RIDUZIONE DEL COLESTEROLO-LDL CON EVOLOCUMAB E LIVELLI PRE-TRATTAMENTO DI PCSK9

La “Proprotein Convertase Subtilisin Kexin type 9” (PCSK9), come già raccontato su questo sito, è una proteina di origine prevalentemente epatica, in grado di legare il recettore delle lipoproteine a bassa densità (LDL-R) e causarne la degradazione. Attraverso questa funzione, PCSK9 contribuisce alla regolazione dei livelli plasmatici di LDL-colesterolo (LDL-C).

Evolocumab è un anticorpo monoclonale diretto contro PCSK9, prescrivibile in Italia in regime di rimborsabilità SSN e sottoposto a piano terapeutico. È indicato nel trattamento delle ipercolesterolemie primarie e delle dislipidemie miste in associazione con statine, oppure in monoterapia o associato ad altri ipolipidemizzanti nei pazienti intolleranti alle statine. È molto efficace nel ridurre i livelli di LDL-C (dal 55% al 75%), con una certa variabilità individuale. Ricercatori americani hanno valutato se tale variabilità fosse attribuibile a differenze nei valori pre-trattamento di PCSK9, esaminando i dati di 3016 pazienti reclutati in quattro differenti studi clinici di fase III. Come atteso, i livelli di PCSK9 al reclutamento erano molto variabili (intervallo interquartile 258-406 ng/ml); pazienti con valori più elevati di PCSK9 avevano valori ridotti di LDL-C (da 123 mg/dl a 137 mg/dl, dal quarto al primo quartile), ma più facilmente ricevevano una terapia con statine ad alta intensità (dal 56% al 13%, dal quarto al primo quartile). Quando i pazienti sono stati stratificati in quartili in base ai valori pre-trattamento di PCSK9, non è stata osservata alcuna correlazione tra livelli di PCSK9 e riduzione di LDL-C. Si può concludere che la misurazione dei livelli di PCSK9 non è d’aiuto per identificare i pazienti che traggono maggior beneficio da una terapia con evolocumab (e verosimilmente con altri anticorpi contro PCSK9).

JAMA Cardiol 2:556,2017

NEI PAZIENTI CON ARTERIOPATIA PERIFERICA LE STATINE RIDUCONO IL RISCHIO DI AMPUTAZIONE E LA MORTALITÀ CON EFFETTO DOSE-DIPENDENTE

Questo studio ha indagato l’impatto prognostico della terapia con statine in pazienti con arteriopatia periferica (AOP). Sono stati analizzati i dati di 155.647 pazienti con AOP di nuova diagnosi, suddivisi in sottogruppi in base all’intensità della terapia con statina: pazienti in terapia con statina ad alta intensità; pazienti in terapia con statina di intensità moderata o bassa; pazienti trattati con il solo antiaggregante piastrinico (che non assumevano statina). Gli outcome erano rappresentati da amputazione dell’arto e mortalità. Nella popolazione oggetto di studio, il 28% dei pazienti non assumeva statine. La somministrazione di statine ad alta intensità era più frequente in pazienti con comorbosità quali carotidopatia o coronaropatia (18.4%), rispetto ai pazienti con la sola diagnosi di AOP (6.4%).

L’incidenza di amputazioni e la mortalità si riducono significativamente con la terapia statinica, indipendentemente dall’intensità, se confrontata con l’assunzione del solo antiaggregante. I pazienti che assumono statine ad alta intensità presentano incidenza di amputazioni e mortalità ridotte rispetto ai pazienti in sola terapia antiaggregante (HR per amputazione: 0.67, CI 0.61-0.74; HR per mortalità: 0.74, CI 0.70-0.77). Anche nei pazienti che assumono statine a intensità moderata o bassa si osserva una riduzione delle amputazioni (HR: 0.81; CI 0.75- 0.86) e della mortalità (HR: 0.83; CI 0.81-0.86), seppur meno marcata che nei pazienti in terapia statinica ad alta intensità.

Le statine, specie in terapia ad alta intensità, sono sottoutilizzate nei pazienti con AOP, pur in presenza di una provata efficacia.

