VARIANTI GENETICHE CORRELATE CON I TRIGLICERIDI E CALCIFICAZIONI MITRALICHE

Le calcificazioni dell’anulus mitralico (CAM), identificate con gli esami di diagnostica per immagini cardiaca, sono associate agli eventi cardiovascolari e predispongono allo sviluppo di insufficienza e/o stenosi della valvola mitrale, ma i determinanti genetici di questa patologia non sono noti. Gli autori dello studio che vi proponiamo oggi hanno utilizzato tre diverse tecniche di randomizzazione mendeliana per valutare l’associazione fra 199 polimorfismi genetici correlati con i livelli plasmatici di lipidi (LDL-C, HDL-C e trigliceridi) e CAM in 3 ampie popolazioni reclutate negli studi Framingham Health Study, MESA (Multiethnic European Study of Atherosclerosis) e AGE-RS (Age, Gene/Environment Susceptibility-Reykjavik Study). Per ogni individuo è stato calcolato, in funzione del numero dei polimorfismi di cui era portatore, un valore di rischio genetico (genetic risk score, GRS) associato a ciascuno dei tre parametri lipidici. 1149 dei 5651 partecipanti (20,4%) presentavano CAM.

Nell’analisi globale delle 3 coorti la presenza di CAM era associata con il GRS per i trigliceridi (OR per unità di trigliceridi-GRS: 1.73; 95% CI: 1.24 to 2.41; p = 0.0013)(Figura); non è stata invece riscontrata alcuna associazione con i GRS per LDL-C e HDL-C. Si dimostra quindi che la predisposizione genetica a sviluppare un’ipertrigliceridemia si associa a CAM, un parametro di lesione preclinica della valvola mitralica, che predispone a una disfunzione valvolare clinicamente significativa. Come abbiamo ricordato in altre occasioni gli studi di randomizzazione mendeliano non solo producono associazioni più o meno significative tra i parametri analizzati, ma indicano una relazione di causalità tra di essi. In altre parole, lo studio genetico qui proposto dimostra che l’esposizione a lungo termine a elevati valori di trigliceridemia causa alterazioni precliniche della valvola mitralica. I meccanismi responsabili di tale effetto sono ancora da definire, come è da verificare che una riduzione della trigliceridemia, attraverso la modificazione dello stile di vita o la terapia farmacologica, produca una riduzione delle CAM e della disfunzione valvolare.

J Amer Coll Cardiol (IF=19.896) 69:2941,2017

COS’È LA SINDROME METABOLICA?

La sindrome metabolica è una situazione patologica caratterizzata dalla presenza simultanea nello stesso paziente di diversi disordini metabolici:
1) elevata circonferenza del giro vita, maggiore o uguale a 102 cm negli uomini e 88 cm nelle donne;
2) elevato livello di trigliceridi, maggiore o uguale a 150 mg/dl;
3) ridotto livello di colesterolo HDL, minore di 40 mg/dl negli uomini e 50 mg/dl nelle donne;
4) elevata pressione arteriosa, maggiore o uguale a 130 mmHg per la pressione sistolica e 85 mmHg per la pressione diastolica;
5) elevata glicemia a digiuno, maggiore o uguale a 100 mg/dl.

La diagnosi di sindrome metabolica viene fatta quando siano presenti 3 fattori su 5 di quelli sopra elencati. Colpisce circa il 20-25% degli individui sopra i 50 anni e raddoppia il rischio vascolare.

LE IPERCOLESTEROLEMIE FAMILIARI RECESSIVE

Dal Prof. Stefano Bertolini, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Genova

L’espressione clinica delle forme di ipercolesterolemia recessiva si realizza quando l’individuo riceve da ciascun genitore un allele mutato di un determinato gene. I due alleli patologici possono essere identici (paziente Omozigote) o differenti (paziente Eterozigote Composto). Il portatore Eterozigote di un allele mutato risulta clinicamente asintomatico.

Tre forme di Ipercolesterolemia Familiare Recessiva, per quanto relativamente rare ed in alcuni caso sotto-diagnosticate, meritano menzione: l’Ipercolesterolemia Recessiva (ARH), la Sitosterolemia e la Deficienza di Lipasi Lisosomiale Acida.

