LA FRUTTA SECCA FA BENE AL CUORE

La frutta secca è un alimento nutriente e salutare, grazie all’elevato contenuto di acidi grassi insaturi (particolarmente acido linolenico), fibra, vitamine, minerali, polifenoli e altri componenti bioattivi. In particolare, le arterie traggono beneficio da un consumo regolare di frutta secca. Lo dimostra con estrema chiarezza questa analisi condotta da ricercatori di Harvard, che hanno esaminato i dati di tre grandi studi prospettici, il Nurses’ Health Study (1980 to 2012), il Nurses’ Health Study II (1991 to 2013) e l’Health Professionals Follow-Up Study (1986 to 2012), per un totale di 169.310 donne e 41.256 uomini non affetti da malattie tumorali o cardiovascolari, seguiti per un periodo variabile tra 21.5 e 28.7 anni. Ogni 2-4 anni veniva somministrato un questionario sulle abitudini alimentari, che includeva 130 alimenti, tra cui frutta secca con guscio (tutta), arachidi e burro di arachidi, e noci.

Durante il periodo di osservazione sono stati registrati più di 14.000 eventi cardiovascolari, di cui 8.390 cardiaci e 5.910 cerebrali. I soggetti che consumavano una porzione di frutta secca (28 g) almeno 5 volte a settimana presentavano un rischio di eventi cardiaci ridotto del 20% rispetto a coloro che non consumavano mai, o consumavano saltuariamente, frutta secca. Per ogni porzione di frutta secca il rischio di eventi cardiaci diminuiva del 13%. Basta mangiare frutta secca 2 volte a settimana per ridurre significativamente il rischio cardiaco. Il consumo di frutta secca non influenzava il rischio di eventi cerebrali.

Ma la frutta secca è tutta ugualmente efficace nel proteggere il cuore? La risposta dei ricercatori di Harvard a questa domanda è affermativa: le tipologie di frutta secca analizzate riducono in modo sostanzialmente analogo (15-23% per 5 porzioni/settimana) il rischio cardiaco, con l’eccezione del burro d’arachidi, che non ha alcun effetto sugli eventi cardiovascolari.

Come ricordato, la frutta secca è ricca di componenti bioattivi in grado di influenzare favorevolmente processi coinvolti nello sviluppo di eventi cardiovascolari, come il metabolismo lipidico, la sensibilità all’insulina, la funzionalità endoteliale, l’infiammazione, lo stress ossidativo. Non va peraltro dimenticato che la frutta secca è fortemente calorica, e l’apporto calorico che ne deriva andrebbe compensato con la riduzione di altri alimenti.

J Amer Coll Cardiol (IF=19.896) 70:2519,2017

PROMOSSI E BOCCIATI

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Ogni anno la rivista Us News and Word Report affida ad un team di esperti un giudizio su tutte le diete più diffuse e maggiormente popolari. I criteri di valutazione sono stati: la facilità di aderenza alla dieta, la perdita di peso corporeo nel tempo, nonché, principalmente l’efficacia contro le malattie cardiovascolari e il diabete. Sono state analizzate 40 diete, suddivise in 9 categorie, seguite, si presume, all’incirca da 45 milioni di Americani che, o per perdere peso, o per cambiare stile di vita, si affidano a nuovi regimi alimentari. La classifica vede agli ultimi posti, quale meno efficace attualmente però più popolare, il gruppo delle diete a basso contenuto di carboidrati; introdurre grandi quantità di proteine e grassi, a discapito del consumo di carboidrati, facilita certamente la perdita di peso, ma produce effetti sulla salute; inoltre è quasi impossibile protrarre nel tempo questo sbilanciamento dietetico.

