L’AMILOIDOSI CARDIACA. 3. DIAGNOSI

L’amiloidosi cardiaca è ampiamente sottodiagnosticata perché erroneamente considerata rara, difficile da diagnosticare e intrattabile. I recenti avanzamenti nella conoscenza della malattia hanno consentito un più frequente riscontro rispetto al passato e agevolato i percorsi diagnostici. Il sospetto diagnostico è il momento cruciale al fine di ottenere una diagnosi precoce e l’inizio di trattamenti in tempi utili per assicurare un significativo miglioramento della prognosi. L’amiloidosi cardiaca può manifestarsi come fenocopia di condizioni patologiche più comuni e prognosticamente più favorevoli quali la cardiopatia ipertensiva, la cardiopatia valvolare associata alla stenosi aortica e la cardiomiopatia ipertrofica. Ciò rende conto al tempo stesso della difficoltà nella diagnosi e della necessità di passare da una valutazione prevalentemente fenotipica ad una specificamente eziologica al fine d’intercettare in fase precoce una condizione a prognosi infausta.
Il paziente con amiloidosi cardiaca può presentare diversi quadri clinici d’esordio: scompenso cardiaco congestizio, parossismi di fibrillazione atriale, nuova insorgenza di blocchi atrio-ventricolari o blocchi di branca, dispnea e astenia associati a stenosi aortica di grado variabile. Per le caratteristiche di progressione del processo infiltrativo, il paziente può essere asintomatico fino alle fasi più avanzate di malattia. Sempre più di frequente, quindi, il sospetto diagnostico d’amiloidosi cardiaca sorge per il riscontro occasionale d’ipertrofia ventricolare sinistra all’imaging cardiovascolare. Al fine di poter giungere alla diagnosi occorre ricercare quei segni clinici, elettrocardiografici, laboratoristici e strumentali che caratterizzano la malattia. L’età avanzata, la presenza di tunnel carpale bilaterale e/o di anomalie laboratoristiche, quali il picco monoclonale al quadro proteico elettroforetico o di proteinuria all’esame delle urine delle 24 ore, quando associati a quadri di imaging ed ECG tipici, sono elementi fortemente suggestivi di amiloidosi. L’assenza di essi permette invece di escludere con elevata probabilità la diagnosi di amiloidosi.

L’AMILOIDOSI CARDIACA. 2. FISIOPATOLOGIA

Nell’amiloidosi l’infiltrazione di fibrille proteiche è disomogenea e può interessare diversi organi e ciascuno in grado variabile. Ciò giustifica l’ampia eterogeneità fenotipica della malattia. A livello cardiaco qualsiasi struttura (miocardio, apparati valvolari, pericardio) può essere potenzialmente colpita. L’infiltrazione del miocardio determina un progressivo aumento degli spessori parietali con riduzione delle dimensioni cavitarie. Il danno miocardico è multifattoriale (citotossicità diretta delle fibrille proteiche, danno cellulare da stress ossidativo ed ischemia) e causa una progressiva alterazione della funzionalità cardiaca. In sistole si ha una riduzione della capacità contrattile; in diastole, un aumento delle pressioni di riempimento. Perciò l’amiloidosi cardiaca è definita una cardiomiopatia a fenotipo ipertrofico e fisiologia restrittiva. Il danno miocardico si manifesta con l’aumento stabile e cronico dei livelli circolanti degli enzimi di necrosi miocardica (troponina cardiaca I e T).

L’infiltrazione di fibrille nel miocardio può condurre ad anomalie della genesi del ritmo (fibrillazione atriale, blocchi seno-atriali avanzati) e anomalie della conduzione (blocchi atrio-ventricolari e blocchi di branca). Il coinvolgimento valvolare è frequente e determina perlopiù insufficienza valvolare di grado lieve. Inoltre, l’amiloidosi cardiaca ATTRwt si associa a stenosi aortica. Il coinvolgimento pericardico è anch’esso frequente e causa per lo più versamento pericardico di grado lieve.

L’AMILOIDOSI CARDIACA. 1. COS’È?

