COME SI VALUTA LO SVILUPPO DELL’ATEROSCLEROSI NELL’UOMO? LO SPESSORE DEL COMPLESSO MEDIO-INTIMALE (IMT)

Dall’ultrasonografista del Centro, Samuela Castelnuovo

Uno dei parametri più utilizzati per la valutazione dell’aterosclerosi e della sua progressione è lo spessore del complesso medio-intimale (IMT dall’inglese “Intima-Media Thickness”) delle carotidi extracraniche, che può essere misurato con l’ultrasonografia B-mode (vedi articoli precedenti).

Corrisponde alla distanza tra le interfacce “sangue-intima” e “media-avventizia” delle arterie carotidee. Analizzando ecograficamente una parete arteriosa si orservano due linee ecogene parallele separate da uno spazio anecoico; la linea ecogena più luminale è generata dall’interfaccia sangue-intima, mentre quella più esterna è generata dall’interfaccia media-avventizia (figura. CC-IMT: IMT della carotide comune; ICA: carotide interna; ECA: carotide esterna). La corrispondenza anatomica fra l’immagine ultrasonografica e il complesso medio-intimale è stata definita dai ricercatori del Centro più di trent’anni fa in uno studio dove si dimostrava che l’IMT misurato ecograficamente rappresentava una stima reale dello spessore della parete arteriosa (Circulation 74:1399,1986). Nel corso del processo aterosclerotico il complesso medio-intimale tende a ispessirsi formando prima le strie lipidiche, poi le placche fibrose o fibro-lipidiche, e infine le lesioni aterosclerotiche vere e proprie. Pertanto, un aumento dell’IMT riflette un maggiore sviluppo dell’aterosclerosi.

Come già ricordato, la metodica ultrasonografica utilizzata per la misurazione dell’IMT è assolutamente non invasiva, e può essere ripetuta molte volte senza alcun danno al paziente. Questo metodo, validato in centri clinici di tutto il mondo, è attualmente utilizzato in numerosi studi clinici ed epidemiologici, ed è considerato come metodo di riferimento per lo studio dell’aterosclerosi carotidea e per la valutazione del rischio cadiovascolare. Oltre alla non invasività e alla relativa semplicità della misurazione, il grande vantaggio dell’IMT carotideo è che permette una valutazione della predisposizione dell’individuo a sviluppare la patologia aterosclerotica estremamente precoce, ben prima della comparsa delle lesioni aterosclerotiche vere e proprie (placche).

L’IMT carotideo è un indice di aterosclerosi non solo carotidea, ma anche di altri distretti vascolari e in particolare di quello coronarico. L’IMT è direttamente associato alla maggior parte dei fattori di rischio cardiovascolare, quali diabete, dislipidemia e ipertensione. Fornisce un quadro complessivo delle alterazioni strutturali causate dai diversi fattori di rischio nel tempo sulla parete arteriosa ed è stato proposto esso stesso come fattore di rischio da includere in algoritmi per il calcolo del rischio cardiovascolare globale di ciascun individuo. Sulla base di tutte queste evidenze la misura dell’IMT carotideo è attualmente utilizzata in centri clinici e di ricerca per aiutare il medico nella decisione di prescrivere o meno un trattamento farmacologico in pazienti in prevenzione primaria.