L’Ipercolestereolemia Recessiva ARH si realizza per difetto biallelico del gene LDLRAP1 (localizzato sul braccio corto del cromosoma 1: 1p36-p35) che codifica per una proteina di 308 amino acidi indispensabile per l’internalizzazione del complesso LDLR/LDL nelle cellule polarizzate, in particolare negli epatociti. Clinicamente ARH è caratterizzata da concentrazioni elevate di colesterolo LDL: 557.7±101.2 mg/dl (media±DS), 553.5 mg/dl (mediana), 479.5-595.5 mg/dl (range interquartile), 372-835 mg/dl (min-max), da xantomatosi cutanea e tendinea e da compromissione cardiovascolare che si esprime più tardivamente (dopo la seconda decade) rispetto a quella osservata negli Omozigoti ed Eterozigoti Composti da mutazioni del gene LDLR. Questa patologia risulta diffusa in tutto il bacino del mediterraneo e presenta una eccezionale prevalenza in Sardegna (1:34.000). Il trattamento su basa sulla somministrazione di statine di seconda generazione ad alte dosi associate all’ezetimibe e sulla LDL-aferesi.

La Sitosterolemia si realizza per associazione di un allele difettoso di origine paterna con un allele difettoso di origine materna del gene ABCG5 o del gene ABCG8. Questi due geni sono localizzati in posizione 3’¬5’ – 5’®3’ sul braccio corto del cromosoma 2 (2p21) e codificano per due proteine, Sterolina-1 di 651 amino acidi e Sterolina-2 di 673 amino acidi localizzate sulla membrana luminale degli enterociti dell’intestino tenue prossimale e sulla membrana apicale degli epatociti corrispondente al lume del canalicolo bilare. Le due proteine funzionano in coppia come eterodimero determinando l’escrezione di parte del colesterolo e degli steroli vegetali assorbiti dall’enterocita al lume intestinale e dall’epatocita al canalicolo biliare. Una mutazione biallelica di uno dei due geni, ABCG5 o ABCG8, determina un abnorme assorbimento e accumulo corporeo di steroli vegetali (sitosterolo, campesterolo, stigmasterolo, brassicasterolo, avenosterolo, ergosterolo) e di colesterolo. In condizioni normali circa il 50% del colesterolo presente nel lume intestinale viene assorbito, mentre la quota assorbita di steroli vegetali che vengono introdotti con la dieta (150-450 mg/die) non supera l’8%. Nella Sitosterolemia la quota di steroli vegetali assorbita supera il 60% e le concentrazioni plasmatiche di fitosteroli sono 30-100 volte superiori a quelle normali (v.n.: sitosterolo 0.300±0.117 mg/dl, campesterolo 0.448±0.182 mg/dl, stigmasterolo 0.067±0.060 mg/dl, brassicasterolo 0.028±0.012 mg/dl, avenosterolo 0.021±0.010 mg/dl). Le mutazioni con perdita di funzione del gene ABCG5 sono prevalenti nella popolazione Asiatica (Cinesi, Giapponesi) mentre le mutazioni del gene ABCG8 prevalgono nei Caucasici. La reale prevalenza di questa patologia delle varie popolazioni è comunque attualmente ignota. Si tratta certamente di una patologia rara ma è presumibile che sia anche sotto diagnosticata dato che la diagnosi di certezza richiede il dosaggio plasmatico dei fitosteroli mediante gas cromatografia e spettrometria di massa o l’identificazione di mutazioni causative di ABCG5 o ABCG8. Attualmente in letteratura sono stati riportati più di 130 casi di pazienti affetti da sitosterolemia, in prevalenza soggetti della prima e seconda decade di vita. I casi indice ad oggi geneticamente caratterizzati sono 48 per il gene ABCG5 e 58 per il gene ABCG8, con 33 differenti mutazioni di ABCG5 e 36 di ABCG8 in omozigosi o etererozigosi composta. L’espressione clinica della Sitosterolemia è caratterizzata da: 1) valori plasmatici elevati di steroli totali, in larga prevalenza costituiti da colesterolo (362.9±181.3 mg/dl (media±DS), 307.5 mg/dl (mediana), 222-456 mg/dl (range interquartile), 134-870 mg/dl (min-max) e da notevole incremento dei principali fitosteroli: sitosterolo (31.5±22.6 mg/dl (media±DS), 24.6 mg/dl (mediana), 17.7-42.4 mg/dl (range interquartile), 2-97 mg/dl (min-max) e campesterolo (17.4±16.2 mg/dl (media±DS), 12.6 mg/dl (mediana), 8.4-19.1 mg/dl (range interquartile), 2.3-78.5 mg/dl (min-max); 2) xantomi tendinei e cutanei (piani e tuberosi); 3) alterazioni ematologiche (sferocitosi, anemia emolitica, macrotrombocitopenia); 4) artralgie; 5) prematura aterosclerosi coronaria ed aortica in alcuni pazienti. Degna di nota è la concentrazione particolarmente elevata di steroli totali (quasi elusivamente costituita da colesterolo) che si osserva nei lattanti e nei primi anni di vita (£ 5 anni); tali valori, con una mediana di 640 mg/dl ed un range interquarile di 500-750 mg/dl, possono indurre ad una errata diagnosi di ipercolesterolemia familiare omozigote a carattere dominante o recessivo.
I pazienti con Sitosterolemia sono notevolmente responsivi alla dieta a basso contenuto in grassi saturi e colesterolo associata con riduzione drastica di steroli vegetali (ridotto introito di oli vegetali, margarine, olive, broccoli, cavolini di Bruxelles, cavolfiori, noci, nocciole, mandorle, cioccolato, germe di grano, pistacchi, semi di sesamo e di girasole, avocado, frutti di mare come le vongole, capesante e ostriche che contengono gli steroli vegetali derivanti dalle alghe). Farmaco di elezione da associare alla dieta, in alternativa alle resine sequestranti gli acidi biliari, è l’Ezetimibe che inibendo la proteina NPC1L1 riduce l’assorbimento intestinale del colesterolo e degli steroli vegetali.

