CONFORT FOOD: LA MERINGA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

La nascita della meringa, considerata un classico di eccellenza della pasticceria, viene attribuita nel 1720 allo svizzero Gasparini, che la creò nella città di Meiringen, da cui infatti il dolce prende il nome. Ebbe una diffusione molto rapida presso tutte le corti Europee, dove veniva apprezzata per il suo tripudio di zucchero. Leggerissima e friabile, è composta dall’albume di uova montate a neve con zucchero a velo. Le scuole di cucina internazionale hanno canonizzato due differenti tipologie della meringa: alla francese o all’italiana. Questa ultima si caratterizza per una preparazione più complessa, che prevede l’impiego dello zucchero sciolto in acqua, quindi portato a 121°C per raggiungere la caramellizzazione. Dalla meringa successivamente sono nati molti dessert: la torta “meringata”, la “pavlova”, gli spumini al cioccolato, i dischi di meringa per arricchire le torte gelato, quasi tutti accompagnati da golosa panna montata. Da un punto di vista nutrizionale non si possono evidenziare particolari benefici, una piccola porzione però può darci un po’ di buonumore!

I SETTE ERRORI PIÙ COMUNI QUANDO SI MISURA LA PRESSIONE ARTERIOSA

 

 

 

 

 

 

 

1. Il bracciale è troppo piccolo. Se il bracciale è troppo piccolo la pressione potrebbe essere maggiore di 2-10 mmHg. Acquistare un bracciale di dimensioni adeguate al braccio (il farmacista può essere d’aiuto).

2. Posizionare il bracciale sopra gli abiti. Avvolgere il bracciale sugli abiti, errore piuttosto comune, può aggiungere da 5 a 50 punti alla lettura. Meglio assicurarsi che il bracciale sia posizionato sul braccio nudo.

3. Braccio non supportato. Se il braccio è appeso al fianco o lo si tiene alzato durante la lettura, si potrebbero osservare valori fino a 10 mmHg più alti. È importante posizionare il braccio su una sedia o un tavolo, in modo che il bracciale di misurazione sia all’altezza del cuore.

4. Schiena o piedi non supportati. Un supporto scadente in posizione seduta può aumentare la lettura di 6-10 mmHg. Bisogna assicurarsi di essere su una sedia con la schiena appoggiata e i piedi sul pavimento o su uno sgabello.

5. Sedersi con le gambe accavallate. Potrebbe aumentare la lettura della pressione di 2-8 mmHg. È meglio disincrociare le gambe e assicurarsi che i piedi siano supportati.

6. Parlare durante la misurazione. Rispondere alle domande, parlare al telefono, può aggiungere 10 mmHg alla lettura. È importante rimanere fermi e silenziosi per garantire una misurazione accurata.

7. Avere la vescica piena. Può aggiungere 10-15 mmHg alla lettura. Si dovrebbe sempre svuotare la vescica prima di misurare la pressione.

IL RISCHIO DI DEMENZA VASCOLARE È MAGGIORE NEI PAZIENTI CON PREGRESSO INFARTO MIOCARDICO

Questo studio danese ha analizzato il rischio di demenza a lungo termine in pazienti con infarto miocardico acuto (IMA). Nello studio sono stati inclusi tutti i pazienti con prima diagnosi di IMA nel periodo 1980-2012 (n=314.911), confrontati con una coorte di controllo della popolazione generale (n=1.573.193), selezionata in modo random dopo matching per sesso, anno di nascita e anno di diagnosi di IMA. La popolazione comprendeva prevalentemente soggetti di sesso maschile (63%). Dopo un follow-up di 35 anni, l’incidenza di demenza da tutte le cause non era diversa nei sopravvissuti all’IMA rispetto ai controlli (+1%); altrettanto simile era l’incidenza di demenza da malattia di Alzheimer. Al contrario, i sopravvissuti all’IMA avevano una probabilità maggiore di sviluppare una demenza vascolare (+35%); il rischio aumqntava di quasi 5 volte in coloro che avevano avuto anche uno stroke.