BERE CAFFÈ FA BENE ALLA SALUTE E ALLUNGA LA VITA

Lo sostengono due importanti studi pubblicati in contemporanea su Annals of Internal Medicine. Il primo, coordinato da Marc Gunter dell’International Agency for Research on Cancer di Lione, ha coinvolto oltre 520.000 individui di 10 Paesi europei, reclutati nel famoso studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) e seguiti per un periodo medio di 16 anni. Il secondo, coordinato da Veronica Setiawan della University of Southern Califonia a Los Angeles, ha esaminato una coorte multietnica di 185.000 afroamericani, nippoamericani, latinoamericani e caucasici, anch’essi seguiti per circa 16 anni.
Anche se i due studi non sono direttamente paragonabili (il caffè americano è ben diverso da quello che si beve in Europa e Italia), i risultati sono quasi sovrapponibili: bere caffè riduce la mortalità per tutte le cause di più del 10%; si riduce anche la mortalità per malattie cardiovascolari, respiratorie, digestive e renali, e per cancro. Fa eccezione la mortalità per cancro all’ovaio, che aumenta all’aumentare del consumo di caffè. L’effetto salutare del caffè è “dose-dipendente”: rispetto a chi non beve caffè, chi consuma una tazza di caffè americano (da 235 mL, l’espresso è invece intorno ai 40 mL) al giorno ha un rischio inferiore del 12% di morte da tutte le cause, mentre in chi consuma tre o più tazze il rischio di mortalità si riduce del 18%. I risultati sono sostanzialmente identici in tutte le dieci nazioni europee e le quattro etnie americane, a prescindere quindi dalle diverse abitudini rispetto al consumo e alla preparazione del caffè.
Come si spiega l’effetto salutare del caffè? Il caffè contiene numerosi composti, come i polifenoli, gli acidi clorogenici e i diterpeni, tutti con proprietà antiossidanti. Due o tre tazze di caffè hanno un effetto antiossidante pari se non superiore a quello ottenuto consumando frutta e verdura tre volte al giorno. Chi beve caffè ha un migliore controllo glicemico, un minor livello di infiammazione cronica e una migliore funzionalità epatica e immunitaria. Certamente il beneficio non viene dalla caffeina; l’associazione tra caffè e ridotto rischio di morte è stata riscontrata indipendentemente dalla presenza di caffeina nel caffè consumato; quindi anche il “deca” funziona.

Ann Intern Med (IF=17.202)167:228; 167:236; 2017

L’ACQUA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

L’acqua è un costituente essenziale per l’inizio, lo sviluppo e la conservazione della vita. Il corpo umano è composto dal 60% di acqua e per mantenere un buon apporto idrico è necessario assumerne 2-2,5 litri al giorno: solo così si dota l’organismo dell’elemento capace di eliminare le scorie che, permanendo, potrebbero danneggiare le normali funzioni biologiche. Importante per la pelle e per le mucose perché garantisce il giusto grado di idratazione, è indispensabile per la regolazione della temperatura corporea. Mantenere il corretto equilibrio idrico, cioè il giusto bilancio tra entrate e uscite del prezioso liquido, ci permette di conservare un buono stato di salute. La Società Italiana di Nutrizione umana (SINU) ha quantificato i livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana (LARN):

Assunzione adeguata
lattanti                6/12 mesi       800 ml/die
bambini              1-3 anni        1200 ml/die
Adolescenti
maschi               11-14 anni    2100 ml/die
femmine            11-14 anni     1900 ml/die
Adulti
maschi               18-75 anni     2500 ml/die
femmine            18-75 anni      2000 ml/die

Nonostante le acque potabili abbiano buonissime caratteristiche, l’Italia è il primo Paese per consumo di acqua minerale. Un’acqua minerale, per essere definita tale deve: 1) avere origine sotterranea; 2) essere batteriologicamente pura all’origine; 3) avere composizione costante; 4) avere effetti positivi per la salute. Soddisfacendo questi requisiti, il Ministero della Salute, effettuate le dovute analisi, ne autorizza la commercializzazione. La classificazione delle acque si determina in base al residuo fisso, che rappresenta la quantità di sali minerali disciolti in un litro d’acqua misurati dopo evaporazione a 180°C. Attualmente in molte città, per incoraggiare il consumo dell’acqua potabile e ridurre l’inquinamento delle bottiglie di plastica, sono nate le “Case dell’acqua”, erogatori pubblici e gratuiti di acque potabili che nulla hanno da invidiare a quelle minerali.
Tipologie:
minimamente mineralizzate, con residuo fisso inferiore a 50 mg/l;
oligominerali, con residuo fisso tra 50 e 500 mg/l;
mediominerali, con residuo fisso tra 500 e 1500 mg/l;
ricche di sali minerali, con residuo fisso superiore a 1500 mg/l.