La terza forma di Ipercolesterolemia Recessiva è dovuta alla Deficienza di Lipasi Lisosomiale Acida. Questo enzima (LAL), di 399 amino acidi, viene codificato dal gene LIPA localizzato sul braccio lungo del cromosoma 10 (10q23.2-q23.3) ed espresso virtualmente in ogni cellula, ma sopratutto nelle cellule epatiche, nei fibroblasti, macrofagi e linfociti. A livello intracellulare nei lisosomi l’enzima LAL idrolizza gli esteri del colesterolo ed i trigliceridi delle lipoproteine contenenti apolipoproteina B (in particolare lipoproteine LDL) che entrano nelle cellula epatica mediante specifici recettori. All’idrolisi fa seguito la liberazione di colesterolo libero e di acidi grassi che inibiscono la produzione di nuove lipoproteine, riducono l’espressione di recettori LDL ed attivano la produzione di lipoproteine ad alta densità (HDL). La totale assenza di attività enzimatica LAL è la causa di una gravissima patologia (malattia di Wolman) che porta alla morte entro il primo anno di vita. Nei casi in cui almeno uno degli alleli patologici del gene LIPA permette una attività enzimatica residua, anche se estremamente ridotta al 5-10% della norma nei linfociti e 12-24% nei fibroblasti e negli epatociti, la patologia, denominata malattia da accumulo degli esteri del colesterolo (CESD), è compatibile con la sopravvivenza e si esprime ad una età variabile dalla prima infanzia all’età adulta in relazione alla maggiore o minore gravità delle mutazioni bialleliche di cui il singolo individuo è portatore. Attualmente più di 150 pazienti sono stati descritti in letteratura, con espressione clinica entro la prima decade di vita nel 60% dei casi ed entro la prima e seconda decade nel 78% dei casi. Ad oggi 132 pazienti Omozigoti o Eterozigoti Composti sono stati geneticamente caratterizzati. La mutazione LIPA più frequente (circa il 60% degli alleli mutati) è costituita dalla sostituzione di una adenina per una guanina nell’ultimo nucleotide dell’esone 8 (c.894G>A); tale mutazione, pur inducendo una alterazione di circa il 95% dell’RNA messaggero e conseguentemente della proteina enzimatica, permette la produzione di una piccola quota (~ 5%) di enzima normale. La prevalenza stimata di questa patologia nella popolazione Caucasica è pari a ~1:200.000 individui. Si ritiene tuttavia che tale prevalenza sia sottostimata per l’assenza di una corretta diagnosi in molti casi. La diagnosi certa richiede infatti, in aggiunta al dosaggio dell’attività enzimatica, l’identificazione dei due alleli patologici mediante sequenza del gene LIPA. La carenza dell’enzima LAL comporta una deficiente idrolisi degli esteri del colesterolo e dei trigliceridi con conseguente ridotta disponibilità intracellulare di colesterolo libero ed acidi grassi; ciò determina l’attivazione della sintesi epatica di lipoproteine e la loro secrezione nel plasma; alla aumentata secrezione si associa anche un aumentato influsso di lipoproteine attraverso i recettori LDL la cui espressione non viene ridotta per la carenza di colesterolo libero. La carenza di colesterolo libero intracellulare è anche la causa della ridotta espressione della proteina ABCA1 necessaria per la produzione di HDL nascenti.
La malattia si esprime clinicamente con epatomegalia nel 99% dei casi, associata a splenomegalia nel 75%, dolori addominali ricorrenti, distensione addominale, vomito, diarrea, rallentato accrescimento corporeo, aumento della concentrazione plasmatica delle transaminasi (AST: 77.7±41.3 IU/L; ALT 100.8±49.8 IU/L), iperlipidemia mista con prevalenza dell’ipercolesterolemia e ridotte concentrazioni di colesterolo HDL (colesterolo totale 314.6±66.8 mg/dl, colesterolo LDL 247.8±57.0 mg/dl, colesterolo HDL 31.2±10.2 mg/dl, trigliceridi 196.7±83.4 mg/dl, apoA-I 90.8±17.2 mg/dl, apoB 184.5±44.3 mg/dl) e prematura aterosclerosi conseguente all’iperlipidemia. A livello epatico il massiccio accumulo di esteri del colesterolo, ed in minor misura di trigliceridi, si manifesta con una steatosi in prevalenza micro-vescicolare che evolve verso una fibrosi progressivamente ingravescente ed una cirrosi micro-nodulare. La terapia d’elezione è oggi costituita dalla terapia sostitutiva mediante infusione dell’enzima LAL ricombinante.

