IL MICROBIOTA INTESTINALE È COINVOLTO NELL’AZIONE METABOLICA DELLA METFORMINA

La metformina è da quasi 60 anni il farmaco di prima scelta nella terapia del diabete mellito di tipo 2, grazie alla sua provata efficacia ipoglicemizzante e cardiovascolare, associata a una scarsa tossicità. L’effetto ipoglicemizzante è legato alla sua azione diretta sui processi di trascrizione genica negli epatociti, con riduzione della sintesi di glucosio (gluconeogenesi) nel fegato. Recentemente, tuttavia, è stato riportato che la metformina è in grado di alterare il microbiota intestinale nell’uomo. Ciò ha portato a ipotizzare che l’azione del farmaco sul metabolismo glucidico potesse derivare anche da una modulazione della biodiversità intestinale. Lo studio che vi proponiamo oggi descrive un possibile meccanismo dell’effetto farmacologico della metformina, che coinvolge, al contempo, metaboliti batterici e target molecolari dell’ospite. Lo studio è stato condotto su campioni biologici provenienti da pazienti con diabete di tipo 2 di nuova diagnosi, trattati per 3 giorni con metformina, mai assunta in precedenza. I risultati delle analisi metagenomica e metabolomica hanno mostrato una riduzione dei livelli di Bacteroides Fragilis e un aumento dell’acido glicourodesossicolico nelle feci di questi individui, unitamente all’inibizione del “signaling” del recettore degli acidi biliari FXR. In aggiunta, uno studio parallelo in vivo ha dimostrato che topi alimentati con una dieta ad alto contenuto di grassi e colonizzati con Bacteroides Fragilis diventano predisposti a sviluppare una grave intolleranza glucidica, non modificata dal trattamento con metformina. L’acido glicourodesossicolico è stato poi identificato come una molecola in grado di migliorare il profilo metabolico dei topi obesi tramite interazione con lo stesso recettore FXR. Questo studio dimostra il coinvolgimento del metabolismo batterico intestinale, nella fattispecie mediato dall’acido glicourodesossicolico e dalla sua interazione con il recettore intestinale FXR, nell’azione metabolica della metformina.

Nat Med (IF=32.621) 24:1919,2018

IL KIWI ROSSO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Fruit Logistic Innovation Awards è un concorso che assegna ogni anno un premio a una innovazione nel settore ortofrutticolo. Quest’anno l’Italia vi è presente con quattro  prodotti in nomination: accanto allo snocciolatore di avocado, alla macchina seminatrice elettronica, a quella raccoglitrice per la valeriana, è presente anche un nuova tipologia di frutto, il kiwi Dong-Hong, comunemente chiamato “kiwi rosso”. Si caratterizza per la sua polpa rossa dal sapore dolce che ricorda quello della ciliegia, nonchè da un retrogusto che ricorda la frutta esotica. La pianta da cui nasce è estremamente vigorosa e si adatta bene al nostro clima, con una notevole produzione, certamente maggiore rispetto a quella del più conosciuto kiwi a polpa verde. Il kiwi rosso ha un contenuto notevole di fosforo, pari a quello della banana, e soprattutto è ricchissimo di vitamina C (185 mg. ogni 100 grammi), più del doppio rispetto al kiwi tradizionale. Ha un buon contenuto di vitamina A e di serotonina, molecola del buon umore contenuta anche nella cioccolata. Recentemente un’industria ortofrutticola ha colto l’opportunità di mercato presentando una confezione contenente i tre diversi tipi di kiwi per poter far apprezzare le differenze ai consumatori.

MANGIARE CIBI FRITTI ACCORCIA LA VITA

L’ennesima conferma che i cibi fritti danneggiano la salute viene da un’analisi dei dati raccolti nel corso del programma “Women’s Health Initiative”, avviato negli Stati Uniti anni 1993-1998 e che ha coinvolto più di 100.000 donne (età 50-79 anni al momento del reclutamento). Dall’inizio dello studio al 2017 sono stati registrati 31.558 decessi. Il consumare almeno una porzione di “fritto” al giorno aumenta dell’8% la mortalità totale e di altrettanto la mortalità cardiovascolare. La mortalità totale aumenta del 13% se si mangia pollo fritto, e del 7% se si mangia pesce fritto. Non esiste alcuna relazione tra consumo di cibi fritti e mortalità per cancro.

Brit Med J (IF=23.562) 364:k5420,2019

AUTOMISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA. QUANDO EFFETTUARLA?

