L’ATTIVITÀ FISICA ALLUNGA LA VITA

Abbiamo già parlato su questa pagina dello studio PURE (Prospective Urban Rural Epidemiology), che ha monitorato più di 130000 soggetti fra 35 e 70 anni di età, arruolati in 18 Paesi a diverso sviluppo socio-economico e reddito, distribuiti in 5 continenti. In questa analisi i ricercatori hanno esaminato la relazione tra quantità/tipologia di attività fisica e mortalità.

La mortalità totale è ridotta del 20% e del 35% negli individui che svolgono un’attività fisica moderata (150-750 minuti/settimana di attività fisica moderata) o intensa (>750 minuti/settimana), rispetto a quelli con una scarsa attività fisica (<150 minuti/settimana) (Figura). Come atteso, l’attività fisica riduce anche gli eventi e la mortalità cardiovascolari. Il pregio di questo studio sta, oltre che nell’ampio numero di soggetti analizzati, nella distribuzione assai eterogenea delle popolazioni esaminate. I ricercatori hanno così potuto stabilire che l’effetto protettivo dell’attività fisica è indipendente dal reddito e dalla qualità (ricreativa o lavorativa) dell’attività fisica svolta.

I ricercatori concludono che incrementare l’attività fisica è una strategia a basso costo per allungare la vita e migliorarne la qualità.

Lancet (IF=53.254) 390:2643,2017

UNA CORRETTA ATTIVITÀ FISICA RIPARA I DANNI DOVUTI ALL’INVECCHIAMENTO DEL CUORE. NON È MAI TROPPO TARDI PER INCOMINCIARE A MUOVERSI

L’invecchiamento causa un progressivo irrigidimento del muscolo cardiaco, con deterioramento della funzionalità ventricolare. La ridotta elasticità del muscolo diminuisce lo svuotamento del ventricolo durante la sistole e riduce la capacità del cuore di pompare sangue in circolo. Tutto ciò può sfociare in un’insufficienza cardiaca.

Al contrario, nei soggetti che svolgono un’intensa attività fisica, come gli atleti nella categoria “master”, il muscolo cardiaco rimane molto elastico, il volume ventricolare è elevato e la circolazione sanguigna efficiente.

I ricercatori texani hanno voluto verificare se un’adeguata attività fisica, iniziata nella mezz’età, sia in grado di correggere la perdita di funzionalità cardiaca dovuta all’invecchiamento. Hanno così reclutato 53 soggetti sedentari di mezz’età (dai 45 ai 64 anni). Metà ha seguito un complesso programma di intensificazione dell’attività fisica aerobica, che prevedeva 2 sedute settimanali di attività fisica moderata per due mesi, aumentate a 3 sedute nel terzo mese e integrate da due sedute settimanali di attività fisica intensa per i successivi 21 mesi; i partecipanti erano incoraggiati a compiere diversi tipi di attività fisica (treadmill, bicicletta, tennis, nuoto, palestra, ecc). Il programma del gruppo controllo prevedeva tre sedute settimanali di esercizio anaerobico e yoga.

La potenza aerobica (VO2max) è aumentata del 18% negli individui che hanno svolto attività fisica aerobica ed è rimasta invariata nel gruppo controllo. Parallelamente è diminuita la rigidità del muscolo cardiaco ed è aumentato il volume telediastolico, a indicare un maggior riempimento della camera ventricolare.

Si dimostra quindi che iniziare e mantenere un’adeguata attività fisica nella mezz’età, quando il muscolo cardiaco è ancora in grado di rimodellarsi e di recuperare elasticità, può riparare i danni al cuore indotti da sedentarietà e invecchiamento, riducendo quindi il rischio di incorrere in malattie cardiache come l’insufficienza cardiaca. Il Dr. Levine, autore senior della pubblicazione, propone che ”un’adeguata attività fisica diventi una comune componente dell’igiene personale, come lavarsi i denti e fare la doccia”.