Al primo posto per efficacia si trova la dieta DASH conosciuta in Italia come dieta antiipertensione, seguita dalla dieta Mediterranea. In realtà le differenze tra le due diete non sono marcate: entrambe prevedono consumo abbondante di frutta e verdura, legumi e cereali integrali, limitando il quantitativo di proteine e di grassi. Al terzo posto si colloca la dieta Flexitarian che prevede buone quantità di frutta e verdura, limitate quantità di carne e pesce e, a differenza delle altre, concede ogni tanto un “confort food” ovvero qualche “trasgressione” dolce. Bisogna ricordare che le prime due diete classificate sono ormai validate da molti lavori scientifici che ne comprovano l’efficacia sia riguardo la salute che la loro applicabilità e osservanza nel lungo periodo.

HDL E TUMORE ALLA PROSTATA

Massimilano Ruscica, Monica Gomaraschi

Il tumore prostatico rappresenta a oggi, nei Paesi occidentali, la seconda causa di morte per tumore nel sesso maschile. La prostata è una ghiandola delle dimensioni di una noce che con il passare degli anni oppure a causa di alcune patologie può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario (ipertrofia). Questa ghiandola è sensibile all’azione degli ormoni, in particolare il testosterone, che ne influenza la crescita. Il tumore prostatico, caratterizzato da cellule che crescono in modo incontrollato all’interno della ghiandola prostatica, evolve da una forma che risponde alla terapia di deprivazione ormonale ad una più aggressiva, dove le cellule tumorali acquisiscono un’autonomia di crescita indipendentemente dalla presenza degli androgeni. Ad oggi, le opzioni terapeutiche per la forma più aggressiva, cioè quella refrattaria alla terapia di deprivazione ormonale, sono limitate e la prognosi non è favorevole.

Al fine di identificare nuovi approcci terapeutici, è necessario comprendere quali fattori siano in grado di favorire la crescita delle cellule tumorali. uesto In questo studio è stato indagato il ruolo dello stress ossidativo: le cellule tumorali presentano una maggiore quantità di specie reattive dell’ossigeno (ROS) rispetto alle cellule normali e tale caratteristica potrebbe essere coinvolta nell’acquisizione di un fenotipo oncogenico. Le lipoproteine ad alta densità (HDL) sono state utilizzate come strumento per ridurre lo stress ossidativo, poiché il loro ruolo protettivo nello sviluppo dell’arteriosclerosi è dovuto anche alla loro azione antiossidante. Infatti, le HDL trasportano enzimi antiossidanti, come la paraoxonasi, possono legare le molecole ossidate per trasportarle al fegato per l’eliminazione e partecipano direttamente alla riduzione delle specie ossidate, grazie all’ossidazione delle loro componenti proteiche, le apolipoproteine A-I e A-II. Nello specifico, utilizzando due linee cellulari di tumore prostatico (LNCaP e PC-3), rappresentative del fenotipo rispondente agli androgeni e quello più aggressivo rispettivamente, è stato dimostrato come le HDL siano in grado di ridurre i livelli di ROS e conseguentemente di bloccare la crescita delle cellule tumorali. Tale attività antiossidante è esercitata anche da HDL sintetiche, particelle discoidali composte da apoA-I e fosfatidilcolina, oggi in fase di sviluppo clinico come agenti stabilizzanti della placca ateromasica. Pertanto, nella patologia tumorale prostatica, l’azione antiossidante delle HDL potrebbe essere utile per diminuire gli stimoli proliferativi presenti nel microambiente tumorale, favorendo così l’azione delle classiche terapie farmacologiche anti-tumorali.

Sci Rep (IF=4.259) 8:2236,2018

RADICALI LIBERI E STRESS OSSIDATIVO

I radicali liberi sono specie chimiche altamente instabili per la presenza nella loro struttura di uno o più elettroni spaiati. La particolare distribuzione elettronica fa sì che i radicali liberi siano molto reattivi e cerchino di raggiungere uno stato più stabile unendosi ad altre molecole o interagendo con altre specie radicaliche. Un radicale libero reagendo con una specie non radicalica può perdere o guadagnare elettroni o semplicemente unirsi alla molecola stessa. In questo modo, la specie non radicalica si trasforma in un nuovo radicale che innesca una reazione a catena, in cui un radicale libero genera un altro radicale libero, fino a quando due radicali si incontrano fermando la cascata di reazioni.

