BIODISPONIBILITÀ DELLA CURCUMINA

La curcumina è un composto a bassa biodisponibilità orale. Questa caratteristica farmacocinetica è riconducibile a diversi fattori. Innanzitutto la sua instabilità, per cui in soluzioni acquose a pH alcalino la curcumina viene degradata per il 90% in circa 30 minuti, mentre in soluzioni a pH acido si degrada di circa il 20% in 1 ora. Inoltre la curcumina è scarsamente solubile in soluzioni acquose, ha un ridotto assorbimento intestinale e subisce un notevole metabolismo di primo passaggio intestinale ed epatico. Dopo assunzione orale, il picco plasmatico di curcumina si osserva a distanza di 1-2 ore, con concentrazioni ematiche non rilevabili a circa 12 ore.

Potenziali strategie finalizzate a incrementare la biodisponibilità orale della curcumina mirano ad aumentare la dose (totale o frazionata) somministrata, potenziarne la stabilità, ridurne l’inattivazione intestinale, impedirne il metabolismo e migliorarne la captazione a livello enterocitario tramite l’inclusione in complessi fosfolipidici, micro-emulsioni, nano particelle e preparati liposomiali, fitosomiali, micellari o polimerici (Figura). Studi di farmacocinetica hanno mostrato un significativo incremento dell’assorbimento intestinale di curcumina con tali formulazioni, che favoriscono il raggiungimento di maggiori concentrazioni plasmatiche, maggiore emivita e maggiore efficacia. Un’ulteriore strategia finalizzata all’incremento della biodisponibilità orale dei curcuminoidi è rappresentata dalla co-somministrazione di sostanze capaci di inibirne la coniugazione, quali la piperina, la quercetina e la silibinina, inibitori naturali della UDP-glucoroniltransferasi, enzima chiave nel metabolismo di primo passaggio intestinale ed epatico dei curcuminoidi.

Giornale Italiano dell’Arteriosclerosi 8:90, 2017

COS’È LA CURCUMINA?

La curcumina appartiene alla famiglia dei curcuminoidi, polifenoli vegetali presenti nella curcuma, una spezia di comune impiego in diverse cucine e medicine tradizionali asiatiche, estratta dalla radice della Curcuma longa (genere Zingiberaceae). I principali curcuminoidi presenti nella curcuma sono la curcumina o diferuloil-metano (70-85%) e i suoi analoghi biologicamente attivi, la dimetossicurcumina o curcumina II (circa il 17%) e la bi-dimetossicurcumina o curcumina III (circa il 6%) (Figura). I curcuminoidi hanno diversi possibili effetti benefici sulla salute; tra questi spiccano quelli anti-infiammatori, anti-ossidanti, ipolipemizzante e ipoglicemizzante. Studi sperimentali e clinici hanno confermato la sicurezza dell’assunzione della curcumina, con conseguente approvazione del suo impiego da parte della Food and Drug Administration (FDA). Nell’uomo stati somministrati sino a 12 g/die di curcumina per via orale per un periodo di quattro mesi, in assenza di tossicità; solo alle dosi più elevate sono stati descritti modesti effetti collaterali, per lo più di tipo gastrointestinale (diarrea, nausea, colorazione giallastra delle feci). Ad oggi, la maggior parte dei dati disponibili sull’efficacia terapeutica dei curcuminoidi proviene da studi sperimentali in modelli animali; gli studi clinici effettuati sono per lo più osservazionali e basati su casistiche di dimensioni ridotte. Nelle prossime settimane discuteremo gli effetti metabolici dei curcuminoidi e l’impatto degli stessi sul danno vascolare.

Giornale Italiano dell’Arteriosclerosi 8:90, 2017

BROCCOLI PER IL TRATTAMENTO DEL DIABETE? DALL’AGRICOLTURA ALLA NUTRACEUTICA

Il consumo di vegetali è un componente cruciale della dieta mediterranea, che come sapete costituisce il modello di alimentazione ideale per prevenire l’insorgenza di malattie cardiovascolari, ridurre la mortalità e promuovere la longevità. Qui si evidenzia il ruolo dei broccoli nel controllo del metabolismo glucidico e del diabete.

