Negli ultimi due decenni gli epidemiologi si sono concentrati sull’effetto di livelli pressori subottimali, non francamente patologici. Nelle Linee Guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) e della Società Europea dell’Ipertensione (ESH) una pressione “Normale-Alta” è definita dal riscontro ripetuto di valori di pressione sistolica compresi fra 130 e 139 mmHg e/o di pressione diastolica compresi fra 85 e 89 mmHg. Questa condizione clinica interessa circa il 30% della popolazione generale ed è caratterizzata da un rischio cardiovascolare che sembra crescere in modo proporzionale rispetto ai valori ottimali di 120/80 mmHg.
Le Linee Guida dell’ESH definiscono i suggerimenti per gli interventi non farmacologici sulla pressione normale-alta: ridurre l’assunzione di sale a <5 grammi/die; ridurre l’assunzione di alcool (specie nelle donne); aumentare il consumo di verdure, frutta fresca e secca, olio d’oliva, latticini a basso contenuto in grasso, riducendo l’apporto di carne; ottimizzare il peso corporeo e la circonferenza vita; aumentare l’esercizio aerobico regolare; annullare l’esposizione attiva o passiva al fumo di sigaretta.
La Società Italiana Ipertensione Arteriosa (SIIA) ha prodotto un ampio documento di consensus evidence-based sul razionale di impiego e l’evidenza clinica per l’utilizzo di numero elevato di nutrienti, nutraceutici e fitoterapici. Fra gli alimenti, l’evidenza più convincente si ha per barbabietola rossa, ibisco, succo di melograno, semi di sesamo e catechine (specie infuso di tè). Fra i nutrienti, i livelli pressori possono essere ridotti da magnesio, potassio (da usarsi con cautela nei pazienti con insufficienza renale avanzata e/o assumenti diuretici risparmiatori di potassio/antialdosteronici), e vitamina C. Fra i nutraceutici non-nutrienti, sono di interesse gli estratti di aglio invecchiato, la frazione flavonoica del biancospino, isoflavoni della soia, il resveratrolo, e la melatonina.
In ogni caso, i documenti promossi da SIIA ed ESH stressano l’importanza di non considerare mai l’approccio nutraceutico in sostituzione di quello farmacologico, quando questo sia indicato.
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GLI OMEGA 3 NON SONO SUPERIORI AL PLACEBO NEL RIDURRE GLI EVENTI CARDIOVASCOLARI NEL PAZIENTE AD ALTO RISCHIO CARDIOVASCOLARE
I risultati dello STRENGTH trial sono stati presentati al congresso dell’American Heart Association 2020, svoltosi quest’anno in modalità virtuale, per le ben note ragioni.
Lo scopo dello studio è stato di valutare l’efficacia della combinazione EPA+DHA (omega-3) verso placebo in pazienti con dislipidemia e alto rischio cardiovascolare. Si tratta di uno studio randomizzato, in doppio cieco, in cui sono stati arruolati 6.539 pazienti nel gruppo omega-3 e 6.539 nel gruppo placebo. La mediana del follow-up è stata di 42 mesi. L’età media dei pazienti era di 63 anni. Il 35% dei pazienti era di sesso femminile e il 70% aveva un diabete mellito. Il trial è stato interrotto precocemente perché un’analisi ad interim programmata ha rivelato una bassa probabilità di beneficio nel gruppo omega-3. L’outcome primario composito di morte cardiovascolare, infarto del miocardio, stroke, rivascolarizzazione percutanea, o ospedalizzazione per angina instabile si è verificato nel 12,3% dei pazienti del gruppo omega-3 e nel 12,2% dei pazienti del gruppo placebo (p=0,84). Per quanto riguarda gli outcomes secondari si è evidenziato: fibrillazione atriale nel 2,2% dei pazienti nel gruppo omega-3 e 1,3% nel gruppo placebo (p<0,001); eventi avversi gastrointestinali nel 24,7% (omega-3) e 14,7% (placebo); sanguinamenti maggiori nel 0,8% (omega-3) e 0,7% (placebo).
Chi di voi è interessato agli effetti degli acidi grassi omega-3 sul rischio cardiovascolare noterà che i risultati dello STRENGHT sono diversi da quelli del REDUCE-IT e del JELIS, che invece hanno dimostrato un beneficio degli omega-3 sugli eventi cardiovascolari. La differenza è probabilmente imputabile alla diversa formulazione di omega-3 utilizzata nei tre studi. Il REDUCE-IT e il JALIS hanno utilizzato EPA puri, mentre lo STRENGTH ha utilizzato una combinazione di EPA e DHA. Emergerebbe quindi un chiaro beneficio dell’EPA nei confronti della miscela.