MICROBIOTA E ATEROSCLEROSI

Alterazioni del microbiota intestinale sono state variamente associate all’insorgenza di malattie cardiovascolari. Il coinvolgimento di microorganismi nell’aterogenesi è noto dalla prima metà del XIX secolo, quando si individuò la presenza di agenti patogeni, come Helicobacter pylori, Chlamydia pneumoniae, Porphyromonas gingivalis, Aggregatibacter actinomycetemcomitans, e virus Hepatitis A ed Herpes nella placca aterosclerotica. Tuttavia, l’associazione tra batteri del microbiota intestinale e aterosclerosi è molto più recente. Solo pochi anni fa si dimostrava, attraverso il sequenziamento del metagenoma intestinale di soggetti sani e con aterosclerosi conclamata, che questa si associava ad alterazioni genetiche e funzionali del microbiota intestinale. In particolare, i soggetti con aterosclerosi presentavano un aumento dei batteri del genere Collinsella, mentre gli individui sani mostravano una prevalenza dei generi Eubacterium e Roseburia. Questa variazione qualitativa del microbiota si traduceva in alterazioni funzionali, con un aumento dei batteri che producono sostanze proinfiammatorie nei soggetti con aterosclerosi. Parallelamente si osservava che la composizione del microbiota intestinale è strettamente correlata e quella della placca aterosclerotica, facendo ipotizzare che i batteri della placca derivino dal microbiota intestinale.

I meccanismi attraverso cui il microbiota influenza lo sviluppo dell’aterosclerosi possono essere diretti e indiretti. I primi dipendono dall’attività metabolica del microbiota intestinale, che produce sostanze con azione pro- o anti-aterosclerotica. Un chiaro esempio di come il microbiota possa esercitare un effetto pro-aterosclerotico è rappresentato dalla produzione di trimetilammina N-ossido (TMAO), una molecola organica la cui concentrazione nel sangue aumenta dopo l’assunzione di alimenti ricchi in L-carnitina e colina, come la carne rossa e il pollame. La colina che raggiunge l’intestino crasso viene metabolizzata dai batteri intestinali a formare TMA, che è assorbita e rapidamente ossidata a TMAO ad opera di un enzima epatico, la monoossigenasi contenente flavina (FMO, flavin-containing monooxygenase). Un’elevata concentrazione plasmatica di TMAO si associa a un aumento di eventi cardiovascolari, e il TMAO è stato proposto come un potenziale nuovo marcatore di rischio cardiovascolare, indipendente dai tradizionali fattori di rischio. Al contrario, il microbiota può esplicare un’azione ateroprotettiva grazie al metabolismo dei polifenoli, come le antocianine, di cui sono ricchi i frutti di bosco, che vengono convertite dal microbiota intestinale in acido protocatecuico, la cui concentrazione plasmatica è inversamente associata allo sviluppo di lesioni aterosclerotiche, almeno nei topi.

Gli effetti indiretti del microbiota sull’aterogenesi dipendono invece dalla capacità di modulare fattori di rischio cardiovascolare quali obesità, diabete e dislipidemia. I topi che sviluppano spontaneamente obesità mostrano alterazioni qualitative e quantitative del microbiota intestinale, mentre i topi “germ-free”, privi cioè del microbiota, mostrano una resistenza allo sviluppo di obesità, anche in seguito all’assunzione di una dieta ad alto contenuto di grassi. Nell’uomo, una ridotta variabilità del microbiota intestinale è stata associata ad una maggiore suscettibilità allo sviluppo di obesità, insulino resistenza e diabete.

PANE BIANCO O PANE INTEGRALE?

È opinione comune che il pane bianco sia meno salutare di quello integrale, più ricco di fibre, proteine, vitamina B e minerali. Ma potrebbe non essere così. In uno studio pubblicato sulla rivista Cell Metabolism i ricercatori del Weizmann Institute of Science in Israele hanno seguito venti volontari nell’arco di due settimane: dieci hanno mangiato per una settimana pane integrale e quella successiva pane bianco, gli altri dieci hanno fatto il contrario (questo disegno sperimentale si chiama cross-over, a significare che i trattamenti che si vogliono confrontare vengono somministrati a tutti i pazienti, in una sequenza casuale; in questo modo ogni soggetto funge anche da controllo di sé stesso) .