 

L’IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE DOMINANTE

Dal Prof. Stefano Bertolini, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Genova

L’Ipercolesterolemia Familiare è una patologia genetica caratterizzata da elevate concentrazioni del colesterolo nel plasma, in particolare del colesterolo trasportato dalle lipoproteine a bassa densità (LDL). In condizioni normali queste particelle LDL vengono allontanate dal plasma nel corso di un periodo relativamente breve (circa 2.5 giorni dopo la loro produzione) mediante loro legame ad una specifica proteina recettoriale (recettore per le LDL, LDLR); questo processo si realizza prevalentemente (per il 70%) a livello del fegato che trasforma il colesterolo delle LDL in acidi biliare che vengono escreti nella bile. Prescindendo dal difetto genetico specifico (vedi oltre), nell’Ipercolesterolemia Familiare all’accumulo di colesterolo LDL nel plasma consegue la sua deposizione nella parete delle arterie (in prevalenza coronarie, aorta e valvole cardiache), nei tendini (xantomi nel tendine di Achille e nei tendini estensori delle mani) e nella cute (xantomi piani e tuberosi nelle zone sottoposte a compressione o sfregamento). La principale conseguenza di questa patologia è l’aterosclerosi prematura, responsabile di infarto del miocardio, angina pectoris o morte improvvisa. Queste drammatiche manifestazioni cliniche compaiono in età variabile dalla prima decade di vita all’età adulta (40-60 anni) in relazione al tipo di difetto genetico.

L’Ipercolesterolemia Familiare può essere di tipo Dominante o di tipo Recessivo, ed in ogni caso è presente sin dalla nascita. Nelle forme Dominanti, di gran lunga più frequenti delle Recessive, la patologia si esprime anche nell’individuo che eredita un solo allele difettoso portatore di una mutazione (un allele paterno o un allele materno); in questo caso il soggetto viene definito portatore Eterozigote. Quando solo uno dei genitori è un portatore Eterozigote del difetto genetico la probabilità di trasmissione del difetto alla discendenza è del 50%. Nel soggetto Eterozigote, in assenza di terapia preventiva, la patologia cardiovascolare si può esprimere clinicamente prima di 45-55 anni nei maschi e prima dei 55-65 anni nelle femmine. Nel caso in cui entrambi i genitori sono portatori Eterozigoti del difetto genetico la probabilità statistica nella trasmissione del difetto genetico alla discendenza è la seguente: 25% trasmissione di entrambi gli alleli difettosi dei due genitori (soggetto Omozigote vero quando il soggetto eredita dai genitori due alleli che portano una identica mutazione; soggetto Eterozigote Composto quando i due alleli mutati ereditati dai genitori sono differenti); 50% trasmissione di un solo allele difettoso da uno dei genitori (soggetto Eterozigote); 25% trasmissione dei due alleli normali da ciascun genitore (soggetto esente dalla patologia). Dal punto di vista clinico non esiste differenza tra Omozigote vero ed Eterozigote Composto per quanto riguarda la comparsa della patologia cardiovascolare che, in assenza di terapia, può essere fatale entro la prima o seconda decade di vita (per occlusione coronarica o per lesione aortica valvolare o sopravalvolare).

