COME SI VALUTA LO SVILUPPO DELLA MALATTIA ARTERIOSCLEROTICA?

Dall’ultrasonografista del Centro, Samuela Castelnuovo

In passato, la mancanza di tecniche per lo studio dell’aterosclerosi in vivo nell’uomo ha portato a effettuare studi soprattutto di tipo autoptico. Nelle ultime decadi lo sviluppo di tecniche diagnostiche invasive e non invasive ha permesso di studiare questa patologia e la sua evoluzione anche nell’uomo. Grazie a queste tecniche è stato possibile eseguire studi clinici che hanno dimostrato come, controllando i diversi fattori di rischio cardiovascolare, sia possibile ridurre la morbilità e la mortalità cardiovascolare. Tuttavia, a causa del fatto che morbilità e mortalità sono eventi relativamente rari, questi studi richiedevano l’arruolamento di un elevato numero di soggetti e interventi terapeutici relativamente lunghi, della durata di 5-10 anni, con forte dispendio di tempo e risorse.

Fra le diverse tecniche attualmente disponibili, l’angiografia coronarica, l’ultrasonografia intravascolare, l’ultrasonografia B-Mode, la risonanza magnetica nucleare e la tomografia a flusso di elettroni permettono di valutare diverse variabili arteriose, quali: il diametro luminale, la percentuale di stenosi, lo spessore della parete vasale, il volume della placca e la specifica distribuzione e localizzazione della malattia aterosclerotica. Non tutte queste variabili possono essere ottenute con le tecniche elencate.

L’arteriografia quantitativa, ad esempio, permette di valutare le dimensioni delle lesioni aterosclerotiche coronariche e le loro variazioni nel tempo solo in modo indiretto, ossia estrapolato dalle differenze di lume residuo. Ciò nonostante, rispetto agli studi basati ad esempio sulla mortalità, grazie a questa tecnica è stato possibile valutare l’efficacia di interventi terapeutici antiaterosclerotici con studi di minore durata e su numerosità campionarie più limitate. L’arteriografia quantitativa è una tecnica invasiva, e in quanto tale può essere utilizzata solo in studi di prevenzione secondaria e va ribadito il fatto che è in grado di fornire solo informazioni sul diametro del lume residuo e non permette di valutare i cambiamenti che avvengono a livello di placche non stenosanti. Per questo motivo è stata di fondamentale importanza l’introduzione di altri metodi di indagine. Attualmente sono disponibili diverse tecniche non invasive capaci di fornire misure di variabili che possono essere utilizzate come marcatori surrogati di aterosclerosi. Tali tecniche, fornendo un end-point per ogni singolo paziente (la variazione della malattia), permettono di effettuare studi di ancora minor durata e su un numero di soggetti ancora più ridotto. A differenza dell’arteriografia quantitativa, che fornisce solo informazioni sul lume arterioso, queste tecniche consentono di studiare le alterazioni precoci della parete arteriosa sia di tipo morfologico (spessore medio-intimale, placche aterosclerotiche e calcificazione delle arterie), che funzionale (irrigidimento della parete arteriosa e disfunzione endoteliale).

Tra i marcatori surrogati, lo spessore del complesso medio-intimale (IMT) delle pareti arteriose, in particolar modo delle carotidi extracraniche, sviluppato e utilizzato per la prima volta nel nostro Centro, si è affermato come il marcatore più accettato dalla comunità scientifica  e rappresenta una misura sicura, economica, precisa e ripetibile di progressione della malattia aterosclerotica. La prossima settimana vedremo come l’IMT carotideo sia facilmente misurabile mediante ecotomografia B-Mode con sonde ad alta risoluzione.

L’ATEROSCLEROSI E I SUOI MECCANISMI

Dall’ultrasonografista del Centro, Samuela Castelnuovo

L’aterosclerosi è una malattia infiammatoria cronica delle arterie di grande e medio calibro (Figura). Anatomicamente, la lesione caratteristica dell’aterosclerosi è l’ateroma o placca aterosclerotica, ossia un ispessimento della tonaca intima delle arterie dovuto principalmente all’accumulo di materiale lipidico e a proliferazione del tessuto connettivo.