Circulation (IF=19.309) 137:1435-1446,2018

ODYSSEY OUTCOME TRIAL. NEI PAZIENTI CON SINDROME CORONARICA ACUTA RECENTE L’ANTICORPO ANTI-PCSK9 ALIROCUMAB RIDUCE GLI EVENTI CARDIOVASCOLARI E LA MORTALITÀ PER TUTTE LE CAUSE, ED È BEN TOLLERATO

Queste sono le conclusioni presentate al Congresso annuale dell’American College of Cardiology (ACC), tenutosi a Orlando la scorsa settimana, da Gabriel Steg, principal investigator dello studio. I pazienti che hanno avuto una sindrome coronarica acuta (SCA) sono ad alto rischio di nuovi eventi cardiovascolari ischemici (CV). Un indice predittore di tali eventi è il livello residuo di LDL-colesterolo (LDL-C) durante trattamento con statine. Dal momento che l’inibizione della proproteina convertasi subtilisina kexina tipo 9 (PCSK9) è un efficace mezzo per abbassare la concentrazione di LDL-C nei pazienti trattati in modo ottimale con statine, i ricercatori hanno voluto valutare l’ipotesi che il trattamento con Alirocumab, anticorpo monoclonale completamente umano inibitore di PCSK9, riduca gli eventi cardiovascolari ischemici rispetto al placebo. Sono stati inclusi 18.924 pazienti con SCA recente (entro 12 mesi). I pazienti erano in trattamento con atorvastatina 40-80 mg die o rosuvastatina 20-40 mg die o la dose massima tollerata di una statina e presentavano LDL-C ≥70 mg/dl o non-HDL-C ≥100 mg/dl o apolipoproteina B ≥80 mg/ dL. I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con alirocumab 75 mg sc 2 settimane (Q2W) o placebo. La dose di Alirocumab veniva incrementata a 150 mg Q2W nei pazienti che non raggiungevano il valore-target di LDL-C <50 mg/dl.

A un follow-up medio di 2.8 anni (quasi la metà dei più comuni trials di prevenzione cardiovascolare con farmaci ipolipidemizzanti) i valori medi di LDL-C erano di 53.3 mg/dl nei pazienti trattati con Alirocumab e di 101.4 mg/dl in quelli che hanno assunto placebo. Questa riduzione dell’LDL-C è associata a una diminuzione del 14% degli infarti non fatali, del 27% degli eventi cerebrali, del 39% degli episodi di angina. La mortalità totale è diminuita del 15%, ma la riduzione della mortalità cardiovascolare (-13%) non ha raggiunto la significatività statistica. Il beneficio maggiore, in termini di riduzione degli end-points clinici, è stato riscontrato nei pazienti con LDL-C >100 mg/dl all’arruolamento (nei quali era significativa anche la riduzione della mortalità cardiovascolare). Il trattamento con Alirocumab è stato ben tollerato, con l’unico effetto collaterale di modeste reazioni al sito di somministrazione.

Risultati simili sono scaturiti dallo studio FOURIER con Evolocumab, un altro anticorpo monoclonale anti-PCSK9, presentati allo stesso congresso lo scorso anno. Si conferma quindi che inibire con anticorpi monoclonali PCSK9 rappresenta una strategia valida e sicura per ridurre ulteriormente i valori di LDL-C, prevenire nuovi eventi cardiovascolari e prolungare la vita in pazienti con SCA già in trattamento ottimale con statine.

STATINE+EZETIMIBE E RIDUZIONE DELL’ICTUS DOPO SINDROME CORONARICA ACUTA

I pazienti che sopravvivono a una sindrome coronarica acuta (ACS) sono molto esposti all’insorgenza di un secondo evento ischemico, non solo cardiaco, ma anche cerebrale. I grandi trials con statine hanno dimostrato che ogni riduzione del valore di LDL-C di 1 mmol/L (38.67 mg/dl) produce una diminuzione degli ictus del 21%.
Nello studio IMPROVE-IT (Improved Reduction of Outcomes: Vytorin Efficacy International Trial), più di 18 mila pazienti sopravvissuti a un’ACS erano stati randomizzati al trattamento con ezetimibe (un inibitore dell’assorbimento intestinale di colesterolo), 10 mg/die, in associazione con simvastatina, 40 mg/die, o placebo e statina, e seguiti per una media di sei anni. L’aggiunta di ezetimibe alla statina aveva ridotto ulteriormente i livelli di LDL-C e gli eventi cardiovascolari.
In questa successiva analisi dei dati sulla medesima casistica i ricercatori hanno esaminato gli effetti della combinazione ezetimibe+simvastatina sull’insorgenza di ictus. Nei 6 anni di follow-up, 641 pazienti (3.5%) ha subito un ictus; la stragrande maggioranza era di tipo ischemico (82%).