I radicali liberi, dal punto di vista chimico, costituiscono una grande famiglia di composti che possono essere suddivisi in due principali categorie: i ROS (Reactive Oxygen Species), che contengono ossigeno (Figura), e i RNS (Reactive Nitrogen Species), che comprendono le specie radicaliche dell’azoto.

I ROS vengono prodotti dalle cellule di tutte le specie viventi durante i normali processi fisiologici e vengono rilasciati come sottoprodotti metabolici della respirazione aerobica, di alcuni processi enzimatici o di reazioni immunitarie. Hanno anche origine esogena, prodotti da inquinamento, radiazioni ultraviolette, agenti chimici e chemioterapici, xenobiotici, e stress. Il radicale idrossile e l’ossigeno singoletto sono le forme più reattive tra i ROS; ossidano rapidamente tutte le molecole biologiche, in particolare i grassi insaturi, le proteine e gli acidi nucleici, provocando gravi danni alle cellule.

In condizioni fisiologiche gli organismi viventi possiedono sistemi di difesa endogeni che proteggono le biomolecole strutturali e funzionali dall’attacco dei radicali liberi. Questi sistemi di difesa possono essere di tipo enzimatico (glutatione, superossido dismutasi, catalasi) e non enzimatico (molecole antiossidanti e vitamine assunte con gli alimenti). Fungono da antiossidanti, reagendo con le specie radicaliche prima che queste possano attaccare le strutture biologiche, e riducendone il potenziale dannoso.

Una eccessiva esposizione a specie ossidanti altamente reattive rompe l’equilibrio tra radicali liberi e antiossidanti; si innesca quindi una situazione di stress ossidativo, responsabile di importanti danni che compromettono la funzionalità di cellule e tessuti. Per mantenere un corretto bilanciamento tra radicali liberi e sistemi antiossidanti, è importante fornire costantemente all’organismo un apporto corretto di molecole con proprietà antiossidanti, che possono essere assunte con gli alimenti, o tramite un’integrazione mirata, e comprendono polifenoli, vitamine, carotenoidi e molte altre sostanze. Questi composti sono in grado di reagire con i radicali liberi, riducendone la reattività e generando molecole meno pericolose facilmente eliminabili dall’organismo. Agiscono con meccanismi diversi e con diversa efficienza in base al tipo di radicale con cui interagiscono. Ogni antiossidante è in grado di esplicare la propria azione di contrasto su pochi specifici radicali, per cui è necessario che l’apporto di antiossidanti esogeni sia il più vario possibile, in modo che le diverse molecole possano agire in modo complementare o in sinergia nel proteggere le biomolecole dall’ossidazione operata da specie radicaliche di diversa natura.

La protezione contro lo stress ossidativo, nella vita quotidiana, si ottiene soprattutto attraverso una corretta alimentazione. Moltissimi alimenti presenti sulle nostre tavole contengono sostanze antiossidanti. Innanzitutto la frutta: kiwi, succo di uva nera, mirtilli e frutti di bosco, succo di arancia, succo di pompelmo, prugne, melograno e avocado. Poi la verdura, soprattutto quella colorata: carote, pomodori, aglio, broccoli, cavoli, peperoni, spinaci, melanzana e cipolle. E per finire i legumi. Il tutto accompagnato da un giusto quantitativo di vino, possibilmente rosso.

STREET FOOD: IL PASTRAMI

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Originario dei paesi balcanici, il pastrami (in romeno pastramà) non è altro che un taglio di manzo affumicato. Nasce, prima dell’avvento della refrigerazione, come metodo di conservazione della carne. Il pastrami si ottiene con una lenta lavorazione: prima lo si mette in salamoia, poi si passa all’essicazione tramite leggera affumicatura, infine, condito con molte spezie, si porta a cottura in forno. L’intero processo può durare anche cinque giorni. E’ una ricetta che rispetta i dettami della cucina kosher: infatti è stata portata negli Stati Uniti, nel primo novecento, dagli immigrati ebrei dell’Europa orientale. A New York è diventato un panino famosissimo. Viene impiegato il “brisket”, pancia di manzo affumicata, che viene servito tagliato in fette sottilissime (almeno 8) tra due pezzi di pane di segale. Condito con salse e sottaceti, molto spesso viene arricchito anche da formaggio, rendendolo così un sandwich molto ricco.