Circulation (IF=19.309) 137:1549,2018

OMS. MALATTIE CARDIOVASCOLARI, CANCRO E DIABETE: SENZA ATTIVITÀ FISICA IL RISCHIO DI MORTE SALE DEL 20-30%.

Un adulto su quattro nel mondo non fa attività fisica e tra gli adolescenti è inattivo fisicamente oltre l’80% dei ragazzi. Eppure un minimo di attività fisica (anche non sportiva) è capace di ridurre sensibilmente il rischio di morte prematura per molte malattie come quelle cardiovascolari, il cancro e il diabete. Al contrario la sedentarietà può portare a un aumento dal 20 al 30% della mortalità
L’allarme è lanciato ancora una volta dall’OMS, che ricorda come sia stato pianificato a livello globale l’obiettivo di guadagnare al movimento fisico almeno un 10% di sedentari entro il 2025. Per farlo, ricorda l’OMS, servono politiche incentivanti e sensibilizzanti, considerando che attualmente solo il 56% degli Stati membri è già impegnato in tal senso.
Intendiamoci, l’OMS non vuole un mondo di “atleti”; per “attività fisica” si intende infatti un qualsiasi movimento corporeo che richiede un dispendio energetico, comprese le attività intraprese durante il lavoro, il gioco, lo svolgimento di lavori domestici, il turismo e il coinvolgimento in attività ricreative.
Muoversi fa bene a tutte le età e l’OMS ha preparato uno schema riassuntivo di raccomandazioni disegnate per tutti, dai 5 ai 65 anni e più.
Bambini e adolescenti dai 5 ai 17 anni. Fare almeno 60 minuti di attività fisica da moderata a intensa ogni giorno; essere attivi anche oltre 60 minuti fornirà ulteriori benefici per la salute; includere anche attività che rafforzano muscoli e articolazioni almeno 3 volte a settimana.
Adulti tra 18 e 64 anni. Minimo 75 minuti a settimana di attività fisica, ma la soglia media consigliata è quella di 150 minuti a settimana; tuttavia per ottenere reali benefici in grado di incidere sulla salute bisognerebbe arrivare a 300 minuti a settimana.
Adulti di età pari o superiore a 65 anni Per gli ultrasessantacinquenni in buona forma stesse soglie consigliate ai più giovani (75-150-300). Per chi ha scarsa mobilità il consiglio è comunque quello di fare movimento 3 o più giorni alla settimana, anche se controllato, utile a migliorare l’equilibrio e prevenire cadute.
Livelli regolari e adeguati di attività fisica possono: migliorare la forma fisica muscolare e cardiorespiratoria; migliorare le articolazioni e la salute funzionale; ridurre il rischio di ipertensione, cardiopatia ischemica, ictus, diabete, vari tipi di cancro (incluso cancro alla mammella e tumore del colon) e depressione; ridurre il rischio di cadute e fratture dell’anca o vertebrali.