L’automisurazione della pressione arteriosa predice meglio la prognosi rispetto alla misurazione clinica, è popolare tra i pazienti e approvata dalle linee guida su diagnosi e terapia dell’ipertensione. Tuttavia, c’è incertezza sul programma di autocontrollo ottimale. Gli autori dello studio che vi proponiamo oggi hanno cercato di determinare il programma di automisurazione ottimale per prevedere futuri eventi cardiovascolari e determinare la “vera” pressione arteriosa del paziente. A tale scopo sono stati inclusi nell’analisi i risultati di 37 studi che hanno confrontato diversi programmi di automisurazione con prognosi o affidabilità/riproducibilità in adulti ipertesi. Aumentare il numero di giorni di misurazione ha migliorato la potenza prognostica: il 72%-91% del valore predittivo massimo teorico è stato raggiunto con misurazioni per 3 giorni consecutivi; sale all’86%-96% con misurazioni per 7 giorni. I dati disponibili sono ancora relativamente scarsi, ma si deduce che momento della misurazione (p. es. mattina o sera) e numero di misurazioni giornaliere non influenzano il valore predittivo dell’automisurazione. Gli autori concludono che la pressione arteriosa domiciliare può essere misurata per 3 giorni, aumentati a 7 solo quando la pressione arteriosa media è vicina a una soglia diagnostica o di trattamento.

Amer J Hypertens (IF=3.046) 2019 Jan 22. doi: 10.1093/ajh/hpy185

POCO SONNO E L’ATEROSCLEROSI AUMENTA

Uno studio spagnolo dimostra che le persone che dormono meno di sei ore a notte hanno più probabilità di sviluppare aterosclerosi subclinica rispetto a quelle che riposano sette-otto ore. Nello studio, condotto da Jose Ordovas, ricercatore presso il CNIC di Madrid, 3.974 impiegati di banca (età 45.8±4.3 anni; 62.6% maschi) hanno indossato per una settimana un “activity tracker” per valutare il sonno e sono stati sottoposti a ecografia vascolare in 3D delle femorali e TAC coronarica per valutare rispettivamente aterosclerosi periferica e calcificazioni coronariche. I ricercatori hanno riscontrato che rispetto ai soggetti che dormivano sette-otto ore a notte, coloro che riposavano per meno di sei ore avevano una maggiore aterosclerosi periferica (OR: 1.27; 95% CI: 1.06 to 1.52). I soggetti che dormivano meno tendevano a essere più in là con gli anni, a pesare meno e ad avere livelli di colesterolo e pressione arteriosa più elevati rispetto agli individui che riposavano di più. È stato poi calcolato il rischio a 10 e 30 anni di un grave evento cardiovascolare, utilizzando il calcolatore del rischio di Framingham. Nel complesso, i partecipanti presentavano un rischio cardiovascolare del 5.9% a 10 anni e del 17.7% a 30 anni. Con meno di sei ore di sonno, il rischio a 10 anni sale al 6.9% e quello a 30 anni al 20.9%.

I risultati sottolineano l’importanza di riposare sufficientemente. Un elemento chiave per avere un sonno adeguato è rendere il sonno una priorità, spegnendo TV, computer, tablet e telefono a un’ora ragionevole, coricandosi regolarmente alla stessa ora, prendendosi del tempo per il relax prima di andare a letto ed evitando la caffeina a fine giornata; anche esercizio fisico (non subito prima di coricarsi) e una corretta alimentazione possono migliorare la qualità del sonno.

J Amer Coll Cardiol (IF=16.834) 73:134, 2019

IL PEPE

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Conosciuto e utilizzato da tutti i popoli antichi, il pepe è la spezia più diffusa al mondo. Già tra i Greci, ma soprattutto nell’Impero romano, divenne simbolo di ricchezza e merce di scambio, come una vera propria moneta. Tra le molte varietà, la più diffusa è il pepe nero, che si ricava da una pianta, la Piper Nigrus della famiglia delle Piperacee, originaria dell’India. Per ricavarne i grani di pepe si sbollentano i frutti che poi, in un secondo tempo, vengono essiccati al sole per dieci giorni fino a raggiungere l‘aspetto di grani rugosi e neri. Altre varietà conosciutissime sono il pepe bianco, ottenuto solo dai semi dei frutti, il pepe verde ottenuto dai frutti acerbi, il pepe grigio che altro non è che una miscela tra il bianco e il nero macinati finemente. Il pepe rosa, invece, deriva dalla bacca di un determinato albero del genere Schinus; è in realtà un falso pepe, pur avendo gusto simile. Il pepe è una fonte di sostanze antiossidanti: luteina, zexantina, licopene, bete-criptoxantina. Ha una buona quantità di acido folico e la caratteristica principale è il contenuto di piperina, che conferisce il caratteristico gusto. Questo alcaloide ha la caratteristica di aumentare la termogenesi con funzione antibatterica e antinfiammatoria. Recenti studi arrivano ad evidenziarne l azione antidepressiva grazie alla sua capacità di stimolare la produzione di endorfine a livello cerebrale.