Il numero di nuovi ictus era inferiore nei pazienti trattati con la combinazione ezetimibe+simvastatina rispetto a coloro che assumevano la sola statina, ma la differenza era di poco superiore al limite della significatività statistica (P=0.052). Altamente significativa (P=0.008) era invece la diminuzione del 21% degli ictus ischemici. A trarre maggior beneficio dalla terapia di associazione erano i pazienti che già avevano subito un ictus prima della randomizzazione, e quindi erano a rischio maggiore di recidiva; la combinazione dei due farmaci ha prodotto una riduzione significativa degli ictus di qualsiasi tipo (10.2% rispetto a 18.8% nei pazienti in statina), e degli ictus ischemici (8.7% rispetto a 16.3%).
Quindi, ridurre ulteriormente i livelli di LDL-C con l’aggiunta di ezetimibe a una statina fa bene non solo al cuore, ma anche al cervello.

Circulation (IF=19.309) 136:2440, 2017

STATINE E MORTALITÀ IN PREVENZIONE PRIMARIA

Abbiamo già visto come le statine siano molto efficaci nel ridurre la mortalità totale e cardiovascolare in prevenzione secondaria. E in prevenzione primaria?
L’importanza delle statine anche nella prevenzione primaria è stato inizialmente messo in luce nel “West of Scotland Coronary Prevention Study” (WOSCOPS) (N Engl J Med 1995), che ha reclutato 6.595 soggetti con elevati valori di colesterolo (LDL-C medio 192 mg/dl) senza storia clinica di malattia cardiovascolare, trattati per cinque anni con pravastatina (40 mg/die) o placebo. La terapia con pravastatina ha ridotto l’LDL-C del 26%, una percentuale modesta per gli standard attuali ma rilevante nel contesto clinico/temporale dello studio WOSCOPS; la mortalità coronarica si è ridotta del 33% (p=0.042), quella cardiovascolare del 33% (p=0.033) e la mortalità totale del 22% (p=0.051).
Lo studio JUPITER (N Engl J Med 2008) ha reclutato 17.802 soggetti non affetti da malattia cardiovascolare, a basso rischio, con livelli “normali” di colesterolo LDL (mediana LDL-C 108 mg/dl), ma livelli elevati di proteina C reattiva (PCR), trattati con rosuvastatina (20 mg/die) o placebo. Per ragioni etiche il trial è stato interrotto ben prima del previsto, dopo circa 2 anni di followup, alla luce dei significativi benefici nel gruppo trattato con rosuvastatina. Il colesterolo LDL si è ridotto del 50% (LDL-C 47 mg/dl) nel gruppo trattato con rosuvastatina, con una riduzione della mortalità totale del 20% (p=0.02).
Si conferma quindi il ruolo centrale e insostituibile delle statine nella prevenzione cardiovascolare, anche nel soggetto non affetto da malattia cardiovascolare.

EVOLOCUMAB È EFFICACE E SICURO NEI PAZIENTI CON E SENZA DIABETE, E NON AUMENTA IL RISCHIO DI DIABETE DI NUOVA INSORGENZA

Nello studio FOURIER l’inibitore di PCSK9, evolocumab, ha ridotto il colesterolo LDL e gli eventi cardiovascolari in 27.564 pazienti con malattia aterosclerotica in terapia con statine. La nuova analisi pre-specificata del FOURIER che vi proponiamo oggi ha valutato l’efficacia e la sicurezza dell’evolocumab in base alla presenza (n=11031, 40%) o meno (n=16533, 60%) di diabete nei pazienti reclutati. Nei soggetti non diabetici è stato inoltre valutato l’effetto del farmaco sulla glicemia e il rischio di sviluppare diabete di nuova insorgenza. L’endpoint primario era il composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus e ospedalizzazione per angina instabile o rivascolarizzazione coronarica. L’evolocumab è risultato efficace nel ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari indipendentemente dalla presenza di diabete (riduzione del rischio relativo dell’endpoint primario del 17% nei pazienti diabetici, p=0.0008 e del 13% nei pazienti non diabetici, p=0.0052). Inoltre, nei pazienti non diabetici, la terapia con evolocumab non ha aumentato il rischio di sviluppare diabete di nuova insorgenza (HR 1.05; 95% CI 0.94-1.17). In conclusione, l’inibizione di PCSK9 con l’anticorpo monoclonale evolocumab riduce significativamente il rischio cardiovascolare nei pazienti con e senza diabete senza aumentare il rischio di insorgenza di diabete.