Le amiloidosi sono malattie sistemiche caratterizzate da deposizione extracellulare (infiltrazione) di fibrille insolubili. Tali fibrille sono composte da precursori proteici che, a seguito di modifiche strutturali (misfolding), si aggregano in strutture polimeriche in grado di precipitare a livello extracellulare determinando disfunzione d’organo. L’amiloidosi cardiaca è riconducibile a due precursori proteici. Le catene leggere delle immunoglobuline, prodotte nel corso di discrasie plasmacellulari (es. mieloma multiplo, MGUS), nell’amiloidosi AL (Light chains amyloidosis). La transtiretina, prodotta dal fegato e in misura minore a livello oculare, nell’amiloidosi ATTR (Transthyretin amyloidosis); la transtiretina può essere strutturalmente anomala per mutazioni geniche (nella forma mutant o ATTRm) o per deficit acquisiti ad eziopatogenesi sconosciuta (nella forma wild type o ATTRwt).

Nell’amiloidosi AL, le fibrille precipitano principalmente a livello renale e gastro-intestinale e il coinvolgimento cardiaco interessa poco più della metà dei casi. Nell’amiloidosi ATTR le fibrille presentano uno spiccato tropismo per il sistema nervoso e cardiaco; il fenotipo risultante dipenderà dall’eziologia. Nella forma ereditaria, a seconda del tipo di mutazione genica, è possibile riscontrare fenotipi prevalentemente neurologici (es. mutazione Val30Met early onset), prevalentemente cardiologici (es. mutazione Ile68Leu), e misti (es. mutazione Val30Met late onset). Nella forma wild type il coinvolgimento cardiaco prevale su quello neurologico. Il coinvolgimento cardiaco, indipendentemente dalla forma di amiloidosi, ha sempre un forte impatto prognostico negativo. Tuttavia, nella forma AL la prognosi è generalmente peggiore, e questo sembra legato ad effetti citotossici diretti mediati dalla sostanza amiloide sugli organi e i tessuti coinvolti.

PROTEINE VEGETALI. ELISIR DI LUNGA VITA?

Sostituire le proteine animali con quelle vegetali riduce la mortalità per tutte le cause e per malattie cardiovascolari. I ricercatori del National Cancer Institute hanno analizzato i dati relativi a 237.036 uomini e 179.068 donne che hanno partecipato al U.S. National Institutes of Health-AARP Diet and Health Study dal 1995 al 2011. L’età mediana (SD) era di 62,2 anni (5,4) per gli uomini e 62,0 (5,4) per le donne. Nel complesso, l’assunzione mediana di proteine alimentari da tutte le fonti rappresentava il 15,3% delle calorie giornaliere, con il 40% delle proteine derivanti da fonti animali e il 60% da fonti vegetali. Durante il follow-up di 15,5 anni sono deceduti 49.297 uomini e 28.317 donne.
Negli uomini, l’assunzione di 10 grammi in più di proteine vegetali per 1.000 calorie giornaliere si associa a un rischio inferiore di mortalità per tutte le cause (HR=0,88) e di mortalità per malattie cardiovascolari (HR=0,88). Nelle donne, l’assunzione dello stesso quantitativo di proteine vegetali per 1.000 calorie si associa a una mortalità inferiore per tutte le cause (HR=0,86), per malattie cardiovascolari (HR=0,83) e per cancro (HR=0,91). Inoltre, la sostituzione del 3% delle calorie derivanti da proteine animali con calorie da proteine vegetali si associa a una mortalità per tutte le cause inferiore del 10% sia negli uomini che nelle donne, nonché a una ridotta mortalità per malattie cardiovascolari (11% negli uomini e 12% nelle donne). La riduzione maggiore nella mortalità per tutte le cause è stata osservata quando le proteine vegetali hanno sostituito le proteina dell’uovo (HR 0,76 e 0,79 per uomini e donne); poi la sostituzione di proteine da carne rossa (HR 0,87 e 0,85) e da latticini (HR 0,92 per entrambi). I risultati si sono mantenuti quando i partecipanti sono stati suddivisi in sottogruppi in base a status di fumatore, diabete, consumo di frutta, uso di integratori vitaminici e stato di salute autosegnalato.