I broccoli, come cavoli e cavolini di Bruxelles, contengono una sostanza, il sulforafano appartenente alla famiglia degli isotiacianati, che è in grado di interagire con vari bersagli biologici, proponendosi quindi come nutraceutico per il trattamento di varie patologie, come cancro, broncopneumopatia cronica ostruttiva e malattie infiammatorie croniche.

Il sulforafano è in grado di ridurre la glicemia nei ratti diabetici. Ora un team di ricercatori svedesi e statunitensi dimostra che un estratto di broccoli contenente un’elevata concentrazione di glucorafanina, il precursore del sulforafano, è in grado di ridurre la produzione di glucosio in vitro nelle cellule del fegato. Lo stesso estratto è stato poi somministrato giornalmente, alla dose giornaliera corrispondente a 5 kg. di broccoli (ecco la differenza tra alimento e nutraceutico!) per un periodo di12 settimane, a 97 pazienti con diabete di tipo 2 trattati con metformina, il farmaco d’elezione per questa malattia. L’estratto ha ridotto la glicemia del 10%, con efficacia maggiore nei pazienti obesi con scarso controllo glicemico. L’estratto, che è stato ben tollerato, non è ancora in commercio, ma il suo debutto sugli scaffali delle farmacie non è lontano. Ecco un altro fulgido esempio di come un alimento può trasformarsi in nutraceutico.

Sci Transl Med (IF=16.761) Jun 14 2017; 9(394). doi: 10.1126/scitranslmed.aah4477

INTEGRATORI PER IL CONTROLLO DEL COLESTEROLO – LE PROTEINE DI SOIA

 

La soia (Glycine max) è una pianta erbacea della famiglia delle leguminose, originaria dell’Asia e oggi coltivata in tutto il mondo per l’alimentazione dell’uomo e degli animali di allevamento. È ricca in proteine (36-46% a seconda delle varietà), carboidrati solubili (15%) e fibre (15%). Rispetto ad altri legumi, ha un contenuto particolarmente elevato di aminoacidi essenziali.

Le proprietà nutrizionali e gli effetti sulla salute della soia sono stati oggetto di ampio studio, con l’epidemiologia a dimostrare un’associazione inversa tra rischio cardiovascolare e consumo di soia, prevalentemente ascritta alle sue proprietà ipocolesterolemizzanti. La letteratura scientifica ha nel tempo attribuito tali proprietà a diversi componenti della soia, come gli isoflavoni, fitoestrogeni che si legano al recettore degli estrogeni ed esercitano attività estrogeno-simili.

Nel 1980 i ricercatori del Centro coordinavano uno studio multicentrico, pubblicato sulla prestigiosa rivista “The Lancet”, che dimostrava l’efficacia di una dieta ricca in proteine di soia nel ridurre i livelli di colesterolo-LDL in pazienti ipercolesterolemici. L’attività ipocolesterolemizzante è attribuibile alla capacità di alcune specifiche proteine, la beta-conglicinina (vicilina, 7S globulina) e la glicinina (legumina, 11S globulina), e peptidi di aumentare l’espressione dei recettori LDL, e quindi accelerare il catabolismo delle LDL (il meccanismo attivato indirettamente dalle statine e dal riso rosso fermentato, vedi post precedente di questa serie).

Tuttavia l’affermazione delle proprietà ipocolesterolemizzanti delle proteine di soia è stata nel tempo controversa. Una meta-analisi di 38 trials condotti tra il 1967 e il 1994 concludeva che le proteine di soia riducono il colesterolo LDL del 12.9%, il che ha indotto la Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ad approvare nel 1999 un “claim”(vedi il primo post di questa serie), che affermava che un consumo giornaliero di 25 g di proteine di soia può ridurre il rischio cardiovascolare. Meta-analisi successive dimostravano un’efficacia minore delle proteine di soia, con riduzioni del colesterolo LDL del 4-6%. L’EFSA, l’agenzia europea per la sicurezza degli alimenti, non ha approvato nel 2012 un “claim” sugli effetti ipocolesterolemizzanti di proteine di soia isolate per mancanza di evidenza. Infine, nel 2015, l’agenzia canadese Health Canada ha approvato un “claim” che afferma l’utilità di proteine di soia isolate o concentrate nel controllo del colesterolo.