FIBRE E CEREALI INTEGRALI FANNO BENE ALLA SALUTE

La prestigiosa rivista Lancet ha pubblicato pochi giorni fa un imponente lavoro di revisione sistematica e metanalisi sull’impatto di carboidrati di diversa qualità sulla salute. Gli autori hanno preso in esame tutti gli studi prospettici pubblicati a partire dal 30 aprile 2017 e tutti i trial clinici randomizzati pubblicati a partire dal 28 febbraio 2018 che riportavano l’indicazione della qualità dei carboidrati e dell’incidenza di patologie non trasmissibili, mortalità e fattori di rischio (sono stati esclusi gli studi su pazienti con patologie croniche o i trial su calo ponderale o quelli riguardanti la somministrazione di supplementi). Sono stati così selezionati dati relativi a circa 135 milioni di anni-paziente, provenienti da 185 studi prospettici e 58 trials clinici su 4.635 partecipanti.
I dati osservazionali suggeriscono che i soggetti che riferiscono un elevato consumo di fibre alimentari, rispetto ai bassi consumatori, presentano una riduzione del 15-30% nella mortalità cardiovascolare e per tutte le cause, nell’incidenza di coronaropatie, di incidenza e mortalità per ictus, di diabete mellito di tipo 2 e di cancro del colon retto. Il beneficio maggiore si riscontra in chi consuma 25-29 gr fi fibre al giorno (Figura).

Risultati simili emergono dai dati relativi al consumo di cereali integrali, mentre non sono state riscontrate differenze significative confrontando diete a basso ed elevato indice o carico glicemico.
L’implementazione di raccomandazioni volte ad aumentare il consumo di fibre alimentari e a sostituire i cereali raffinati con quelli integrali potrebbe dunque apportare notevoli benefici alla salute.

Lancet (IF=53.254) 2019 Jan 10. doi: 10.1016/S0140-6736(18)31809-9.

IL NUTRIPIATTO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Secondo un rapporto dell’UNICEF, nel 2017 il 5.6% della popolazione infantile mondiale è risultata sovrappeso. In Italia la percentuale di bambini e adolescenti obesi è aumentata di 3 volte rispetto al 1975. Questo grave problema è causato sia da un eccessivo consumo di cibi ricchi in zuccheri e grassi, sia da una ridotta attività fisica. I dati  ISTAT  confermano  che in Italia la sedentarietà è alta (48%) nella fascia 3/5 anni, per poi diminuire e attestarsi nella fascia 18/19 anni su un valore del 21%. Nell’Europa meridionale, Italia compresa,  il tasso di obesità nella scuola elementare raggiunge il 21% per i maschi e il 14% per le femmine, con valori in incremento se si considera anche il semplice sovrappeso. Per arginare questo rilevante problema diviene indispensabile introdurre un progetto di educazione alimentare atto a modificare lo stile di vita. Il progetto internazionale Nestlé for Healthier Kids si pone l’obiettivo, entro il 2030, di promuovere attraverso un kit educativo una sana alimentazione e una buona attività fisica.

Esperti nutrizionisti hanno individuato per ciascun cibo le porzioni adatte e così, cercando di coinvolgere i bambini, hanno ideato il “nutripiatto”: il piatto è diviso in tre parti e ciascun bambino può avere un’idea della porzionatura misurando (o con il palmo della mano o con il pugno) la giusta quantità di alimento. Le ricette consigliate seguono la “dieta mediterranea” e le linee guida della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). L’obiettivo è di raggiungere il 15% delle famiglie italiane, diffondendo il kit negli esercizi che aderiscono all’iniziativa oppure rendendolo disponbile on line: https://www.nutripiatto.nestle.it