Diverse possono essere le cause dell’associazione tra IMA e demenza vascolare. Dall’ipoperfusione cerebrale associata alla disfunzione ventricolare sinistra, alle conseguenze della coronaropatia, quali fibrillazione atriale e alterazioni della cinetica di parete del ventricolo sinistro, con possibile formazione di trombi intracardiaci e conseguente embolizzazione cerebrale. Inoltre, il trattamento chirurgico dell’IMA è causa di ipoperfusione cerebrale (durante la cardioplegia) e di possibile embolizzazione (dopo il clamp dell’aorta). Infine, IMA e demenza potrebbero rappresentare entrambi il risultato dell’azione sinergica di più fattori di rischio cardiovascolare, responsabili del danno coronarico e, con un periodo di latenza maggiore, di quello cerebrovascolare.

Circulation (IF=19.309) 137:567,2018

NEI GIOVANI MENO SONNO, PIÙ SOVRAPPESO

Dieta ed esercizio fisico; ma nella lotta all’obesità anche un po’ di sonno aiuta a combattere quella che è ormai considerata un’epidemia. Lo dimostra una meta-analisi dell’Università di Warwick, nel Regno Unito, in cui i ricercatori hanno analizzato i risultati di oltre quaranta studi, ribadendo come dormire poco aumenti il rischio di obesità, nei bambini quanto negli adolescenti.

I dati raccolti in oltre 75 mila giovani, suddivisi in quattro classi d’età, dimostrano che in ciascuna di esse una ridotta durata del sonno si associa a una maggiore incidenza di sovrappeso e obesità: +40% nella classe 0-3 anni; +57% nei 3-9 anni; +123% nei 9-12 anni; +30% nei 12-18 anni. Mediamente, tra i giovani di tutte le età, chi dormiva poco aveva una probabilità maggiore del 58% di diventare sovrappeso o obeso.
Una buona igiene del sonno – dalle 12-16 ore fino ai 12 mesi di età, per poi diminuire gradualmente fino alle 8-10 ore nell’età dell’adolescenza e fino ai 18 anni, è da tempo considerata essenziale per mantenersi in salute e scongiurare il rischio di obesità e patologie correlate, quali malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Combinando evidenze provenienti da studi prospettici che si sono collezionati negli ultimi anni, che non si limitano a raccontare dell’associazione tra obesità e carenza di sonno, quanto piuttosto di come la mancanza di sonno possa precedere l’obesità, questa meta-analisi fornisce una prova aggiuntiva a sostegno della possibile causalità tra carenza di sonno e aumento di peso.

Sui meccanismi che potrebbero spiegare questa possibile relazione causale si possono avanzare solo ipotesi, sulla base dei risultati di studi sperimentali condotti per periodi di breve durata. La mancanza di sonno nel breve termine provoca uno sbilanciamento negli ormoni che regolano l’appetito, come la grelina e la leptina, favorendo l’aumento dell’appetito. Si associa anche a una riduzione del metabolismo energetico basale e al rischio di insulino-resistenza, a sua volta associata a obesità e diabete. Inoltre, veglia prolungata e ritardo nell’addormentamento, i motivi principali della mancanza di sonno nei ragazzi, sono spesso associati a mancanza di attività fisica. Il sonno non è uno stato passivo ma attivo in cui avvengono passaggi rilevanti per la consolidazione della memoria e il controllo dei processi metabolici e omeostatici. Il messaggio per genitori e giovani è quello di sempre: la sera meglio a letto presto.

Sleep (IF=4.923) 2018 Apr 1;41(4). doi: 10.1093/sleep/zsy018.

LATTE ALTERNATIVO: IL LATTE DI SOIA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

È una bevanda che si ottiene da una leguminosa, la soia, largamente coltivata in Cina e successivamente diffusa in tutto l’oriente. La produzione del latte inizia dalla macerazione della soia intera o della sua farina. Una volta reidratata viene macinata con altra aggiunta di acqua fino alla consistenza desiderata. L’impasto risultante viene portato a ebollizione per inattivare enzimi che possono deteriorare il sapore e l’aroma; infine si procede alla rimozione del residuo (chiamata okara o polpa di soia) tramite filtrazione. Dal punto di vista nutrizionale presenta un eccellente quantitativo di proteine con amminoacidi essenziali e assenza di colesterolo. Numerosissimi studi scientifici hanno posto in evidenza come gli isoflavoni contenuti nella soia hanno  la  capacità di abbassare il colesterolo LDL del sangue in pazienti ipercolesterolemici moderati. Un  trial svolto presso il Centro e pubblicato di recente (Eur J Nutr(2018) 57:499-511) ha confermato l’importanza della soia anche nella sindrome metabolica dove vengono ridotti  sensibilmente i fattori di rischio cardiovascolare.