Un “pastrami”. Kcal 217.00; carboidrati 15.88 g; proteine 26.08 g; lipidi 4.9 g (saturi 1.84 g; polinsaturi 0.81 g; monoinsaturi 1.48 g); fibra 1.6 g.

ALLARME OBESITÀ DELL’OMS

L’obesità e la sua anticamera, il sovrappeso, mettono a rischio nel mondo la vita di 1.9 miliardi di adulti (39% degli uomini e 40% delle donne), di cui oltre 650 milioni obesi (dati 2016). Complessivamente, nel 2016 circa il 13% della popolazione adulta nel mondo (l’11% degli uomini e il 15% delle donne) era obeso. La prevalenza mondiale dell’obesità è quasi triplicata tra il 1975 e il 2016.
L’OMS lancia l’ennesimo allarme contro il sovrappeso e l’obesità, specie tra i bambini. Nel 2016, secondo l’OMS, circa 41 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni, e oltre 340 milioni di bambini e adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni, erano in sovrappeso o obesi. La prevalenza di sovrappeso/obesità tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra 5 e 19 anni è aumentata drammaticamente dal 4% nel 1975 a poco più del 18% nel 2016. L’aumento si è verificato in modo simile tra maschi e femmine: nel 2016 il 18% delle ragazze e 19% di ragazzi erano sovrappeso.
Una volta considerato un problema dei Paesi ad alto reddito, il sovrappeso e l’obesità sono attualmente in aumento nei Paesi a basso e medio reddito, in particolare in contesti urbani. In Africa, il numero di bambini in sovrappeso sotto i 5 anni è aumentato di quasi il 50% dal 2000. Quasi la metà dei bambini sotto i 5 anni in sovrappeso o obesi nel 2016 viveva in Asia.
L’obesità infantile è associata a una maggiore probabilità di obesità, morte prematura e disabilità nell’età adulta. Ma oltre ai maggiori rischi futuri, i bambini obesi hanno difficoltà respiratorie, aumentato rischio di fratture, ipertensione, marcatori precoci di malattie cardiovascolari, insulino-resistenza ed effetti psicologici.
A livello globale ci sono più persone obese che sottopeso e questo si verifica in tutte le aree del Mondo, tranne in quelle dell’Africa subsahariana e in Asia.
E con l’obesità aumenta il rischio per le malattie non trasmissibili come: malattie cardiovascolari (principalmente malattie cardiache e ictus), diabete, disturbi muscoloscheletrici (in particolare l’artrosi – una malattia degenerativa altamente invalidante delle articolazioni), alcuni tipi di cancro (inclusi endometrio, seno, ovaio, prostata, fegato, cistifellea, rene e colon).
Sovrappeso e obesità sono prevenibili. A livello individuale, le persone possono limitare l’assunzione di energia da grassi e zuccheri totali; aumentare il consumo di frutta e verdura, nonché legumi, cereali integrali e noci; impegnarsi in attività fisica regolare (60 minuti per i bambini e 150 minuti per gli adulti al giorno per tutta la settimana). Anche l’industria alimentare può svolgere un ruolo significativo nella prevenzione del sovrappeso/obesità, riducendo il contenuto di grassi, zucchero e sale degli alimenti trasformati; limitando la commercializzazione di alimenti ricchi di zuccheri, sale e grassi, specialmente se destinati a bambini e adolescenti; assicurando che scelte salutari e nutrienti siano disponibili e accessibili a tutti i consumatori.

GDF15: UN FARMACO PER IL TRATTAMENTO DELL’OBESITÀ?