I ricercatori, prima e dopo ciascun “trattamento” (pane bianco o pane integrale), hanno monitorato una serie di parametri, tra cui la glicemia, il calcio, il magnesio e altri minerali essenziali, il colesterolo e il microbiota intestinale, quello che viene anche definito flora batterica e che comprende tutti i microorganismi che vivono nel nostro intestino (ne abbiamo parlato le scorse settimane).

Lo studio ha rivelato che i livelli di zuccheri, minerali ed enzimi nel sangue erano influenzati dal consumo di pane, ma non era il tipo di pane a fare la differenza, ma le caratteristiche individuali. La risposta glicemica, per esempio, era molto variabile da individuo a individuo, e costante nello stesso individuo, indipendentemente dal tipo di pane consumato. L’unica caratteristica individuale in grado di predire la risposta glicemica era rappresentata dalla composizione del microbiota intestinale, che peraltro non era anch’essa influenzata dal tipo di pane consumato. In altre parole è il microbiota, e non il tipo di pane, che determina la risposta glicemica; per qualcuno è più salutare un tipo di pane, per altri un altro, e dipende dal microbiota.

La ricerca presenta alcuni limiti: il numero di soggetti studiati è limitato, la durata del “trattamento” è breve, non si è tenuto conto degli altri alimenti che i volontari hanno consumato oltre al pane. Non si può (e non si voleva) affermare che un tipo di pane sia meglio dell’altro. Certamente si conferma che il microbiota intestinale svolge un ruolo chiave nella regolazione dell’omeostasi del nostro organismo e della risposta agli alimenti con cui quotidianamente entriamo in contatto.

Korem et al, Cell Metab 25:1243,2017.

LE FUNZIONI DEL MICROBIOTA

La popolazione microbica che colonizza l’intestino, il microbiota, ha sviluppato relazioni di tipo simbiotico con l’ospite, benefiche per entrambi: l’ospite mette a disposizione un habitat ricco di nutrienti e il microbiota conferisce elementi utili alla sua salute.

Una peculiare attività del microbiota è quella di proteggere l’organismo dai batteri patogeni, producendo sostanze in grado di inattivarli, alterando il pH intestinale, sottraendo nutrienti, e mantenendo l’integrità della barriera intestinale, formata da batteri, muco e cellule epiteliali, che costituisce un importante sistema di difesa nei confronti di fattori potenzialmente immunogeni o patogeni presenti nel lume intestinale. Il microbiota gioca poi un ruolo essenziale nello sviluppo del sistema immunitario, contribuendo a espandere il numero di linfociti nelle mucose, incrementando le dimensioni dei centri germinali nei linfonodi, e attivando linfociti T regolatori nei linfonodi intestinali, essenziali per la tolleranza da parte dell’ospite nei confronti della massa di antigeni che entra nell’intestino.

Il microbiota è un organo metabolicamente attivo, che integra il metabolismo dell’ospite, permettendo la digestione di diversi nutrienti, che altrimenti non sarebbero modificabili e assimilabili dall’organismo. 1) Carboidrati. La fermentazione dei carboidrati ad opera del microbiota avviene con diverse reazioni biochimiche, la più importante delle quali, dopo la fosforilazione del glucosio, converte il carboidrato a piruvato, che agisce come chiave intermedia per la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA). Gli SCFA sono molecole con una coda alifatica contenente meno di 6 atomi di carbonio, che rappresentano una importante fonte energetica per l’epitelio intestinale e il fegato, hanno un’azione immunomodulatoria e sono coinvolti nel mantenimento dell’integrità della barriera intestinale. 2) Lipidi. Il microbiota intestinale esplica un ruolo rilevante nel metabolismo lipidico, regolando la composizione della bile e influenzando l’omeostasi del colesterolo. Gli acidi biliari coniugati escreti con la bile nell’intestino tenue vengono deconiugati dalle idrolasi microbiche, con conseguente ridotto riassorbimento e maggior eliminazione di colesterolo.  3) Proteine. Il metabolismo delle proteine  è garantito da un complesso sistema di proteasi e peptidasi microbiche, che agiscono in associazione con gli enzimi dell’ospite. 4) Polifenoli. Questa ricca famiglia di molecole organiche, presenti in diverse varietà di alimenti di origine vegetale, esplica numerose funzioni benefiche sulla salute dell’uomo. Una volta ingeriti, i polifenoli sono sottoposti a un esteso metabolismo ad opera del microbiota, che porta alla produzione di metaboliti, assorbibili per via portale e come tali in grado di raggiungere i siti distali dell’organismo. Si ritiene che possano essere proprio questi metaboliti ad esplicare, a livello cellulare, le attività che conducono agli effetti preventivi dei polifenoli sullo sviluppo di diverse malattie. Il microbiota è poi capace di sintetizzare vitamina K e vitamine del gruppo B, che vengono poi assorbite nel colon.