OMS. UN MONDO DI SEDENTARI? I PIÙ INATTIVI SONO GLI ADOLESCENTI

I dati OMS indicano che circa un quarto della popolazione è sedentaria e non compie alcuna attività fisica, più le donne (27%) che gli uomini (20%).
Numeri che salgono nei Paesi ricchi dove a non muoversi sono il 26% degli uomini e il 35% delle donne, rispetto al 12% degli uomini e al 24% delle donne nei paesi a basso reddito.
Il calo dell’attività fisica è in parte dovuto all’inattività durante il tempo libero e al comportamento sedentario sul posto di lavoro e a casa. Allo stesso modo, un aumento dell’uso di modalità di trasporto “passive” contribuisce anche a un’attività fisica insufficiente.
E gli adolescenti? I dati indicano una platea adolescenziale che non ama fare attività fisica e che vede una preoccupante sedentarietà nell’81% degli adolescenti di età compresa tra 11 e 17 anni, più le ragazze (84%) che i ragazzi (78%)
La colpa, spiega l’OMS, è imputabile a diversi fattori, di cui molti legati all’urbanizzazione: traffico ad alta densità; bassa qualità dell’aria, inquinamento; mancanza di parchi, marciapiedi e strutture sportive/ricreative; paura della violenza e della criminalità nelle aree periferiche.
Che fare? Diverse le politiche e le azioni da attuare: camminare e andare in bicicletta come forme di trasporto attive da rendere accessibili e sicure per tutti; implementare politiche del lavoro e sul posto di lavoro che incoraggino l’attività fisica; attrezzare le scuole con spazi sicuri e strutture adeguate per consentire agli studenti di trascorrere il loro tempo libero attivamente; aumentare le strutture sportive e ricreative che offrano a tutti l’opportunità di praticare sport.
Si tratta di politiche complesse che richiedono investimenti e azioni concrete e che sulla carta hanno visto predisporre piani ad hoc in otto paesi su dieci dell’OMS, ma che in realtà risultano attive in poco più della metà (56%).
Del resto è dal 2013 che l’OMS ha aggiornato i suoi obiettivi in questo campo, fissando un target neanche troppo ambizioso per il 2025, con la riduzione di almeno il 10% del numero dei soggetti inattivi. E ora è al lavoro per un ulteriore sviluppo del Piano cercando di coordinare ancora meglio gli sforzi con tutte le parti interessate, tenendo conto delle attuali conoscenze scientifiche, delle prove disponibili, dell’esame di esperienze, innovazioni e dei nuovi dati internazionali.

UN’ATTIVITÀ FISICA MODERATA RIDUCE DEL 14% IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE E DEL 20% LA MORTALITÀ

Lo dice lo studio PURE (Prospective Urban Rural Epidemiology), i cui risultati sono stati pubblicati su Lancet. L’indagine è durata sette anni e ha preso in considerazione 130 mila individui sani tra i 35 e i 70 anni, provenienti da zone rurali e urbane di 17 diversi Paesi, sviluppati e non, dalla Svezia al Brasile, dalla Cina allo Zimbabwe. I partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi in base all’intensità dell’attività fisica svolta: bassa (<600 METxmin a settimana) (per la definizione di MET vedi l’articolo “Come si misura l’attività fisica?”); moderata (600-3000 METxmin a settimana) ed elevata (>3000 METxmin a settimana).

Nei soggetti che svolgono un’attività fisica moderata il rischio di eventi cardiovascolari è ridotto del 14%, e la mortalità totale del 20%, rispetto ai soggetti a bassa attività (Figura). Un’attività fisica elevata riduce gli eventi cardiovascolari e la mortalità del 25% e 35%.

Lo studio PURE conferma il ben noto beneficio dell’attività fisica sulla salute, cardiovascolare e non, dimostrando che il beneficio è simile per attività fisica ricreazionale (tipica dei paesi più evoluti) e non (legata prevalentemente al lavoro, nei paesi in via di sviluppo). Aumentare, anche di poco, l’attività fisica rappresenta un elemento irrinunciabile e a basso costo nella prevenzione cardiovascolare e per il mantenimento di una buona salute.

Lancet (IF=47.831) 390:2643, 2017

L’ATTIVITÀ FISICA ALLUNGA LA VITA ANCHE NEL PAZIENTE CARDIOPATICO

L’attività fisica è stata valutata in MET (Equivalenti Metabolici) (vedi articolo del giugno scorso) in più di 15000 pazienti con cardiopatia stabile di 39 Paesi. All’aumentare dell’attività fisica diminuisce la mortalità per tutte le cause; un raddoppio dei MET produce una riduzione della mortalità del 18% (95% CI 0.79-0.85). L’effetto maggiore si osserva nei pazienti sedentari e in quelli a rischio più elevato.