Un importante contributo alla ricerca di farmaci innovativi per il trattamento della pandemia dell’obesità viene da un sofisticato studio di ricercatori californiani pubblicato su Science Translational Medicine. Confrontando l’espressione di circa 4000 geni in tessuti importanti sul piano metabolico si è scoperto che l’espressione (Fig. 1A) e la concentrazione plasmatica (Fig. 1B) di GDF15 (noto anche come MIC-1, macrophage inhibitory cytokine 1) sono aumentate nei topi, nei ratti e negli umani obesi. Inoltre, aumentando l’espressione di GDF15 in vari modelli animali di obesità (topi, ratti e scimmie), ovvero somministrando la proteina GDF15 in forma ricombinante, si riduce l’assunzione di cibo, migliora il profilo metabolico e diminuisce il peso corporeo.

Purtroppo la proteina ricombinante GDF15, una volta iniettata, viene rapidamente eliminata (emivita nella scimmia di circa 3 ore), il che ne limita fortemente l’uso come farmaco per il trattamento dell’obesità. Ricorrendo a una strategia già sperimentata per prolungare la durata d’azione di proteine ricombinanti, i ricercatori hanno prodotto, attraverso l’attacco di un frammento anticorpale al GDF15, una proteina GDF15 ibrida (GDF15-Fc), che può essere somministrata una volta alla settimana. Una volta iniettata in modelli animali di obesità, GDF15-Fc rallenta lo svuotamento gastrico, aumenta il senso di sazietà e modifica le preferenze alimentari, facendole virare verso scelte alimentari più salutari.

Quando somministrata a scimmie obese per un periodo di 6 settimane, GDF15-Fc ha prodotto una riduzione del 40% dell’introito calorico, con una diminuzione del 10% del peso corporeo e un miglioramento del metabolismo glucidico e lipidico (Fig. 2). Per apprezzare la potenza di questo nuovo candidato farmaco, basti pensare che i 5 farmaci anti-obesità oggi disponibili in commercio consentono di perdere dal 7 al 12% del peso iniziale, ma nell’arco di un anno, e che la chirurgia bariatrica fa perdere dal 20 al 30% del peso nel corso del primo anno dall’intervento, ma ha costi elevati e non è scevra di complicanze. Non è possibile al momento stabilire se la proteina GDF15 ibrida sia priva di effetti collaterali; per questo bisognerà naturalmente attendere i primi studi sull’uomo.

Science Transl Med (IF=16.761) 9:412,2017

STREET FOOD: IL PANINO CON IL LAMPREDOTTO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

A Firenze il panino con il lampredotto è una tradizione ormai consolidata. La pezzatura di pane è chiamata “semella” e viene riempita di trippa. Presso i “banchini” dei trippai si adoperano, a differenza di altre ricette che vedono impiegati tutti i prestomaci del bovino, solo la parte dell’apparato digerente chiamato abomaso. Questo comprende una parte magra, la gala, molto saporita, e la spannocchia, più grassa e con un sapore più delicato. Viene chiamato lampredotto perché ai fiorentini il colore scuro e le creste dell’abomaso ricordano la lampreda, un tipo di anguilla considerata cibo sopraffino, un tempo diffusa in Arno e consumata, durante il Rinascimento, dalle classi più ricche. I poveri dovevano accontentarsi di prodotti di scarto dei macelli: il “quinto quarto” cioè le parti meno nobili. Il lampredotto è reperibile in ogni angolo di Firenze, è un piatto poverissimo bollito con odori e servito con il pane inzuppato con il sugo di cottura.

Un panino. Kcal 145,00; carboidrati 35,40 g; proteine 13,63 g; lipidi 3,67 g (saturi 1,30 g; polinsaturi 0,28 g; monoinsaturi 1,49 g); fibra 1,9 g.

VERO O FALSO?

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

L’OLIO DI SEMI È PIÙ LEGGERO DI QUELLO DI OLIVA
Falso. Tutti gli olii apportano le stesse calorie: 899 Kcal ogni 100 g. Si differenziano tra loro per la diversa percentuale di acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi.

saturi    monoinsaturi   polinsaturi
girasole     11,24          33,37             50,22
mais          14,96          30,66             50,43
soia           14,02          22,76             56,96
oliva          16,16          74,45               8,84

IL KIWI CONTIENE PIÙ VITAMINA C DELL’ARANCIA
Vero. Il kiwi contiene 85 mg. per ogni 100 g. di vitamina C, mentre l’arancia 50. Il fabbisogno di vit. C raccomandato (PRI) dai Larn (livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana) è di 105 mg. per gli uomini e di 85 mg. per le donne.