L’evidenza, seppur con qualche opinione incerta, dimostra che il consumo di integratori a base di proteine di soia può essere utile nel controllo della colesterolemia nella popolazione generale e in pazienti con lieve ipercolesterolemia e moderato rischio cardiovascolare.

INTEGRATORI PER IL CONTROLLO DEL COLESTEROLO – IL PARADOSSO DEL RISO ROSSO FERMENTATO

 

Il riso rosso fermentato (RRF), che deve il suo nome alla caratteristica colorazione (Figura), è un componente tradizionale dell’alimentazione e medicina cinese, utilizzato da secoli per la preparazione di bevande alcoliche, come colorante per i cibi, e per “promuovere la digestione e la circolazione”. Viene ottenuto dalla fermentazione del comune riso da cucina (Oryza sativa) da parte di un lievito, chiamato Monascus purpureus, identificato e isolato nel 1895. Nel 1979 un ricercatore giapponese, Akira Endo, identificò una sostanza presente nel RRF, che chiamò monacolina K, in grado di ridurre la biosintesi del colesterolo attraverso l’inibizione dell’enzima chiave del processo, l’HMG-CoA reduttasi. Nell’anno successivo, lo stesso Endo stabilì l’identità tra monacolina K e lovastatina, il capostipite della formidabile classe di farmaci ipocolesterolemizzanti denominati statine, commercializzato con il nome di Mevacor, che condivide con la monacolina K la capacità di inibire l’HMG-CoA reduttasi. Non stupisce quindi che il riso rosso fermentato, o suoi estratti, abbiano la capacità di abbassare i livelli di colesterolo LDL nel sangue del 10-15%.

Mentre le statine di sintesi sono farmaci, e quindi il loro impiego è strettamente disciplinato dalle agenzie governative che regolano il mercato dei farmaci, l’impiego di estratti di RRF è ammesso nella produzione di integratori alimentari, purché rimanga entro certi limiti fissati dal Ministero (vedi sotto). Tutto ciò ha contribuito ad alimentare il fiorente mercato del riso rosso, spesso pubblicizzato in maniera eccessiva e scarsamente professionale. D’altra parte, l’acquirente medio è attirato dalla possibilità di migliorare il proprio quadro lipidico ricorrendo a un prodotto naturale, e per questo ritenuto privo di rischi.

Se le proprietà ipocolesterolemizzanti del RRF sono documentate, molto poco si sa infatti di eventuali effetti collaterali, potenzialmente simili a quelli delle statine di sintesi, a livello epatico e muscolare. È sorto quindi il problema dell’utilizzo di integratori alimentari contenenti RRF, e quindi monacolina K, anche se a dosaggi inferiori a quelli delle statine di sintesi (5-80 mg/die). Per quanto riguarda gli integratori alimentari in commercio in Italia, il dosaggio massimo consentito di monacolina K è di 3 mg/die, secondo la nota del Ministero della Salute 600.121AG21/2839 del 01/10/2003 e successiva circolare 600.12/AG21/3178 del 12/11/2003. Secondo il Ministero della Salute, “il limite predetto infatti, è stato individuato come il più idoneo ad assicurare adeguate garanzie di sicurezza d’uso e a mantenere entro limiti fisiologici gli effetti del prodotto, considerato il complesso dei costituenti dell’estratto di riso rosso fermentato. Esiste sempre la possibilità di effetti collaterali derivanti dal prolungato uso del riso rosso fermentato, effetti che possono essere paragonabili a quelli prodotti dalle moderne statine di sintesi”. Tuttavia, l’analisi di 12 diversi prodotti a base di RRF commercializzati negli USA ha rivelato contenuti molto variabili di monacolina K (da 0.1 a 10.09 mg per capsula da 600 mg di estratto).

Va ricordato poi che in Italia l’etichettatura degli integratori alimentari contenenti RRF ammette il riferimento a effetti favorevoli sul controllo del colesterolo plasmatico, senza alcun richiamo a un loro utilizzo in chiare situazioni patologiche, come le ipercolesterolemie, che richiedono interventi terapeutici su prescrizione medica.