Lancet Diabetes Endocrinol (IF=19.742) 5:941,2017

VALORI RIDOTTI DI COLESTEROLO-LDL E FUNZIONE COGNITIVA

I risultati degli studi clinici con gli inibitori di PCSK9 hanno destato la preoccupazione che l’utilizzo di questi farmaci o i bassi livelli di colesterolo LDL che derivano dal loro uso potessero associarsi a deficit cognitivi.

In un sottogruppo di pazienti provenienti dal FOURIER, uno studio randomizzato, controllato con placebo, che ha testato l’efficacia e sicurezza di evolocumab (un anticorpo monoclonale anti-PCSK9) in aggiunta alla terapia statinica, è stata valutata la funzione cognitiva utilizzando la Cambridge Neuropsychological Test Battery. Le valutazioni della funzione cognitiva sono state eseguite all’inizio dello studio, alla settimana 24, a un anno e alla fine dello studio. Sono stati seguiti 1204 pazienti per 19 mesi; la variazione media (± SD) rispetto al basale dell’indice delle funzioni esecutive era -0.21 ± 2.62 nel gruppo evolocumab e -0.29 ± 2.81 nel gruppo placebo (P<0.001 per la non-inferiorità; P=0.85 per la superiorità). Non vi erano differenze significative tra i due bracci di randomizzazione negli indici della memoria e della velocità psicomotoria. Un’ulteriore analisi ha dimostrato che i livelli di colesterolo-LDL non erano associati a cambiamenti della funzione cognitiva.

N Engl J Med (IF=72.406) 377:633,2017

LA PRAVASTATINA RIDUCE LA MORTALITÀ IN PREVENZIONE PRIMARIA

Vi chiederete: dov’è la novità? Beh, questo è lo studio più lungo mai condotto con una statina e dimostra, una volta di più, che ridurre il colesterolo fa bene al cuore e ai vasi, anche in prevenzione primaria.

Il WOSCOPS (West Of Scotland Coronary Prevention Study) è uno studio randomizzato, controllato versus placebo, iniziato negli anni ’90 e durato circa 5 anni. Aveva arruolato 6.595 soggetti di sesso maschile, di età compresa tra i 45 e i 64 anni, randomizzandoli a pravastatina 40 mg/die o placebo. Oggi viene proposta un’analisi post-hoc che ha interessato 5.529 partecipanti senza evidenza di patologie cardiovascolari al reclutamento, seguiti per un totale di 20 anni. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: con colesterolo LDL < 190 mg/dl (2.969 soggetti con LDL medio di 178±6 mg/dl) o colesterolo LDL ≥ 190 mg/dl (2.560 soggetti con un colesterolo LDL medio di 206±12 mg/dl) al momento della randomizzazione. Nei soggetti trattati con pravastatina la mortalità per coronaropatia, per cause cardiovascolari e per tutte le cause nell’arco dei 20 anni di follow-up si è ridotta rispettivamente del 22%, del 17% e del 12%. Il beneficio è stato doppio nei soggetti con LDL ≥ 190 mg/dl (-28%, -25% e -18%) rispetto a quelli con LDL < 190 mg/dl (-16%, -9%, -7%).

Circulation (IF=19.309) 2017 Sep 6. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.117.027966.