DEPRESSIONE E ANSIA ACCORCIANO LA VITA NEL PAZIENTE CARDIOPATICO

La depressione cronica e l’ansia espongono chi ha una patologia coronarica a un maggior rischio di morte prematura. La conferma arriva da uno studio condotto in Nuova Zelanda, in cui sono stati reclutati 950 pazienti colpiti da un attacco cardiaco o ricoverati per angina instabile nei precedenti 3-36 mesi. I pazienti hanno completato un questionario psicologico al momento del reclutamento, che hanno ripetuto dopo sei mesi, 1, 2 e 4 anni. Le domande per valutare la condizione di stress psicologico (inclusa depressione e ansia) hanno riguardato, tra le altre cose, la percezione o meno da parte dei partecipanti di essere costantemente sotto tensione, di trovare la vita una battaglia continua, di provare paura o panico senza un motivo apparente. Nel complesso, 587 pazienti (62%) non sono risultati stressati in nessuna valutazione psicologica; 255 (27%) hanno riferito almeno un leggero stress in due o più valutazioni e 35 (4%) hanno dichiarato di soffrire regolarmente di stress psicologico da moderato a grave.

Durante il follo-up di 12 anni sono stati registrati 398 decessi per tutte le cause e 199 per malattia cardiovascolare. I pazienti con stress moderato/grave presentavano circa il quadruplo di decessi per cause cardiache e quasi il triplo di decessi per qualsiasi causa rispetto ai soggetti non stressati. Un livello di stress leggero non aveva invece effetto sulla mortalità.

Ancora non sappiamo se il trattamento dell’ansia e dello stress sia in grado di ridurre la mortalità, ma disponiamo di sufficienti evidenze per raccomandare ai malati coronarici, e più in generale a tutti gli individui, di cercare il modo di ridurre gli elevati livelli di stress.

Heart (IF=6.059) 2017, doi:10.1136/heartjnl-2016-311097

ECOTOMOGRAFIA B-MODE AD ALTA RISOLUZIONE PER LA VALUTAZIONE DELL’ATEROSCLEROSI

Dall’ultrasonografista del Centro, Samuela Castelnuovo

L’ultrasonografia B-Mode è una tecnica diagnostica non invasiva che consente di studiare l’aterosclerosi subclinica nei principali distretti vascolari superficiali. Con questa tecnica è possibile ottenere informazioni morfologiche relative sia al lume che alla parete vasale. L’ecotomografia B-Mode ad alta risoluzione utilizza ultrasuoni ad elevata frequenza (7-13 Mhz) e consente di ottenere, in tempo reale, immagini bidimensionali dei principali vasi sanguigni superficiali non schermati da superfici ossee. Tale tecnica fornisce informazioni dettagliate anche su dimensione e caratteristiche di lesioni precoci delle pareti vasali anche se di piccole dimensioni. L’ultrasonografia B-Mode presenta caratteristiche più che soddisfacenti di sensibilità, specificità, accuratezza e riproducibilità. È sicuramente più economica delle tecniche invasive e consente di eseguire valutazioni molto precise dell’evoluzione della patologia aterosclerotica e dell’effetto di trattamenti antiaterosclerotici. Fra i limiti di questa tecnica possiamo annoverare l’impossibilità di visualizzare strutture che non riflettono gli ultrasuoni (anecogene, aree prettamente lipidiche) o strutture con impedenza acustica simile a quella del sangue (emorragie intraplacca od occlusioni trombotiche recenti). Infine, l’eventuale presenza di lesioni calcifiche e/o complicate rende tale tecnica inadatta per la misurazione di stenosi calcifiche. In questo caso sono da preferirsi l’ecocolordoppler e l’angiografia.

In una tipica immagine ultrasonografica, l’anatomia delle arterie carotidi è facilmente riconoscibile. Possiamo osservare, infatti, la carotide comune, la biforcazione e le arterie carotidi interna ed esterna (Figura). Dal punto di vista ultrasonografico il limite distale della carotide comune è riconoscibile dall’inizio della dilatazione della biforcazione e dalla presenza di un ispessimento medio-intimale fisiologico denominato “cresta della biforcazione”. La carotide comune si suddivide, tramite la biforcazione, nella carotide interna, che irrora le parti anteriori dell’encefalo e gli organi della vista, e carotide esterna che irrora collo, faccia e pareti craniche. La biforcazione carotidea ha due riferimenti anatomici chiave che ne permettono la corretta identificazione. II margine inferiore della biforcazione carotidea è definito dalla parte prossimale della dilatazione della biforcazione, il limite superiore è dato dal cosiddetto “flow-divider” che separa l’origine delle arterie interna ed esterna. La carotide interna è delimitata a livello prossimale dal flow-divider e si differenzia dalla carotide esterna per il calibro maggiore e per l’origine con morfologia tipicamente bulbare. La diramazione dell’arteria tiroidea dall’arteria carotide esterna è un altro indice che permette la distinzione tra le due arterie.