Quindi, PRESTATE ATTENZIONE quando acquistate integratori alimentari contenenti riso rosso fermentato, e DISCUTETENE SEMPRE L’UTILIZZO CON IL VOSTRO MEDICO.

INTEGRATORI PER IL CONTROLLO DEL COLESTEROLO – I FITOSTEROLI

Gli steroli e stanoli vegetali (generalmente accorpati nel termine fitosteroli) sono componenti bioattivi dei vegetali con struttura e funzioni simili al colesterolo. Il più comune fitosterolo è il sitosterolo, che rappresenta circa il 60% di tutti gli steroli vegetali; seguono campesterolo e sigmasterolo. Gli stanoli sono forme ossigenate, meno abbondanti, degli steroli, non avendo doppi legami sull’anello steroideo.
I fitosteroli sono presenti in quantità variabili negli alimenti di origine vegetale, come mandorle (183mg/100g), nocciole (138mg/100g), frumento (pane, 44mg/100g), broccoli (39mg/100g), arance (24mg/100g), carote (16mg/100g), mele (13mg/100g)…..e negli oli vegetali, mais (715-950mg/100g), colza (250-731mg/100g), oliva (144-150mg/100g)… L’assunzione giornaliera di fitosteroli è di 200-300mg.
Esistono in commercio alimenti addizionati (functional foods) di fitosteroli, come margarina, yogurt, latte; uno yogurt molto pubblicizzato ha un contenuto dichiarato di 1.6 g di fitosteroli per flacone. Gli integratori sono rappresentati da compresse o capsule, con contenuto variabile di fitosteroli, e dosi giornaliere raccomandate in etichetta di 0.6-1.6 g/die.
Colesterolo e fitosteroli contenuti negli alimenti (e i fitosteroli contenuti negli integratori) vengono assorbiti dall’intestino umano con meccanismi molecolari sostanzialmente identici; pertanto i fitosteroli sono in grado di competere con il colesterolo, riducendone l’assorbimento intestinale. Segue una catena di eventi metabolici: il trasporto di colesterolo di origine alimentare al fegato diminuisce, il fegato risponde con un’aumentata espressione dei recettori per le lipoproteine LDL, la rimozione epatica delle LDL dal circolo aumenta, la concentrazione di colesterolo-LDL (il colesterolo “cattivo”) nel sangue diminuisce (fino al 10%). Poiché la riduzione del colesterolo-LDL è proporzionale alla capacità dei fitosteroli di inibire l’assorbimento intestinale del colesterolo, la massima efficacia si ottiene assumendoli al termine del pasto principale; se assunti a digiuno, l’efficacia è pressoché nulla.

La riduzione del colesterolo-LDL indotta dai fitosteroli è dose-dipendente fino a 3 g/die; dopodiché, un ulteriore aumento dell’assunzione di fitosteroli non produce maggiori benefici. L’assunzione giornaliera raccomandata dalle Società Scientifiche è generalmente di 2 g/die. Tale quantità è difficilmente raggiungibile con una normale alimentazione, e richiede il ricorso ad alimenti addizionati o integratori.
I fitosteroli, se assunti alle dosi raccomandate, non producono effetti collaterali significativi; dosi più elevate possono ridurre l’assorbimento di vitamine liposolubili.