JAMA Intern Med (IF=18.652) 2020 Jul 13:e202790.

IL PEPERONCINO FA BENE ALLA SALUTE

Queste sono le conclusioni di uno studio italiano condotto all’IRCCS Neuromed di Pozzilli. Il peperoncino è una parte abituale della dieta mediterranea. Tuttavia, i dati epidemiologici sull’associazione tra assunzione di peperoncino e mortalità sono scarsi. I ricercatori molisani hanno esaminato 22.811 uomini e donne arruolati nel Moli-sani Study (2005-2010). L’assunzione di peperoncino è stata stimata dal questionario sulla frequenza alimentare EPIC (European Prospective Investigation Into Cancer) e classificata come nessuna/rara, <2 volte a settimana, da >2 a ≤4 volte a settimana e >4 volte a settimana. Nel corso di un follow-up medio di 8.2 anni sono stati accertati 1.236 decessi.
Negli individui che assumevano regolarmente peperoncino (> 4 volte/settimana) la mortalità per tutte le cause e per malattie cardiovascolari è ridotta del 23% (HR 0.77; 95%CI 0.66-0.90) e del 34% (HR 0.66; 95%CI 0.50-0.86), rispetto a coloro che non lo consumavano mai o occasionalmente. L’assunzione regolare di peperoncino riduce anche la mortalità cerebrovascolare (HR 0.39; 95%CI 0.20-0.75) e la cardiopatia ischemica (HR 0.56; 95%CI 0.35-0.87). La riduzione della mortalità totale è più evidente nei soggetti normotesi.

J Am Coll Cardiol (IF=18.639) 74:3139,2019.

IL FINOCCHIO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Il finocchio appartiene alla famiglia delle Ombrellifere, note per avere buone proprietà digestive. Coltivato in tutto il bacino del Mediterraneo, questo ortaggio richiede un clima temperato. Composto principalmente da acqua, il finocchio ha un notevole contenuto di vitamine B e C. Contiene anche anetolo, una sostanza capace di lenire le contrazioni addominali, effetto questo che da sempre lo qualifica come protettore dell’apparato digestivo. L’apporto calorico è molto basso e ha una buona quantità di fibra, sia solubile che insolubile, che lo rende un ortaggio consigliato nelle diete.

Una facile ricetta da preparare sono i finocchi in agrodolce. Ingredienti per 4 persone: 1 kg. di finocchi, 30 g. di uvetta sultanina, 1 cucchiaio di semi di finocchio, 3 cucchiai di aceto, 50 g. di miele, 30 g. di olio di oliva extravergine, sale e pepe q.b. Pulire i finocchi e tagliarli a spicchi, versali quindi in una pentola con l’olio. Una volta dorati, aggiungere il miele mischiato ad acqua tiepida, il sale, il pepe, i semi di finocchio e l’aceto. Coprire e cuocere per 15 minuti rigirandoli. Aggiungere infine l’uvetta ammollata e terminare la cottura alzando la fiamma per caramellare il tutto.

UNA RIDUZIONE DEL REDDITO FAMILIARE AUMENTA IL RISCHIO DI MALATTIE CARDIOVASCOLARI

I ricercatori del Brigham and Women’s Hospital, Harvard Medical School di Boston, hanno esaminato 8.989 individui (età media 53.6 anni, 43% maschi) di razza prevalentemente bianca, provenienti da 4 centri negli Stati Uniti, a partire dal 1987 fino al 2016. I partecipanti sono stati classificati in base al fatto che il loro reddito familiare sia diminuito di oltre il 50% (income drop), sia rimasto invariato o cambiato meno del 50% (income unchanged), o sia aumentato di oltre il 50% (income rise) durante un periodo di circa 6 anni (dal 1987-1989 al 1993-1995). L’endpoint primario era l’incidenza di malattie cardiovascolari (CVD: infarto del miocardio, malattia coronarica fatale, insufficienza cardiaca o ictus) durante un follow-up medio di 17 anni.
Il reddito familiare è diminuito per 900 partecipanti (10%), rimasto sostanzialmente invariato per 6.284 partecipanti (70%) e aumentato per 1.805 partecipanti (20%). Il rischio di CVD è più elevato negli individui con un calo del reddito rispetto a quelli il cui reddito è rimasto invariato (HR 1.17; 95%CI 1.03-1.32). Al contrario, a un aumento del reddito ha corrisposto una riduzione del rischio (HR 0.86; 95%CI 0.77-0.96).