TOSSICITÀ MUSCOLARE DA STATINE. PERCHÉ? COSA FARE?

Le statine, come voi ben sapete, sono i farmaci più efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare nel paziente dislipidemico. Circa un quarto dell’intera popolazione mondiale con età >65 anni assume quotidianamente una statina per prevenzione primaria o secondaria. Le statine sono generalmente molto ben tollerate, ma possono indurre tossicità muscolare (“statin-induced myotoxicity”, o SIM), caratterizzata da varie manifestazioni cliniche, che includono debolezza o dolori muscolari (mialgia), ipersensibilità e rigidità muscolari, crampi e artralgia, con aumento dei livelli plasmatici di creatinkinasi (CK), un marcatore di danno muscolare.

La prevalenza di SIM nei pazienti trattati con statina non è ben definita, soprattutto a causa di una non uniformità nei criteri adottati per la sua definizione; si manifesta in una percentuale dei pazienti trattati con statina variabile tra il 7% e il 29%, a seconda delle diverse casistiche cliniche (“intolerance” nella figura).

 

La SIM è causata da un accumulo di statina nei miociti, secondario a un’anomala farmacocinetica, o da alterazioni dei miociti che favoriscono la tossicità delle statine. L’accumulo di statina nel muscolo può essere causato da una ridotta attività delle proteine che trasportano la statina nell’epatocita (in particolare il trasportatore OATP1B1), degli enzimi che metabolizzano la statina (citocromo P450), o delle proteine che mediano la fuoriuscita della statina dall’epatocita e dal miocita (MDR1 e BCRP). Fattori muscolari che predispongono alla SIM includono invece danno mitocondriale, ridotta sintesi di ATP, aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), ed efflusso di citocromo c e calcio. Le statine esercitano poi effetti diretti sul miocita, attivando l’enzima “mitogen-activated protein kinase” (MAPK) e riducendo l’attività del complesso RhoA/AKT/mTOR/PGC-1alfa, con aumento dell’apoptosi, della proteolisi e del rimodellamento delle fibre muscolari, e diminuendo l’efflusso di acido lattico.

Cosa fare per prevenire o trattare la SIM? Innanzitutto esistono fattori di rischio che predispongono all’insorgenza di SIM, quali età >80 anni, sesso femminile, ridotto BMI, fragilità, polimorfismi genetici, concomitanza di altre patologie neuromuscolari e non (es. ipotiroidismo, grave disfunzione renale o epatica), politerapia con possibili interazioni farmaco metaboliche, che andrebbero trattati o eliminati, se possibile. Una volta sospesa la terapia con statina e scomparsa la sintomatologia, può essere utile risomministrare una diversa statina, iniziando con dosi ridotte da incrementare fino al raggiungimento dell’obiettivo terapeutico, se ben tollerate. In alternativa, ricorrere ad altri farmaci, come ezetimibe e inibitori di PCSK9.

Pharmacol Ther (IF=11.127) 175:1, 2017

THE VERDE

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Originaria della Cina e dell’Assam, la pianta del the è arrivata in Europa solo nel XVII secolo. Le varietà coltivate sono la bobea, propria delle regioni montagnose tropicali, l’assamica, adatta alle zone umide e calde di pianura. Utilizzato da secoli dai giapponesi, il the verde è una bevanda benefica grazie al suo contenuto di antiossidanti e in particolare di catechine, che rappresentano il 40 %  del peso secco. L’epigallocatechina gallato (EGCG) è la più abbondante di esse ed è nota per le sue proprietà antimutagene e la sua capacità di svolgere un’azione protettiva nell’ infiammazione e nello stress ossidativo. Le metilxantine presenti nel the verde, caffeina, teobromina, teofillina, sono capaci di favorire la lipolisi nel tessuto adiposo, favorendo la perdita di peso. Una review pubblicata su Obesity Review, conferma l’effetto positivo, valutato in numerosi trials, del the verde nella modulazione dell’obesità.

Il the verde si utilizza come infuso, anche se sono in commercio delle capsule di estratto secco. Pur essendo meno ricco di caffeina rispetto al the nero, si consiglia di non superare le tre/quattro tazze al giorno.