COS’È IL MICROBIOTA?

L’organismo umano ospita numerosi microrganismi, tra cui archaea, virus, funghi, protozoi e soprattutto batteri, che si localizzano in diversi distretti corporei. Tale complesso ecosistema prende il nome di microbiota umano. Si è co-evoluto con l’ospite, ed è localizzato nella cavità orale, sulla pelle e soprattutto nell’intestino. La composizione del microbiota intestinale è stata oggetto di intensi studi di metagenomica, che combinano le più moderne tecniche di sequenziamento genico con la bioinformatica. È stato così stimato che l’intestino umano è colonizzato da oltre 35000 specie batteriche. Qualitativamente esiste un ampio nucleo di specie microbiche largamente condiviso da tutti gli individui. I phyla più rappresentativi sono Firmicutes e Actinobacteria, tra i gram positivi, e Bacteroidetes e Proteobacteria tra i gram negativi.

La ricchezza del microbiota, definita sulla base di una elevata eterogeneità delle specie batteriche che lo compongono, si associa a una minor prevalenza di patologie metaboliche e, viceversa, una ridotta variabilità di specie batteriche si associa a una maggior prevalenza di malattie infiammatorie. Ma di questo parleremo nelle prossime settimane.

La composizione del microbiota intestinale è influenzata da una serie di fattori. 1) Tipo di parto. La tipologia di batteri che per primi colonizzano l’intestino è definita dalla nascita per via vaginale o per parto cesareo. Nel primo caso, si ritrovano principalmente batteri del genere Lactobacillus e Prevotella, che colonizzano la vagina materna. Nel secondo prevalgono i ceppi Streptococcus, Corynebacterium e Propionibacterium, tipici della pelle. 2) Età. Il profilo microbico dato dal parto tende a modificarsi in maniera peculiare durante l’allattamento, a seconda che il bambino riceva latte materno o artificiale. Durante la prima infanzia la composizione del microbiota subisce importanti modificazioni, poi si stabilizza intorno ai 3 anni di vita e assume una composizione molto simile a quella dell’adulto. 3) Alimentazione. Rappresenta il principale fattore in grado di influenzare quantitativamente e qualitativamente la composizione del microbiota in età adulta. Ad esempio, un elevato apporto quotidiano di prodotti vegetali e ad alto contenuto di fibre determina una maggior ricchezza del microbiota. 4) Terapie farmacologiche. Gli antibiotici sono, come ovvio, la classe di farmaci con maggiore impatto sul microbiota. In virtù della loro azione battericida e batteriostatica, gli antibiotici producono effetti a breve e a lungo termine sulla composizione del microbiota. In particolare, l’azione degli antibiotici può condurre, attraverso la riduzione di alcuni ceppi batterici intestinali, alla perdita della rete di interazioni che si stabiliscono tra le specie colonizzanti, con conseguente creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo di batteri patogeni. 5) Xenobiotici. Sostanze inquinanti ambientali, alle quali l’uomo è costantemente esposto, come pesticidi (organo-fosforici, glifosato), inquinanti atmosferici (PM-10), bifenili policlorurati, e metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo) hanno effetti negativi sul microbiota.