IL PESCE CONTIENE MENO FERRO DELLA CARNE
Falso. È diffusa la convinzione che le persone con carenza di ferro debbano mangiare in abbondanza carne rossa. In realtà l’alimento più ricco di ferro è il pesce: l’acciuga contiene 2,8 mg. ogni 100 g., mentre un filetto di carne bovina ne contiene 1,9 mg. La cozza raggiunge addirittura 5,8 mg. Non dimentichiamo i legumi: le lenticchie hanno un contenuto di 8 mg. Quindi con anemie ferroprive, un giusto consumo variato di pesce, legumi e carni può favorirne il reintegro.

IL RISO È MENO CALORICO DELLA PASTA
Falso. Il riso ha un valore calorico leggermente superiore a quello della pasta. Infatti 100 g. di riso apportano 332 Kcalorie contro le 325 della pasta di semola. Anche l’indice glicemico del riso, è superiore: 70 contro i 57 degli spaghetti.

IL BURRO È UN GRASSO DA ELIMINARE DALLA DIETA
Falso. In una persona con un profilo lipidico normale è concessa, saltuariamente, una piccola porzione di burro fresco. Il burro è ricco di acidi grassi saturi, 48,78 g. per ogni 100 g., è meno calorico dell’olio e molto ricco di vitamina A, di cui contiene 930 µ. ret. Eq.

STATINE+EZETIMIBE E RIDUZIONE DELL’ICTUS DOPO SINDROME CORONARICA ACUTA

I pazienti che sopravvivono a una sindrome coronarica acuta (ACS) sono molto esposti all’insorgenza di un secondo evento ischemico, non solo cardiaco, ma anche cerebrale. I grandi trials con statine hanno dimostrato che ogni riduzione del valore di LDL-C di 1 mmol/L (38.67 mg/dl) produce una diminuzione degli ictus del 21%.
Nello studio IMPROVE-IT (Improved Reduction of Outcomes: Vytorin Efficacy International Trial), più di 18 mila pazienti sopravvissuti a un’ACS erano stati randomizzati al trattamento con ezetimibe (un inibitore dell’assorbimento intestinale di colesterolo), 10 mg/die, in associazione con simvastatina, 40 mg/die, o placebo e statina, e seguiti per una media di sei anni. L’aggiunta di ezetimibe alla statina aveva ridotto ulteriormente i livelli di LDL-C e gli eventi cardiovascolari.
In questa successiva analisi dei dati sulla medesima casistica i ricercatori hanno esaminato gli effetti della combinazione ezetimibe+simvastatina sull’insorgenza di ictus. Nei 6 anni di follow-up, 641 pazienti (3.5%) ha subito un ictus; la stragrande maggioranza era di tipo ischemico (82%).

Il numero di nuovi ictus era inferiore nei pazienti trattati con la combinazione ezetimibe+simvastatina rispetto a coloro che assumevano la sola statina, ma la differenza era di poco superiore al limite della significatività statistica (P=0.052). Altamente significativa (P=0.008) era invece la diminuzione del 21% degli ictus ischemici. A trarre maggior beneficio dalla terapia di associazione erano i pazienti che già avevano subito un ictus prima della randomizzazione, e quindi erano a rischio maggiore di recidiva; la combinazione dei due farmaci ha prodotto una riduzione significativa degli ictus di qualsiasi tipo (10.2% rispetto a 18.8% nei pazienti in statina), e degli ictus ischemici (8.7% rispetto a 16.3%).
Quindi, ridurre ulteriormente i livelli di LDL-C con l’aggiunta di ezetimibe a una statina fa bene non solo al cuore, ma anche al cervello.

Circulation (IF=19.309) 136:2440, 2017