 

J Amer Coll Cardiol (IF=19.896) 70:1689,2017

IL PIÙ GRANDE STUDIO SULL’ATTIVITÀ FISICA SPONTANEA NEL MONDO. L’ITALIA AL 13° POSTO SU 46 PAESI

L’Università di Stanford in California ha individuato un nuovo strumento per monitorare in maniera accurata la pandemia di sedentarietà: il cellulare. In questo ambito i cellulari (3 adulti su 4 nei Paesi industrializzati e 1 adulto su 4 in quelli in via di sviluppo ne possiedono uno) rappresentano una risorsa formidabile poiché sono dotati di accelerometri in grado tra l’altro di registrare i passi che compiamo durante il giorno.

Nel più grande studio mai condotto finora sull’attività fisica ‘spontanea’, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista “Nature”, sono stati analizzati i dati degli utilizzatori di un’app gratuita (Azumio Argus) per il monitoraggio dell’attività fisica: 68 milioni di giorni di registrazioni da 717.527 utilizzatori anonimi (di cui erano disponibili età, genere, altezza, peso registrati sull’app), residenti in 110 Paesi diversi. L’analisi si è poi focalizzata su 46 Paesi, ognuno rappresentato da almeno un migliaio di utenti. Il 90% degli utenti viveva in 32 Paesi industrializzati e il 10% in Paesi in via di sviluppo. La media di passi giornalieri è stata di 4.961. Chi sono i più sedentari? Gli indonesiani, che ogni giorno percorrono 3.513 passi. Al contrario, sono gli abitanti di Hong Kong a potersi fregiare del titolo di popolazione più attiva, con una media di 6.880 passi giornalieri. L’Italia si colloca al 13° posto su 46 Paesi, davanti all’Irlanda e dietro alla Gran Bretagna, con 5.296 passi giornalieri (Figura 1).

I Paesi dove si cammina meno sono anche quelli dove si registra una maggiore differenza tra uomini e donne: le donne sono generalmente più inattive dei maschi. Il divario tra sessi è elevato nei poco attivi Stati Uniti e Arabia Saudita, ed è minore in Svezia e Giappone, dove si cammina di più. Un altro aspetto, meno sorprendente, riguarda poi l’assetto urbanistico delle città: in quelle con maggior numero di aree pedonali si registra più attività fisica a tutte le ore del giorno, nel finesettimana e anche durante la settimana. A muoversi di più sono tanto i giovani che gli più anziani.

Non sorprende, anzi è l’ennesima conferma, che alla riduzione dell’attività fisica corrisponda una maggior prevalenza di obesità (Figura 2). Attraverso simulazioni al computer, gli autori dello studio hanno dimostrato che gli interventi mirati sull’attività fisica possono determinare una riduzione dell’obesità 4 volte maggiore rispetto a interventi non mirati.

Importanti spunti di riflessione derivati da uno studio mille volte più ampio di qualunque altra ricerca mai realizzata finora sull’attività fisica spontanea, che ha utilizzato dati di vita reale e non questionari nei quali il grado di attività fisica viene autoriferito. Una metodologia di lavoro che apre la strada a un nuovo filone di ricerche, da cui potranno scaturire suggerimenti su come facilitare l’attività fisica e misure per invogliare gli individui a svolgerla.

Nature (IF=40.137) 547:336,2017

SVOLGERE ATTIVITÀ FISICA INTENSA RALLENTA L’INVECCHIAMENTO CELLULARE E ALLUNGA LA VITA

Decine di studi dimostrano che l’attività fisica (AF) riduce la mortalità, in particolare quella per malattie cardiovascolari. I meccanismi responsabili dell’azione protettiva dell’AF sono molteplici. Uno studio appena pubblicato su “Preventive Medicine” da ricercatori della Brigham Young University negli USA dimostra una relazione tra AF, invecchiamento cellulare, valutato misurando la lunghezza dei telomeri, e mortalità.