JAMA Cardiol (IF=11.866) 2019; doi: 10.1001/jamacardio.2019.3788

INVECCHIARE BENE: UNO STILE DI VITA SANO RITARDA LO SVILUPPO DI MALATTIE CRONICHE

Mangiare sano, svolgere un’attività fisica regolare, smettere di fumare e consumare poco alcol. Sono queste le regole per vivere meglio e più a lungo, ma anche per ridurre il rischio di malattie croniche e degenerative. Lo conferma uno studio che dimostra come uno stile di vita sano permetta di ritardare lo sviluppo di malattie croniche di 7-10 anni. Un risultato importante, in un’epoca in cui la popolazione mondiale raggiunge in media i 72 anni e in cui il numero di individui di età pari o superiore a 60 anni, secondo le stime dell’OMS, dovrebbe raggiungere i 2 miliardi nel 2050.
I ricercatori hanno esaminato lo stile di vita e le condizioni di salute di 73.196 donne per 34 anni e di 38.366 uomini per 28 anni. Lo stile di vita è stato analizzato valutando 5 diversi parametri: alimentazione (sana quando il punteggio nell’indice Alternative Healthy Eating è >40); assunzione di alcol (donne 5-15 g/die, uomini 5-30 mg/die); attività fisica (da moderata a vigorosa per almeno 30 minuti al giorno); peso corporeo (BMI 18.5-24.9 kg/m2); fumo di sigaretta (non aver mai fumato).
A 50 anni l’aspettativa di vita senza malattie croniche (cardiovascolari, diabete, cancro) delle donne che non rispettavano i 5 parametri è stata di 23.7 (95%CI 22.6-24.7) anni; è salita a 34.4 (95%CI 33.1-35.5) anni nelle donne che rispettavano 4-5 parametri. Negli uomini l’aspettativa di vita è stata rispettivamente di 23.5 (95%CI 22.3-24.7) e 31.1 (95%CI 29.5-32.5) anni.

In altri termini, le donne e gli uomini che hanno adottato uno stile di vita sano hanno guadagnato circa 10 e 8 anni di vita in buona salute rispetto a coloro che hanno adottato uno stile di vita poco sano.
Gli autori concludono che le politiche pubbliche volte al miglioramento dell’alimentazione e che favoriscono uno stile di vita sano sono fondamentali per migliorare l’aspettativa di vita e in particolare l’aspettativa di vita in buona salute.

Brit Med J (IF=27.604) 308:16669,2020

LA MORTADELLA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Demonizzata come alimento grasso e indigesto, la mortadella, o meglio la bologna IGP odierna, ha una composizione nutrizionale diversa rispetto a quella di 30 anni fa. L’allevamento dei suini infatti è cambiato grazie all’intervento sui mangimi (vengono preferiti cereali integrali e semi di leguminose) e una miglior selezione genetica. Tutto questo ha contribuito a rendere meno grasse le carni utilizzate: la spalla del maiale è la parte rosa della mortadella mentre i lardelli i cubetti bianchi) provengono dal grasso di gola e non devono superare il15% del totale. L’impasto viene più volte triturato, sottoposto a omogeneizzazione e con aggiunta di spezie, portato a cottura mediante un lungo processo di stufatura. Questo conferisce al salume il caratteristico aroma e la speciale morbidezza. Tutto il processo deve seguire il disciplinare della mortadella per ottenere il marchio IGP che ammette sia quella con pistacchi che senza. La mortadella in commercio può differire nel contenuto di lipidi, che può variare tra 28.1% e 25%, con una presenza di 9.23% di saturi,12.77% di monoinsaturi e 3.93% di polinsaturi. Su una cosa tutti sono d’accordo: sentire il profumo fa venire l’acquolina in bocca e quindi, all’interno di una alimentazione variata, possiamo ogni tanto gustarci questo salume.