LE STATINE VANNO ASSUNTE LA SERA

La biosintesi del colesterolo segue un ritmo circadiano, raggiungendo la massima intensità nelle ore notturne. Per questo le statine, che come sapete riducono i livelli plasmatici di colesterolo LDL inibendo l’enzima HMG-CoA reduttasi, enzima-chiave nella biosintesi del colesterolo, sono generalmente somministrate la sera. Le statine in commercio hanno diversa durata d’azione (in farmacologia si valuta l’emivita plasmatica, ovvero il tempo di dimezzamento della concentrazione plasmatica; più lunga l’emivita, più lunga la durata d’azione). È possibile che statine a lunga emivita siano ugualmente efficaci quando somministrate la sera o la mattina. La metanalisi che vi proponiamo oggi ha risolto questo dubbio. L’analisi ha incluso i dati di 11 trials clinici controllati, randomizzati e non (1034 pazienti in totale), che confrontavano la somministrazione serale e mattutina di statina, valutando le differenze nelle variazioni dei vari parametri del quadro lipidico. Nell’analisi complessiva è stata osservata una maggiore riduzione dei livelli di LDL colesterolo con la somministrazione serale, mentre non sono state riscontrate differenze per colesterolo totale, HDL e trigliceridi. Nell’analisi per sottogruppi, divisi in base all’emivita della statina somministrata, la riduzione dei livelli di LDL colesterolo è risultata significativamente maggiore in caso di somministrazione serale, sia per le statine a breve emivita (fluvastatina, pravastatina e simvastatina) (differenza media di colesterolo LDL 9.68 mg/dL, CI 95%: 3.32-16.03, P=0.003), che per le statine a lunga emivita (atorvastatina, rosuvastatina, fluvastatina e simvastatina a rilascio prolungato) (differenza media 2.53 mg/dL, CI 95%: 0.41–4.64, P=0.02). Quindi, la statina, qualunque essa sia, è più efficace se assunta la sera.

J Clin Lipidol (IF=5.812) 11:972,2017

TOSSICITÀ MUSCOLARE DA STATINE. PERCHÉ? COSA FARE?

Le statine, come voi ben sapete, sono i farmaci più efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare nel paziente dislipidemico. Circa un quarto dell’intera popolazione mondiale con età >65 anni assume quotidianamente una statina per prevenzione primaria o secondaria. Le statine sono generalmente molto ben tollerate, ma possono indurre tossicità muscolare (“statin-induced myotoxicity”, o SIM), caratterizzata da varie manifestazioni cliniche, che includono debolezza o dolori muscolari (mialgia), ipersensibilità e rigidità muscolari, crampi e artralgia, con aumento dei livelli plasmatici di creatinkinasi (CK), un marcatore di danno muscolare.

La prevalenza di SIM nei pazienti trattati con statina non è ben definita, soprattutto a causa di una non uniformità nei criteri adottati per la sua definizione; si manifesta in una percentuale dei pazienti trattati con statina variabile tra il 7% e il 29%, a seconda delle diverse casistiche cliniche (“intolerance” nella figura).

 

La SIM è causata da un accumulo di statina nei miociti, secondario a un’anomala farmacocinetica, o da alterazioni dei miociti che favoriscono la tossicità delle statine. L’accumulo di statina nel muscolo può essere causato da una ridotta attività delle proteine che trasportano la statina nell’epatocita (in particolare il trasportatore OATP1B1), degli enzimi che metabolizzano la statina (citocromo P450), o delle proteine che mediano la fuoriuscita della statina dall’epatocita e dal miocita (MDR1 e BCRP). Fattori muscolari che predispongono alla SIM includono invece danno mitocondriale, ridotta sintesi di ATP, aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), ed efflusso di citocromo c e calcio. Le statine esercitano poi effetti diretti sul miocita, attivando l’enzima “mitogen-activated protein kinase” (MAPK) e riducendo l’attività del complesso RhoA/AKT/mTOR/PGC-1alfa, con aumento dell’apoptosi, della proteolisi e del rimodellamento delle fibre muscolari, e diminuendo l’efflusso di acido lattico.

Cosa fare per prevenire o trattare la SIM? Innanzitutto esistono fattori di rischio che predispongono all’insorgenza di SIM, quali età >80 anni, sesso femminile, ridotto BMI, fragilità, polimorfismi genetici, concomitanza di altre patologie neuromuscolari e non (es. ipotiroidismo, grave disfunzione renale o epatica), politerapia con possibili interazioni farmaco metaboliche, che andrebbero trattati o eliminati, se possibile. Una volta sospesa la terapia con statina e scomparsa la sintomatologia, può essere utile risomministrare una diversa statina, iniziando con dosi ridotte da incrementare fino al raggiungimento dell’obiettivo terapeutico, se ben tollerate. In alternativa, ricorrere ad altri farmaci, come ezetimibe e inibitori di PCSK9.

Pharmacol Ther (IF=11.127) 175:1, 2017