Nelle prime decadi di vita l’aterosclerosi è asintomatica; tende a manifestarsi clinicamente intorno ai 40-50 anni di età, con fenomeni ischemici acuti o cronici, che interessano principalmente cuore, encefalo e arti inferiori. Le lesioni evolvono con il tempo: iniziano nell’infanzia come strie lipidiche (a carattere reversibile) che, in alcuni tipi di arterie, tendono a trasformarsi in placche aterosclerotiche vere e proprie. Queste, nelle fasi avanzate della malattia possono restringere il lume arterioso (stenosi) e nelle fasi finali possono ulcerarsi e complicarsi con conseguente trombosi. Il trombo può portare a un’occlusione istantanea dell’arteria generando in questo modo l’evento vascolare acuto.

La prima fase della patologia aterosclerotica è il danno endoteliale, indotto da fattori che possono essere di natura meccanica (p.es. ipertensione arteriosa) o chimica (p.es. ipercolesterolemia). Il danno endoteliale permette l’infiltrazione e la successiva modificazione (aggregazione, ossidazione e/o glicosilazione) delle LDL dal sangue nella tonaca intima. D’altro canto, l’endotelio danneggiato esprime sulla superficie cellulare a contatto con il sangue molecole di adesione cellulare (selectine, VCAM-1, ICAM-1) e invia segnali chemotattici (MCP-1), che facilitano l’adesione di monociti e linfociti all’endotelio e la loro successiva migrazione nell’intima. Qui i monociti si trasformano in macrofagi capaci di fagocitare le lipoproteine infiltrate e ossidate. Grazie a questo processo i macrofagi si trasformano in cellule schiumose, le cellule tipiche della stria lipidica. La secrezione di citochine e di fattori di crescita, di derivazione principalmente macrofagica, induce la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla media all’intima, dove proliferano, si differenziano nel fenotipo “sintetico” e producono matrice extracellulare, determinando la trasformazione delle strie lipidiche nelle lesioni avanzate. Alla crescita delle lesioni può contribuire l’adesione di pistrine all’intima denudata e il formarsi di trombi intramurali, conseguenti alla erosione/ulcerazione delle placche aterosclerotiche.

Nella patogenesi dell’aterosclerosi intervengono, quindi, l’endotelio, i leucociti, le cellule muscolari lisce e le piastrine; rivestono un ruolo fondamentale l’infiltrazione lipidica della parete arteriosa e l’azione meccanica del flusso sanguigno sulle pareti dell’arteria.

Le manifestazioni cliniche dell’aterosclerosi sono dovute alla riduzione del flusso sanguigno con conseguente ischemia del tessuto servito dall’arteria lesa. La riduzione del flusso dipende dal restringimento del lume in corrispondenza delle lesioni aterosclerotiche e dalla inefficienza dei meccanismi di compenso, rappresentati principalmente dall’instaurarsi di circoli collaterali che consentono al sangue di raggiungere i territori ischemici attraverso vasi secondari. Le manifestazioni croniche (p.es. angina stabile o claudicatio) sono conseguenza di un restringimento stabile dell’arteria colpita, che rende il flusso ematico incapace di aumentare quando le condizioni funzionali lo richiedono (sforzi fisici). La sintomatologia, in particolare il dolore, tende a essere assente a riposo e a presentarsi in occasione di esercizio fisico più o meno intenso, a seconda della gravità dell’ostruzione arteriosa e dell’efficienza dei circoli collaterali. Le manifestazioni acute (angina instabile, infarto miocardico, ictus ischemico) sono invece il risultato di un’improvvisa riduzione del lume arterioso, generalmente causata dalla rottura (fissurazione) di una placca aterosclerotica, con conseguente trombosi, che provoca una brusca riduzione del flusso ematico nel territorio a valle.