 

 

LA RICETTA. Sorbetto al the verde

Ingredienti (4 persone): The verde 2 cucchiaini, qualche fogliolina di menta, 4 cucchiaini di zucchero, un albume d’uovo, sale. Bollire 6 dl di acqua e mettere in infusione il the verde e la menta. Filtrare, mettere sul fuoco con lo zucchero. Montare l’albume d’uovo con un pizzico di sale a neve fermissima e unire al the. Frullare il composto, metterlo in un recipiente basso e lasciare in freezer. Dopo un’ora frullare di nuovo e lasciare in freezer per almeno altre tre ore. Buon appetito!

Kcal (per porzione): 29,3. Proteine: 5,21 g. Lipidi: 0 g. Carboidrati: 6,36 g. Fibra: 0,45 g.

COME SI VALUTA LO SVILUPPO DELLA MALATTIA ARTERIOSCLEROTICA?

Dall’ultrasonografista del Centro, Samuela Castelnuovo

In passato, la mancanza di tecniche per lo studio dell’aterosclerosi in vivo nell’uomo ha portato a effettuare studi soprattutto di tipo autoptico. Nelle ultime decadi lo sviluppo di tecniche diagnostiche invasive e non invasive ha permesso di studiare questa patologia e la sua evoluzione anche nell’uomo. Grazie a queste tecniche è stato possibile eseguire studi clinici che hanno dimostrato come, controllando i diversi fattori di rischio cardiovascolare, sia possibile ridurre la morbilità e la mortalità cardiovascolare. Tuttavia, a causa del fatto che morbilità e mortalità sono eventi relativamente rari, questi studi richiedevano l’arruolamento di un elevato numero di soggetti e interventi terapeutici relativamente lunghi, della durata di 5-10 anni, con forte dispendio di tempo e risorse.

Fra le diverse tecniche attualmente disponibili, l’angiografia coronarica, l’ultrasonografia intravascolare, l’ultrasonografia B-Mode, la risonanza magnetica nucleare e la tomografia a flusso di elettroni permettono di valutare diverse variabili arteriose, quali: il diametro luminale, la percentuale di stenosi, lo spessore della parete vasale, il volume della placca e la specifica distribuzione e localizzazione della malattia aterosclerotica. Non tutte queste variabili possono essere ottenute con le tecniche elencate.

L’arteriografia quantitativa, ad esempio, permette di valutare le dimensioni delle lesioni aterosclerotiche coronariche e le loro variazioni nel tempo solo in modo indiretto, ossia estrapolato dalle differenze di lume residuo. Ciò nonostante, rispetto agli studi basati ad esempio sulla mortalità, grazie a questa tecnica è stato possibile valutare l’efficacia di interventi terapeutici antiaterosclerotici con studi di minore durata e su numerosità campionarie più limitate. L’arteriografia quantitativa è una tecnica invasiva, e in quanto tale può essere utilizzata solo in studi di prevenzione secondaria e va ribadito il fatto che è in grado di fornire solo informazioni sul diametro del lume residuo e non permette di valutare i cambiamenti che avvengono a livello di placche non stenosanti. Per questo motivo è stata di fondamentale importanza l’introduzione di altri metodi di indagine. Attualmente sono disponibili diverse tecniche non invasive capaci di fornire misure di variabili che possono essere utilizzate come marcatori surrogati di aterosclerosi. Tali tecniche, fornendo un end-point per ogni singolo paziente (la variazione della malattia), permettono di effettuare studi di ancora minor durata e su un numero di soggetti ancora più ridotto. A differenza dell’arteriografia quantitativa, che fornisce solo informazioni sul lume arterioso, queste tecniche consentono di studiare le alterazioni precoci della parete arteriosa sia di tipo morfologico (spessore medio-intimale, placche aterosclerotiche e calcificazione delle arterie), che funzionale (irrigidimento della parete arteriosa e disfunzione endoteliale).

Tra i marcatori surrogati, lo spessore del complesso medio-intimale (IMT) delle pareti arteriose, in particolar modo delle carotidi extracraniche, sviluppato e utilizzato per la prima volta nel nostro Centro, si è affermato come il marcatore più accettato dalla comunità scientifica  e rappresenta una misura sicura, economica, precisa e ripetibile di progressione della malattia aterosclerotica. La prossima settimana vedremo come l’IMT carotideo sia facilmente misurabile mediante ecotomografia B-Mode con sonde ad alta risoluzione.