Allo stato attuale delle conoscenze l’Ipercolesterolemia Familiare a carattere Dominante può essere attribuita a mutazioni di almeno tre differenti geni che causano l’ipercolesterolemia con differenti meccanismi: 1) il gene che codifica per il recettore delle LDL, proteina di 692 amino acidi, LDLR localizzato sul braccio corto del cromosoma 19: 19p13; 2) il gene che codifica per la apolipoproteina B-100 – principale proteina delle LDL di 4563 amino acidi necessaria per il loro legame al recettore LDL – (APOB localizzato sul braccio corto del cromosoma 2: 2p24); 3) il gene che codifica per la proteina PCSK9 di 692 amino acidi, che si esprime prevalentemente nel fegato e nell’intestino e che determina la degradazione intracellulare del recettore LDL (PCSK9 localizzato sul braccio corto del cromosoma 1: 1p32).

I difetti con perdita di funzione del gene LDLR (difetto di sintesi o di maturazione della proteina recettoriale, sua incapacità di legare le LDL o di riciclare sulla superficie cellulare dopo una prima internalizzazione endocellulare) sono responsabili di circa a il 94-96% dei casi di Ipercolesterolemia Familiare Dominante e l’accumulo di LDL nel plasma si realizza per loro difettoso allontanamento dal circolo per riduzione del 50% circa del numero di recettori nel paziente Eterozigote o più drastica riduzione (recettori residui 8-30%) fino alla totale assenza di recettori funzionanti nel paziente Omozigote o Eterozigote composto. In  pazienti Italiani con mutazioni del gene LDLR sono stati riscontrati i seguenti valori di colesterolo LDL: in 1562 Eterozigoti 279.6±65.3 mg/dl (media±DS), 275 mg/dl (mediana), 231-323 mg/dl (range interquartile), 130-507 mg/dl (min-max); in 68 Omozigoti/Eterozigoti Composti 619.0±183.7 mg/dl (media±DS), 626.5 mg/dl (mediana), 481-714 mg/dl (range interquartile), 276-1183 mg/dl (min-max). La prevalenza nella popolazione della patologia dovuta a difetti di LDLR è stata stimata per anni di un individuo su un milione (1:1.000.000) per la forma Omozigote o Eterozigote Composto e di un individuo su 500 (1:500) per la forma Eterozigote. Recentemente, con le nuove tecniche di sequenziamento del DNA che hanno notevolmente implementato la probabilità di identificazione dei difetti genetici, le rispettive prevalenze vengono stimate a 1:300.000/1:400.000  per la forma Omozigote e 1:244/1:320 per la forma Eterozigote.