Il telomero è una struttura costituita da DNA e proteine, collocata nella regione terminale dei cromosomi, che protegge l’estremità del cromosoma stesso dal deterioramento o dalla fusione con cromosomi confinanti. Ad ogni divisione cellulare i telomeri si accorciano, la cellula invecchia e a lungo andare può morire per apoptosi. L’accorciamento dei telomeri, e quindi l’invecchiamento cellulare, è promosso da una serie di fattori, quali l’infiammazione e lo stress ossidativo, o da condizioni ad essi associate, come il diabete, l’obesità, il fumo di sigaretta. Un accorciamento dei telomeri aumenta la mortalità non solo delle cellule, ma anche dell’individuo, mentre il loro allungamento aumenta la longevità.

I ricercatori americani hanno misurato la lunghezza dei telomeri dei leucociti di 5823 adulti americani, 2766 uomini e 3057 donne. Come atteso, l’età anagrafica correla con la lunghezza dei telomeri; per ogni anno di età, i telomeri si accorciano di 15.6 nucleotidi. Una volta suddivisi i partecipanti in base all’AF svolta, misurata calcolando i MET-minuti (come abbiamo visto ieri), i soggetti che svolgono AF intensa (>1000 MET-minuti a settimana) hanno telomeri più lunghi di 140, 137, e 111 nucleotidi rispetto ai soggetti sedentari, o che svolgono AF modesta (<500 MET-minuti a settimana) o moderata (500-1000 MET-minuti a settimana). In altre parole, l’AF intensa regala ai soggetti che la praticano 9 anni di vita; un’AF moderata allunga la vita di 2 anni, mentre un’AF modesta non conferisce alcun vantaggio.

Preventive Medicine 100:145, 2017

COME SI MISURA L’ATTIVITÀ FISICA?

L’attività fisica ha molti effetti positivi sulla salute. Ma come si fa a sapere se l’attività fisica che pratichiamo quotidianamente è sufficiente? In altre parole, come si misura quantitativamente l’energia che consumiamo quando pratichiamo una qualche forma di attività fisica? Spesso si ricorre a una stima del consumo energetico, fornita dalle macchine per il cardiofitness, dagli smartphones o dai “fitness trackers” che, sul loro display, indicano le calorie consumate. Questo genere di calcolo è però approssimativo e il risultato può essere distante rispetto al reale consumo energetico.

Un metodo più affidabile (riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS) per il calcolo del consumo energetico durante l’attività fisica si basa sull’uso dei MET (o Equivalenti Metabolici) richiesti dall’attività che si sta praticando. Per ciascun lavoro, non solo per le attività sportive in senso stretto, è possibile individuare uno specifico valore in MET. Il MET corrisponde al rapporto tra l’energia consumata durante lo svolgimento di una certa attività fisica e l’energia consumata a riposo. Un’attività da 4 MET consuma 4 volte l’energia consumata dall’organismo a riposo. Conoscendo l’impegno in MET dell’attività praticata (tabella), il calcolo del consumo energetico (espresso in MET-minuti) è semplice: MET-minuti = MET x  minuti. Per esempio, camminare alla velocità di 5 km/h per un’ora consuma 3.2 x 60 = 192 MET-minuti; mezz’ora di yoga consuma 3.2 x 30 = 96 MET-minuti.

Gli esperti dell’OMS affermano che per ottenere un beneficio per la salute occorre svolgere un’attività fisica moderata, equivalente a 500-1000 MET-minuti a settimana. Esiste una sorta di dose-risposta tra attività fisica svolta e beneficio; così, un’attività fisica intensa (più di 1000 MET-minuti) è più salutare di un’attività moderata, e anche all’interno dell’intervallo 500-1000 MET-minuti, maggiore è il consumo energetico, maggiore è il beneficio per la salute.

Per approfondimenti e per una descrizione più estesa dei valori in MET di varie attività: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/clc.4960130809/pdf