100 ml latte di soia. Kcal 36; carboidrati 0.4 gr; proteine 3.97 gr; lipidi 2.2 gr (saturi 0.4 gr, polinsaturi 1.3gr, monoinsaturi 0.5 gr); fibra 0.3 gr.

LA SOLITUDINE FA MALE AL CUORE

Isolarsi e stare da soli fa davvero male al cuore. La conferma viene da un ampio studio eseguito da ricercatori dell’Università di Helsinki, in Finlandia. Esaminando le ripercussioni dell’isolamento sociale e della solitudine sulla salute psicofisica di un campione di 480mila adulti, seguiti per circa 7 anni, gli scienziati hanno stabilito che le probabilità di infarto e ictus sono aumentate del 43% e 39% per coloro che si isolano volontariamente dagli altri, e del 49% e 36% per chi invece è solo (e infelice di esserlo).

I ricercatori hanno anche analizzato se gli effetti dell’isolamento e della solitudine possano essere aggravati da altri tratti comuni, così da poter stabilire con maggiore certezza quanto il rischio cardiovascolare fosse imputabile a cause sociali. Dopo aver preso in considerazione fattori biologici e socioeconomici, e patologie pregresse, si è così definito che l’isolamento aumenta le probabilità di infarto e ictus del 7% e 6%, e la solitudine del 6% e 4%.

Avere il sostegno di persone significative all’interno della propria cerchia sociale o che si trovano in una condizione analoga alla propria fa bene alla salute.

Heart (IF=6.059) March 2018; doi:10.1136/heartjnl-2017-312663

GLI ADDITIVI ALIMENTARI: I COLORANTI

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Gli additivi alimentari sono sostanze largamente impiegate nell’industria alimentare. Tra di essi i coloranti vengono utilizzati in molte preparazioni per migliorare le qualità sensoriali degli alimenti. E’ in uso esaltare la colorazione originale di determinati prodotti per renderli più appetibili agli occhi dei consumatori. In alcuni alimenti è proibito aggiungere coloranti proprio per non mascherare la scadente qualità di un prodotto. Si possono suddividere in naturali e artificiali. Erroneamente si pensa che i primi siano totalmente innocui, godendo senso comune popolare di istintiva propensione; in effetti, sono meglio tollerati rispetto a quelli di sintesi, che invece sono spesso preferiti dalle industrie per la migliore stabilità all’ossidazione. EFSA (Agenzia Europea per la sicurezza degli alimenti) insieme a FAO e OMS (a livello internazionale) valutano la sicurezza di tutte le sostanze coloranti. Per convenzione tutti gli additivi sono contrassegnati dalla lettera E alla quale fa seguito un numero distintivo: in particolare, i coloranti vengono contrassegnati con sigle da E100 a E180.

Coloranti. E100-109 gialli; E110-119 arancione; E120-129 rossi; E130-139 blu violetti; E150-159 marroni neri; E160-180 altri.

RIDUZIONE DEL SALE ALIMENTARE E PRESSIONE ARTERIOSA

Uno studio americano ben condotto fa un po’ di chiarezza sulla relazione tra sale alimentare e pressione arteriosa. Nello studio gli Autori hanno esaminato gli effetti della riduzione del sodio alimentare associata o meno a una dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), una dieta a basso contenuto di grassi saturi e colesterolo, e ricca di frutta, vegetali e prodotti caseari poveri in grassi, sulla pressione arteriosa sistolica (SBP) e diastolica (DBP) in 412 individui (57% donne, età media 48 anni) che non assumevano farmaci anti-ipertensivi, suddivisi in 4 gruppi, in funzione della SBP basale: <130 mmHg; 130-139 mmHg; 140-149 mmHg e ≥150 mmHg. I partecipanti hanno consumato una dieta DASH o una tipica dieta americana, ciascuna contenente tre diverse quantità di sodio (basso: 1150 mg/die; medio: 2300 mg/die; elevato: 3450 mg/die) per periodi di 4 settimane.

