (24 Kcal per 100 grammi) ed è ricco di vitamine e di fibra.

IL LIEVITO MADRE

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Il lievito madre o pasta acida, è un composto formato da acqua e farina, che si ottiene dalla reazione di fermentazione lattica operata da batteri e miceti. Questi microorganismi, nutrendosi degli zuccheri presenti nella farina, innescano una reazione che produce anidride carbonica, acido lattico, etanolo. Questa risposta naturale è indispensabile per ottenere la panificazione e conferisce ai prodotti lievitati un aroma particolare. Il lievito madre aumenta la digeribilità e la conservabilità del prodotto, evitando la formazione di muffe. Le caratteristiche di un buon lievito madre sono il colore, che deve essere bianco avorio, la consistenza soffice, l’alveolato fine, il sapore e l’odore dolce tendenti all’acido. Può essere facilmente preparato anche a casa. Spesso, per velocizzare la  fermentazione si usa aggiungere mosto d’uva o polpa di frutta, dando così maggior nutrimento ai microrganismi. Si ottiene un lievito maturo se ha un pH di 4.3-4.5 e un lieve sentore alcoolico. Per poterlo conservare nel tempo è necessario operare dei rinfreschi: ogni 2, 3 giorni il lievito deve esser fatto ossigenare e rimpastato con acqua a 25 gradi circa e farina fino a ottenere un composto omogeneo. Solo a questo punto il lievito può essere utilizzato immediatamente oppure nuovamente conservato in frigorifero.