I PROBLEMI FINANZIARI METTONO A RISCHIO IL CUORE

Stress, malumori e dispiaceri possono compromettere la salute. Fino a rivelarsi, a lungo andare, fatali. I problemi finanziari ad esempio, specie se prolungati nel tempo, espongono a un elevato rischio cardiovascolare e, più in generale, a un eccesso di mortalità. A rivelarlo è uno studio della University of Miami, che ha analizzato l’impatto dell’incertezza economica sulla salute di quasi quattromila giovani adulti americani.
Lo studio nasce da una presa di coscienza: oggi le condizioni economiche di molti giovani americani sono peggiorate rispetto a qualche decennio fa. Una situazione che purtroppo rispecchia abbastanza fedelmente quanto si osserva anche nel nostro Paese: anni di crisi, instabilità, cambiamenti negli asseti politici ed economici globali hanno reso meno solide le finanze di moltissimi giovani adulti. E in molti oggi si trovano a convivere con l’incertezza economica e introiti altalenanti: si stima ad esempio che quasi il 50% degli americani affronti un calo dei propri guadagni nel corso degli anni. Una percentuale che descrive un fenomeno importante, le cui ripercussioni nel campo della salute sono però ancora poco note.

Ricercatori americani hanno utilizzato i dati raccolti dal Coronary Artery Risk Development in Young Adults (Cardia), uno studio longitudinale che coinvolge migliaia di giovani americani sin dall’inizio degli anni ‘90. In questo modo hanno potuto valutare quanto fossero cambiati i guadagni di circa 4mila partecipanti tra il 1995 e il 2005. E come fosse poi mutata la loro salute nel decennio seguente, tra il 2005 e il 2015. Guardando in particolare ai casi di instabilità finanziaria, definita da riduzioni ripetute del 25% della disponibilità finanziaria nell’arco di due anni. I dati hanno rivelato un effetto abbastanza netto: l’instabilità finanziaria raddoppia il rischio cardiovascolare (hazard ratio, 2.54; 95% CI, 1.24–5.19) e la mortalità totale (hazard ratio, 1.92; 95% CI, 1.07–3.44).

Perché accada non è chiaro, ma fare ipotesi è fin troppo facile: basta pensare allo stress e alle cattive abitudini, come fumo o elevato consumo di alcol, che i problemi finanziari tendono ad acuire o a portare con sé. O ancora, alla maggiore difficoltà nell’accesso alle cure causata dalla minore disponibilità di denaro. A prescindere dalla causa, comunque, le ripercussioni in campo di salute pubblica sono piuttosto chiare: per i giovani adulti, sperimentare ripetutamente problemi finanziari rappresenta un autentico fattore di rischio per la salute cardiovascolare. E di conseguenza, potrebbero rientrare nelle categorie da tenere sotto controllo, con programmi di screening e strategie di prevenzione ad hoc.

Circulation (IF=18.881) 2019 Jan 7. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.118.035521

LA SENAPE

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Molto diffusa nel bacino del Mediterraneo, la senape o brassica nigra è una pianta della famiglia delle Apiaceae. Cresce spontaneamente un po’ ovunque, in campagna o nei campi incolti. Le foglie sono commestibili, di gradevole sapore aromatico, vengono consumate in insalata. L’elemento più interessante della pianta è rappresentato dai semi: una volta maturi vengono raccolti ed essiccati per poi essere triturati, ottenendo così una farina che, con l’aggiunta di altri ingredienti, forma la famosa salsa. I semi sono molto calorici, ricchi di vitamina B1, B2 e minerali come calcio e fosforo. Sono caratterizzati da glucosilati, i responsabili del gusto piccante. In particolare la sinalbina, presente nella senape bianca, e la sinigrina, nella senape scura, danno origine per idrolisi all’isotiocianato, che caratterizza odore e gusto dei semi di senape. I semi sono altresì utilizzati in fitoterapia, per la cura di nevralgie o reumatismi o come cataplasma nella tosse catarrosa. È possibile preparare in casa la salsa di senape, che può essere facilmente conservata. La ricetta prevede l’utilizzo di 50 grammi di senape gialla, 50 grammi di senape scura, 80 grammi di aceto di mele, 80 grammi di acqua, 40 grammi di olio di oliva extravergine, 30 grammi di zucchero di canna. Il procedimento prevede l’ammollo dei semi in aceto per una notte, quindi si frulla con tutti gli ingredienti fino a ottenere una crema a cui va aggiunto a filo l’olio d’oliva extravergine.