ANATOMIA DELLA PARETE ARTERIOSA

Dall’ultrasonografista del Centro, Samuela Castelnuovo

La parete arteriosa è costituita da tre tuniche relativamente ben definite: intima, media e avventizia (Figura).

La tonaca intima rappresenta lo strato più interno dell’arteria. Il rivestimento interno a contatto col sangue è costituito dall’endotelio, tessuto epiteliale pavimentoso formato da un unico strato di cellule appiattite e distanziate tra loro in modo da formare una barriera impermeabile, che può diventare permeabile in conseguenza a diversi stimoli. Poiché il singolo strato di cellule endoteliali è l’unica barriera tra il sangue e i tessuti trombogenici sottostanti, l’integrità dell’endotelio è di fondamentale importanza per il mantenimento delle caratteristiche strutturali e funzionali del vaso. L’endotelio si appoggia sulla lamina basale, uno strato di tessuto connettivo lasso, costituito da collagene (che ha attività trombogenica), proteoglicani, elastina e altre glicoproteine della matrice. Oltre ad avere funzione strutturale, l’endotelio funge da filtro per gli scambi vasi/interstizio sia in condizioni fisiologiche che patologiche. Ha, inoltre, un importante ruolo nel regolare il tono vascolare, l’adesione di piastrine e leucociti, e la proliferazione delle cellule muscolari lisce. Il rivestimento più esterno dell’intima è una struttura elastica (detta lamina elastica interna), non presente nei capillari, formata da uno strato fenestrato di fibre elastiche disperse e disposte in direzione longitudinale. Questi spazi, soprattutto nelle arterie di medio calibro, permettono alle cellule muscolari lisce di penetrare nell’intima (cellule miointimali). La tonaca intima non è una mera barriera passiva, ma ha funzioni ben precise nella regolazione della pressione arteriosa e dell’emostasi.

La tonaca media (o strato muscolare) è assente nei capillari. È composta da un’alternanza di strati di cellule muscolari lisce e di fibre elastiche, disposte su più strati concentrici, più o meno toniche a seconda del tipo di arteria. Mentre le fibre elastiche prevalgono nelle grosse arterie, le fibre muscolari sono preminenti nelle arterie di medio e piccolo calibro. La media è una tonaca poco vascolarizzata; l’ossigeno e le sostanze nutritive necessarie al lavoro muscolare arrivano per diffusione dai vasi dell’avventizia. L’elasticità della tonaca media contribuisce alla propagazione dell’impulso sistolico del cuore, favorendo il flusso del sangue nel torrente circolatorio e smorzandone la natura pulsata. Con l’avanzare dell’età le fibre elastiche tendono a deteriorarsi e sono sostituite da tessuto fibroso. In condizioni fisiologiche le cellule muscolari lisce contribuiscono a regolare l’attività motoria dei vasi, sono in grado di sintetizzare vari tipi di collagene, proteoamminoglicani ed elastina, e sono dotate di recettori per le LDL.

La tonaca avventizia è lo strato più esterno che avvolge i vasi arteriosi. È formata da connettivo fibrillare e/o elastico con cellule di origine mesenchimale. Nelle arterie di notevole calibro (>7 mm), la tonaca avventizia è costituita da cellule (solitamente fibrociti) e fibre collagene frammiste a numerose fibre elastiche che, al limite della tonaca media, si addensano a costituire la lamina elastica esterna, una membrana elastica fenestrata simile alla lamina elastica interna. Nelle arterie di media grandezza (2,5-6 mm), la tonaca esterna è costituita da tessuto connettivale fibrillare a fasci intrecciati, misti a fibre elastiche (in queste arterie assume una parte predominante la parte elastica e muscolare della tonaca media). Nelle arterie di piccole dimensioni (<2,5 mm), la tonaca avventizia è poco rappresentata e nei vasi più fini è costituita solo da poche cellule allungate e disposte parallelamente all’asse del vaso. Capillari e precapillari non presentano una tonaca avventizia, ma solo rare cellule mesenchimali chiamate periciti dalla funzione ignota.