Una prima particolare peculiarità delle mutazioni di LDLR riscontrate in Italia (attualmente più di 250 differenti difetti genetici identificati) è la loro distribuzione sul territorio nazionale estremamente regionalizzata: mutazioni identificate in famiglie del Nord non sono mai state identificate in pazienti originari del Centro o del Sud Italia e viceversa, salvo rarissime eccezioni, ed alcune mutazioni riscontrate in Sardegna sono risultate esclusive della popolazione Sarda. Tale distribuzione ha comportato una più rapida identificazione del difetto genetico nel singolo paziente in base all’origine geografica della famiglia. Una seconda peculiarità è la presenza di “clusters” costituiti da numerose famiglie apparentemente non imparentate che condividono la stessa mutazione (in alcuni casi più di 50 famiglie) e che sono distribuite in aree specifiche e relativamente ristrette del territorio nazionale. In proposito riferiamo alcuni esempi, associabili peraltro ad interessanti notazioni storiche. La mutazione p.(Asp221Gly) denominata FH Padova-1, riscontrata in più di 80 famiglie del Nord, presenta una massima densità in una area geografica che si estende da Venezia a Bergamo e che corrisponde al territorio della Repubblica Veneta Serenissima del XIV secolo. La mutazione FH Savona-Parma, dovuta a duplicazione di 4 basi (ACAT) dell’esone 10 del gene e che da origine ad un recettore troncato p.(Gln474Hisfs*63), è stata identificata esclusivamente in Liguria in più di 50 famiglie originarie dall’alta via Appenninica utilizzata nei secoli scorsi dai mercanti liguri per il trasporto di merci a dorso di mulo verso il nord Europa utilizzando i passi montani tra Liguria ed Emilia; l’analisi di queste famiglie mediante marcatori genetici multiallelici prossimi al gene LDLR e intragenici ha permesso di stabilire l’esistenza di un comune progenitore vissuto 600-800 anni fa. La mutazione p.(Gly549Asp) denominata FH Palermo-1, identificata in più di 70 famiglie, presenta una distribuzione geografica che include alcune regioni del Sud e la Sicilia e che corrisponde al territorio occupato dai Greci nel VI secolo a.c. (Magna Grecia); degno di nota è il fatto che questa mutazione è una delle più frequenti riscontrate attualmente in Grecia in pazienti con Ipercolesterolemia Familiare. L’identificazione di questi “clusters”, comprendenti numerose famiglie ed individui affetti, ha permesso una classificazione basata su differenze di gravità clinica dei più frequenti difetti genetici del recettore LDL presenti in Italia.

I difetti del gene APOB che alterano la capacità di legame dell’apolipoproteina B-100 delle LDL ai recettori LDLR provocano ipercolesterolemia per accumulo nel plasma di LDL con difetto di legame ai recettori che sono qualitativamente e quantitativamente normali. Attualmente 8 differenti varianti del gene APOB sono state inequivocabilmente associate ad ipercolesterolemia; 5 di queste varianti sono localizzate nella porzione della proteina apoB che si lega al recettore LDL e 3 in regioni lontane dal sito di legame. Tali varianti sono responsabili di circa il 5% dei casi di Ipercolesterolemia Familiare Dominante (con maggiore prevalenza nel Nord-Europa). Nei pazienti Eterozigoti per mutazioni APOB la concentrazione plasmatica del colesterolo LDL risulta inferiore a quella degli Eterozigoti per mutazioni LDLR (in 286 Eterozigoti per mutazioni APOB le concentrazioni di colesterolo LDL sono risultate le seguenti: 239.5±55.8 mg/dl (media±DS), 232 mg/dl (mediana), 204-273 mg/dl (range interquartile), 121-452 mg/dl (min-max) ed il rischio relativo di sviluppare una patologia coronarica rispetto a soggetti di pari età e sesso non affetti da ipercolesterolemia è risultato pari a 2.86 e 8.54, rispettivamente per le due patologie. Solo 10 Omozigoti sono stati attualmente descritti in letteratura ed in questi pazienti le concentrazioni di colesterolo LDL variavano da 221 a 352 mg/dl (301.8±49.0 mg/dl).

Alcune varianti del gene PCSK9 codificano per proteine con guadagno di funzione (GOF), ovvero proteine PCSK9 con maggiore capacità di legame ai recettori LDL e maggiore capacità di degradazione intracellulare dei recettori. Attualmente 29 differenti varianti GOF PCSK9 sono state identificate. Nei portatori di queste varianti l’ipercolesterolemia consegue ad una ridotta disponibilità di recettori LDL per accelerata loro degradazione. Questa forma di ipercolesterolemia dominante ha una prevalenza inferiore all’1% e presenta una estrema variabilità clinica dipendente dalla differente attività funzionale delle varie mutazioni GOF. In 129 pazienti Eterozigoti per mutazioni di PCSK9 GOF le concentrazioni plasmatiche di colesterolo LDL sono risultate le seguenti: 298.9±108.6 mg/dl (media±DS), 270 mg/dl (mediana), 216-348 mg/dl (range interquartile), 121-662 mg/dl (min-max). Alcune mutazioni PCSK9 GOF sono particolarmente gravi in quanto dotate di affinità per il recettore LDL 10 volte superiore alla affinità della proteina PCSK9 normale; tali mutazioni, prevalentemente identificate in pazienti del Nord-Europa, si associano ad elevato rischio cardiovascolare e sono particolarmente resistenti alla usuale terapia farmacologica. L’Omozigosi per mutazioni GOF PCSK9 è stata attualmente descritta in 13 pazienti Giapponesi portatori di una mutazione con modesto impatto funzionale (colesterolo LDL 305.8±112.9 mg/dl) ed in un paziente Portoghese Eterozigote Composto (colesterolo LDL 234 mg/dl).