INTEGRATORI PER IL CONTROLLO DEL COLESTEROLO – 2

Elevati livelli di colesterolo (in particolare colesterolo-LDL, il colesterolo “cattivo”) nel sangue si associano a un’aumentata morbilità (infarto miocardico, angina, ischemia cerebrale) e mortalità cardiovascolare, e rappresentano uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare. Un numero ormai ragguardevole di studi clinici ha dimostrato che una riduzione dei livelli di colesterolo-LDL produce una diminuzione significativa degli infarti miocardici, delle ischemie cerebrali, delle morti e di altri eventi cardiovascolari. Il beneficio in termini di riduzione degli eventi dipende dal livello di colesterolo-LDL all’inizio della terapia (più alto il livello, maggiore il beneficio), dal rischio cardiovascolare globale (la sommatoria di tutti i fattori di rischio come età, sesso, famigliarità cardiovascolare, diabete, ipertensione, fumo di sigaretta, sovrappeso….) del singolo individuo, e dal livello di colesterolo-LDL raggiunto con la terapia (minore il livello, maggiore il beneficio). L’intensità dell’intervento volto a ridurre il livello di colesterolo-LDL deve essere quindi commisurato al valore pre-terapia e al rischio globale individuale (che può essere calcolato con algoritmi e “carte del rischio” disponibili anche sul web). Le più recenti raccomandazioni degli esperti Europei indicano valori-obiettivo post-intervento di colesterolo-LDL inferiori a 70 mg/dL nei soggetti a rischio molto elevato, inferiori a 100 mg/dL nei soggetti a rischio elevato e inferiori a 115 mg/dL nei soggetti a rischio moderato.

Le strategie di intervento per ridurre il livello di colesterolo-LDL e raggiungere i valori-obiettivo raccomandati sono essenzialmente di due tipi: (1) modificazione dello stile di vita e (2) terapia farmacologica. Il primo tipo di intervento include una correzione delle errate abitudini alimentari, con riduzione dell’apporto alimentare di colesterolo e di grassi saturi e “trans” e aumento dell’assunzione di fibre, e un incremento dell’attività fisica. Questo tipo di intervento è indispensabile sia nel soggetto a basso rischio, che nel soggetto ad alto rischio che assume una terapia farmacologica. Tuttavia la sua efficacia è limitata dalla scarsa aderenza del soggetto alle raccomandazioni di variare le abitudini alimentari e dal fatto che i componenti alimentari in grado di ridurre il livello di colesterolo-LDL sono spesso presenti in bassissime quantità nei cibi. I nutraceutici possono rappresentare un utile complemento alle raccomandazioni dietetiche per implementarne l’efficacia. Sono stati proposti vari nutraceutici potenzialmente in grado di ridurre il livello di colesterolo-LDL. Nonostante l’elevata disponibilità di prodotti, l’evidenza scientifica della loro efficacia è in alcuni casi carente.

 

 

INTEGRATORI PER IL CONTROLLO DEL COLESTEROLO

Il termine “nutraceutico” (in Italia “integratore alimentare”) è un neologismo originato dalle parole: nutrizione e farmaceutico. Venne coniato nel 1989 dal Dott. Stephen De Felice a indicare “un alimento (o parte di esso) che ha effetti positivi per il benessere e la salute, inclusi la prevenzione e il trattamento delle malattie”. Tale definizione è evoluta nel tempo fino a quella più attuale di “supplemento alimentare che fornisce una forma concentrata di una sostanza plausibilmente bioattiva derivata da un alimento, commercializzata in forma farmaceutica (compressa, capsula, granulato…) e non in forma di alimento, e utilizzata per prevenire e curare una malattia, a dosaggi che superano quelli comunemente forniti da una normale alimentazione”.
Diverso è un “alimento funzionale”, ovvero un “alimento caratterizzato da effetti addizionali dovuti alla presenza di componenti (generalmente non nutrienti) naturalmente presenti o aggiunti che interagiscono più o meno selettivamente con una o più funzioni fisiologiche dell’organismo, generando effetti positivi sul mantenimento della salute e/o prevenzione delle malattie”.
A differenza dei farmaci, la commercializzazione dei nutraceutici non è soggetta ad approvazione da parte delle agenzie governative. La Commissione Europea regola il mercato dei nutraceutici attraverso l’European Food Safety Authority (EFSA), che autorizza i produttori di nutraceutici a utilizzare nelle confezioni i cosiddetti “health claims” (effetti sulla salute). Gli “health claims” debbono essere supportati da un’adeguata evidenza scientifica, che dimostri i benefici sulla salute umana e l’esistenza di una relazione causa-effetto tra il consumo del nutraceutico e l’effetto sulla salute. Il produttore deve dichiarare le caratteristiche degli individui cha trarranno beneficio dall’uso del nutraceutico, e le categorie di individui che debbono invece evitare l’uso del nutraceutico.