BROCCOLI PER IL TRATTAMENTO DEL DIABETE? DALL’AGRICOLTURA ALLA NUTRACEUTICA

Il consumo di vegetali è un componente cruciale della dieta mediterranea, che come sapete costituisce il modello di alimentazione ideale per prevenire l’insorgenza di malattie cardiovascolari, ridurre la mortalità e promuovere la longevità. Qui si evidenzia il ruolo dei broccoli nel controllo del metabolismo glucidico e del diabete.

I broccoli, come cavoli e cavolini di Bruxelles, contengono una sostanza, il sulforafano appartenente alla famiglia degli isotiacianati, che è in grado di interagire con vari bersagli biologici, proponendosi quindi come nutraceutico per il trattamento di varie patologie, come cancro, broncopneumopatia cronica ostruttiva e malattie infiammatorie croniche.

Il sulforafano è in grado di ridurre la glicemia nei ratti diabetici. Ora un team di ricercatori svedesi e statunitensi dimostra che un estratto di broccoli contenente un’elevata concentrazione di glucorafanina, il precursore del sulforafano, è in grado di ridurre la produzione di glucosio in vitro nelle cellule del fegato. Lo stesso estratto è stato poi somministrato giornalmente, alla dose giornaliera corrispondente a 5 kg. di broccoli (ecco la differenza tra alimento e nutraceutico!) per un periodo di12 settimane, a 97 pazienti con diabete di tipo 2 trattati con metformina, il farmaco d’elezione per questa malattia. L’estratto ha ridotto la glicemia del 10%, con efficacia maggiore nei pazienti obesi con scarso controllo glicemico. L’estratto, che è stato ben tollerato, non è ancora in commercio, ma il suo debutto sugli scaffali delle farmacie non è lontano. Ecco un altro fulgido esempio di come un alimento può trasformarsi in nutraceutico.

Sci Transl Med (IF=16.761) Jun 14 2017; 9(394). doi: 10.1126/scitranslmed.aah4477

LA CASTAGNA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Conosciuta dai greci, che commerciavano questo frutto per tutto il mediterraneo, furono i romani a diffondere il castagno per tutta l’Europa. Le castagne hanno un notevole contenuto di carboidrati complessi (81,4%) che le rende dei validi sostituti di molti cereali. Chiamate per questo “il pane dei poveri” hanno sostenuto per secoli l’economia delle popolazioni montane. SI consumano bollite (ballotta) o arrostite (arrostite) preferendo la qualità denominata marroni. Dalle castagne più piccole, meno pregiate, si ricava la farina che viene usata in sostituzione di farine più pregiate. Per secoli questa modalità di alimentazione, specialmente nei periodi di carestia, è stata fondamentale per le genti degli Appennini dove è nata la professione di castagnatores cioè contadini addetti alla raccolta e alla lavorazione delle castagne. Ancora oggi sopravvivono in tutto l’appennino i tecci, piccole costruzioni di pietra dove venivano posti dei graticci di legno sotto ai quali veniva acceso un fuoco alimentato dalla potatura dei castagni. Man mano che aumentava la raccolta delle castagne, aumentava anche il numero di graticci: l’affumicatura poteva durare anche due mesi. Questo faceva sì che le castagne potessero essere macinate al bisogno. Ricca di fibra, di fosforo e potassio, la castagna è facilmente digeribile e può essere una buona fonte di carboidrati nelle persone intolleranti ai cereali.

LA RICETTA. Minestra di castagne

Ingredienti (4 persone): g. 500 di castagne, 1 costa di sedano, un porro, una carota, una cipolla, sale pepe, g. 15 di olio di oliva extravergine. Fare un brodo vegetale con tutte le verdure. Dopo aver bollito le castagne, sbucciarle e unire la polpa al brodo filtrato. Aggiustare di sale e pepe e servire con un filo di olio extravergine. Buon appetito

Kcal (per porzione): 248,7. Proteine: 5,32 g. Lipidi: 6,107 g; saturi 0.99 g; insaturi 1,23 g; monoinsaturi 3,63 g. Carboidrati: 46,09 g. Fibra: 11,13g.