Un evento raro ma non eccezionale è l’ipercolesterolemia dominante da Doppia Eterozigosi che si realizza quando un individuo riceve da un genitore un allele patologico di un gene dominante, di solito LDLR, e dall’altro genitore un allele patologico di un altro gene dominante, APOB o PCSK9. In questi casi si osserva una variabilità clinica con una espressione fenotipica intermedia tra l’Eterozigosi e l’Omozigosi o Eterozigosi Composta per mutazioni di LDLR sia in termini di concentrazione del colesterolo LDL che di eventi cardiovascolari. In 30 soggetti Doppi Eterozigoti per mutazioni LDLR e APOB sono state osservate le seguenti concentrazioni plasmatiche di colesterolo LDL: 351.4±100.2 mg/dl (media±DS), 327.5 mg/dl (mediana), 273-392 mg/dl (range interquartile), 240-583 mg/dl (min-max). In 35 Doppi Eterozigoti per mutazioni LDLR e PCSK9 i corrisponde valori di colesterolo LDL erano: 326.5±122.0 mg/dl (media±DS), 255 mg/dl (mediana), 223-412 mg/dl (range interquartile), 183-580 mg/dl (min-max).

L’obiettivo terapeutico, di non facile realizzazione, in ogni forma di Ipercolesterolemia Familiare Dominante è la riduzione della concentrazione plasmatica del colesterolo LDL ad un valore di 100 mg/dl e nei soggetti con pregresso evento cardiovascolare a valori inferiori a 70 mg/dl. I presidi terapeutici nel paziente Eterozigote comprendono le resine sequestranti gli acidi biliari (Colestiramina, Colestipolo – di solito scarsamente tollerate – ed il Colesevelam), gli inibitori della sintesi del colesterolo (Statine della prima generazione: lovastatina, simvastatina, pravastatina, fluvastatina; Statine della seconda generazione: atorvastatina, rosuvastatina, pitavastatina) a dosi variabili in relazione al risultato ottenuto ed alla tolleranza, in monoterpia o in associazione con Ezetimibe (inibitore dell’assorbimento del colesterolo a livello intestinale e del riassorbimento del colesterolo dal canalicolo biliare). Nei casi in cui l’obiettivo terapeutico non viene realizzato e nei pazienti con pregressi eventi cardiovascolari alla terapia convenzionale può essere associato il trattamento con LDL-aferesi ogni 15 giorni o con anticorpi monoclonali anti-PCSK9 che antagonizzano la degradazione recettoriale operata dal PCSK9 (tale trattamento è meno traumatizzante e di maggiore efficacia in molti casi). La terapia con anticorpi monoclonali anti-PCSK9 è di elezione nella terapia dei pazienti con mutazioni GOF del PCSK9; in questi soggetti infatti l’inibizione della sintesi epatica del colesterolo comporta anche un aumento di espressione della proteina PCSK9 mutata.

Nel paziente Omozigote ed Eterozigote Composto che conserva ancora una modesta attività recettoriale residua può essere ancora considerata la terapia tradizionale con statine ed ezetimibe associata con gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9, riservando la LDL-aferesi ai casi con risultati insoddisfacenti. Nell’Omozigote ed Eterozigote Composto con totale assenza di attività recettoriale la terapia di elezione è l’inibizione della sintesi epatica di lipoproteine contenenti apolipoproteina B (VLDL, IDL, LDL) con Lomitapide (un farmaco inibitore della proteina MTP che permette l’assemblaggio dell’apoB-100 con i lipidi). In questi casi il trattamento con Lomitapide viene spesso associato con una seduta settimanale o bisettimanale con LDL aferesi. Il trapianto di fegato, non sempre coronato da successo, deve essere preso in considerazione come ultima alternativa terapeutica.

ANGIOPOIETIN-LIKE 3 (ANGPTL3): UN NUOVO TARGET PER LAPREVENZIONE CARDIOVASCOLARE?