Sia la riduzione del sale alimentare, che la dieta DASH, hanno prodotto riduzioni della SBP e della DBP, che diventano più importanti con l’aumentare della SBP basale. L’effetto ipotensivo della riduzione del sale e della dieta DASH è additivo, fino a raggiungere l’impressionante riduzione di 20.8 mmHg di SBP nei soggetti con SBP basale ≥150 mmHg che consumano una dieta DASH a basso contenuto di sodio rispetto a coloro che consumano una dieta “americana” a elevato contenuto di sodio (Figura).

I risultati dimostrano che un’alimentazione equilibrata a basso contenuto di sodio produce un’importante riduzione della pressione arteriosa in soggetti con vari gradi di ipertensione e rafforzano il concetto che la modifica delle abitudini alimentari ha un ruolo importante anche nel controllo della pressione arteriosa.

J Amer Coll Cardiol (IF=19.896) 70:2841,2017

CONFORT FOOD: IL TIRAMISÙ

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

È un dolce assai apprezzato, famoso in tutto il mondo. Composto da biscotti savoiardi imbevuti di caffè e ricoperti da crema al mascarpone, certamente non difetta in calorie. Ogni regione d’Italia ha cercato di attribuirsi la paternità di questo dolce, con nomi differenti e varianti degli ingredienti. In Toscana è detto “la zuppa del duca”, a Torino “il dolce di Torino”, ma le regioni più agguerrite sono Veneto e Friuli Venezia Giulia: dopo anni di ricerche, si è stabilito che la nascita di questo dolce è avvenuta in Friuli, nel comune di Pieris di San Canzian (Go) o in quello di Tolmezzo (Ud), per opera di Mario Consolo chef del ristorante “Vetturino”. La ricetta formalmente registrata presso un notaio, dopo la seconda guerra mondiale, è stata chiamata “tiramesu”. La querelle non è finita perché la regione Veneto attribuisce la nascita di questo dessert al ristorante “Le Beccherie” di Carlo Campeol di Treviso. Attualmente questa città veneta sta allestendo un museo dedicato al Tiramisù, con uno sportello per la raccolta di tutte le ricette popolari legate a questo dolce.

100 gr. di Tiramisù. Kcal 411; carboidrati 33.5 gr; proteine 13.2 gr; lipidi 25.8 gr (saturi 14.32 gr; polinsaturi 1.27 gr; monoinsaturi 8.2 gr); fibra 7.50 gr.

NEI PAZIENTI CON ARTERIOPATIA PERIFERICA LE STATINE RIDUCONO IL RISCHIO DI AMPUTAZIONE E LA MORTALITÀ CON EFFETTO DOSE-DIPENDENTE

Questo studio ha indagato l’impatto prognostico della terapia con statine in pazienti con arteriopatia periferica (AOP). Sono stati analizzati i dati di 155.647 pazienti con AOP di nuova diagnosi, suddivisi in sottogruppi in base all’intensità della terapia con statina: pazienti in terapia con statina ad alta intensità; pazienti in terapia con statina di intensità moderata o bassa; pazienti trattati con il solo antiaggregante piastrinico (che non assumevano statina). Gli outcome erano rappresentati da amputazione dell’arto e mortalità. Nella popolazione oggetto di studio, il 28% dei pazienti non assumeva statine. La somministrazione di statine ad alta intensità era più frequente in pazienti con comorbosità quali carotidopatia o coronaropatia (18.4%), rispetto ai pazienti con la sola diagnosi di AOP (6.4%).

L’incidenza di amputazioni e la mortalità si riducono significativamente con la terapia statinica, indipendentemente dall’intensità, se confrontata con l’assunzione del solo antiaggregante. I pazienti che assumono statine ad alta intensità presentano incidenza di amputazioni e mortalità ridotte rispetto ai pazienti in sola terapia antiaggregante (HR per amputazione: 0.67, CI 0.61-0.74; HR per mortalità: 0.74, CI 0.70-0.77). Anche nei pazienti che assumono statine a intensità moderata o bassa si osserva una riduzione delle amputazioni (HR: 0.81; CI 0.75- 0.86) e della mortalità (HR: 0.83; CI 0.81-0.86), seppur meno marcata che nei pazienti in terapia statinica ad alta intensità.

Le statine, specie in terapia ad alta intensità, sono sottoutilizzate nei pazienti con AOP, pur in presenza di una provata efficacia.

Circulation (IF=19.309) 137:1435-1446,2018