Da Chiara Pavanello

Nonostante il raggiungimento di valori ideali di LDL-C, circa un terzo dei soggetti trattati con le terapie ipolipidemizzanti standard rimane ancora ad alto rischio cardiovascolare. Lo studio del metabolismo lipidico e delle anomalie genetiche ad esso correlate ha portato alla scoperta di una nuova interessante proteina, chiamata angiopoietin-like 3 (ANGPTL3).
Ma di cosa si tratta? Costituita da 431 aminoacidi e strutturalmente analoga alle angiopoietine, proteine chiave nelle regolazione dell’angiogenesi, ANGPTL-3 viene sintetizzata quasi esclusivamente dal fegato e sebbene la sua funzione non sia stata completamente chiarita, è stato dimostrato il suo coinvolgimento nella regolazione del metabolismo lipidico. In particolare, ANGPTL3 inibisce la lipasi lipoproteica (LpL) e quindi l’idrolisi dei trigliceridi trasportati dai chilomicroni e dalle VLDL (figura) [Tikka et al, 2016]; inattiva inoltre la lipasi endoteliale (HL), un enzima presente nel lume dei vasi che contribuisce al rimodellamento delle HDL, idrolizzandone i fosfolipidi [Shimamura et al, 2007]. Nel 2010 sono state identificate mutazioni genetiche che causano una perdita di funzione di ANGPTL3 e che sono responsabili di una condizione definita ipolipidemia familiare combinata, caratterizzata da bassi livelli plasmatici di LDL-C, HDL-C e trigliceridi [Musumuru et al, 2010]. Ma quel che risulta più interessante dal punto di vista clinico è che queste mutazioni genetiche si associano ad una riduzione del 34% del rischio cardiovascolare (figura), come emerso da un ampio studio di associazione genome-wide condotto su 21980 soggetti con malattia coronarica e 158200 controlli [Stitziel et al, 2017].

Inutile dire che alcune industrie farmaceutiche ne hanno subito intuito il potenziale e in poco tempo sono stati prodotti inibitori di ANGPTL3, oggi in sviluppo clinico: un anticorpo monoclonale (evinacumab) e un oligonucleotide antisenso (IONIS-ANGPTL3-L Rx). Pochi giorni fa sono stati pubblicati i primi promettenti risultati: ne parleremo prossimamente!

Musunuru et al. Exome sequencing, ANGPTL3 mutations, and familial combined hypolipidemia. N Engl J Med 363:2220,2010.
Shimamura et al. Angiopoietin-like protein3 regulates plasma HDL cholesterol through suppression of endothelial lipase. Arterioscler Thromb Vasc Biol 27:366,2007.
Stitziel et al. ANGPTL3 deficiency and protection against coronary artery disease. J Am Coll Cardiol 69:2054,2017.
Tikka et al. The role of ANGPTL3 in controlling lipoprotein metabolism. Endocrine 52:187,2016.

MALATTIE RARE DEL METABOLISMO LIPIDICO

Nessuna malattia è così RARA da non meritare ATTENZIONE.
Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, intesa come numero di soggetti affetti presenti in una data popolazione, non supera una soglia stabilita. In UE la soglia è fissata a allo 0,05% della popolazione, ossia 5 casi su 10.000 persone.
Sono conosciute e diagnosticabili 7.000-8.000 malattie rare, ma queste è una cifra che cresce con l’avanzare delle conoscenze scientifiche e in particolare con i progressi della ricerca genetica. Stiamo dunque parlando non di pochi malati, ma di decine di milioni di persone in Europa. Le malattie rare sono RARE, ma le persone affette sono TANTE. Secondo la rete Orphanet Italia, nel nostro paese sono circa 2 milioni le persone affette da malattie rare; il 70 per cento sono bambini. L’Istituto Superiore della Sanità ha stilato un elenco delle malattie rare esenti dal ticket per le prestazioni sanitarie (D.M. 279/2001), che include 583 malattie rare. Alcune Regioni hanno deliberato esenzioni per un numero maggiore di malattie rispetto a quelle elencate nel suddetto decreto. In Lombardia, le malattie rare esenti da ticket sono 640; di queste, 8 sono dislipidemie, ovvero malattie del metabolismo delle lipoproteine.
Il Centro è Presidio della Rete Regionale Lombarda per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, la terapia delle malattie rare (http://malattierare.marionegri.it/).