I VALORI PRESSORI PRE-TRATTAMENTO INFLUENZANO IL BENEFICIO DELLA TERAPIA ANTI-IPERTENSIVA

Questa metanalisi ha analizzato l’associazione tra terapia anti-ipertensiva, mortalità e malattia cardiovascolare in pazienti con diversi valori basali di pressione arteriosa. In particolare, sono stati valutati 74 trials clinici che includevano un confronto tra terapia anti-ipertensiva e placebo o tra diversi target pressori, per un totale di 306.273 pazienti (età media 63 anni); gli outcome della metanalisi sono rappresentati da mortalità cardiovascolare e da tutte le cause, eventi cardiovascolari maggiori, coronaropatia, stroke, scompenso cardiaco e insufficienza renale end-stage. In prevenzione primaria, l’associazione tra riduzione dei valori pressori ed eventi cardiovascolari dipende dalla pressione arteriosa sistolica (PAS) basale: in particolare, la terapia anti-ipertensiva riduce la mortalità (RR 0.93; 95% CI, 0.87-1.00) e gli eventi cardiovascolari (RR 0.78; 95% CI, 0.70-0.87) in caso di PAS basale > 160 mmHg; nei pazienti con PAS 140-159 mmHg, la terapia riduce la mortalità in modo simile (RR, 0.87; 95% CI, 0.75-1.00), mentre è più debole l’effetto protettivo su eventi cardiovascolari maggiori (RR, 0.88; 95% CI, 0.80-0.96). Nei pazienti che presentano una PAS basale < 140 mmHg, la terapia anti-ipertensiva non riduce mortalità (RR, 0.98; 95% CI, 0.90-1.06) ed eventi cardiovascolari maggiori (RR, 0.97; 95% CI, 0.90-1.04).

I risultati indicano che in prevenzione primaria, pazienti con PAS < 140 mmHg (inclusi quindi gli ipertesi allo stadio 1 secondo le ultime linee-guida americane, Figura) non dovrebbero assumere farmaci anti-ipertensivi, che invece sono efficaci in pazienti con ipertensione più grave.

JAMA Intern Med. (IF=16.538) 178,2018:28-36

GLI ADDITIVI ALIMENTARI: GLI ANTIOSSIDANTI

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Gli antiossidanti sono sostanze che allungano la vita degli alimenti impedendone l’ossidazione. Questa, infatti, è la maggior causa di deterioramento di colore, aroma, e gusto degli alimenti. Questi additivi si possono classificare in modi diversi: in base al meccanismo d’azione, alla struttura chimica o alla loro origine. A questa ultima categoria appartengono tre gruppi: i naturali cioè le vitamine e in particolare le vitamine C (acido ascorbico ) ed E (tocoferolo), i naturali-identici che sono composti ottenuti per sintesi chimica dai naturali ma meno costosi per l’industria, e infine i sintetici, i più discussi. L’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza degli Alimenti) ha approvato l’adozione del BHA (butilidrossianolo) e il BHT (idrossitoluene butilato) nel burro, nei grassi, nei brodi disidratati, nei cereali precotti, nelle patate disidratate, con riserve perché l’esposizione combinata di questi antiossidanti può superare la dose giornaliera accettabile (DGA).

Additivi antiossidanti. E 300-309 ascorbati; E 320-399 lattati; E 330-339 citrati e tartrati; E 340-349 fosfati; E 350-359 malati e adipati; E 360-369 succinati.

MANDORLE E CIOCCOLATO FONDENTE RIDUCONO IL COLESTEROLO-LDL MODIFICANO LE PARTICELLE LDL

Mandorle e cioccolato fondente riducono il colesterolo-LDL (LDL-C) e con questo il rischio di cardiopatia ischemica. Lo stabilisce uno studio pubblicato da ricercatori statunitensi su Journal of the American Heart Association. La ricerca ha coinvolto 31 soggetti di età compresa tra i 30 e i 70 anni, sovrappeso o obesi. I partecipanti hanno consumato, per periodi di 4 settimane ciascuno, intervallati da 2 settimane di interruzione, 4 diete isocaloriche diverse: 1) dieta americana media (DA) senza aggiunte; 2) DA più 42,5 gr. di mandorle al giorno (DM); 3) DA più 43 gr. di cioccolato fondente e 18 gr. di cacao in polvere (DC); 4) DA più mandorle e cioccolato/cacao nelle quantità indicate sopra (DM+DC). Le mandorle, contenenti grassi insaturi, venivano inserite nella dieta dei partecipanti in sostituzione dei grassi saturi dei latticini (burro e formaggi).

Rispetto alla dieta base (DA), l’aggiunta di sole mandorle (DM) ha ridotto il livello di LDL-C del 7%. L’aggiunta di solo cioccolato/cacao non ha prodotto alcun effetto sul livello di LDL-C. La combinazione di cioccolato/cacao e mandorle ha ridotto l’LDL-C e l’apoB del 5%. I ricercatori hanno poi analizzato gli effetti delle varie diete sulle sottoclassi delle LDL; ricordo al proposito che maggiore è il numero di particelle LDL di piccole dimensioni, maggiore è il rischio cardiovascolare. La dieta alle mandorle (DM) ha ridotto il numero delle particelle LDL grandi, mentre la combinazione di cioccolato/cacao e mandorle ha ridotto il numero di particelle LDL piccole.

Il messaggio che si può dedurre da questo studio è che le mandorle dovrebbero rappresentare un ingrediente base di una dieta salutare. Ma anche cioccolato fondente e cacao non zuccherato potrebbero avere effetti positivi sulla salute cardiovascolare. Incorporare tutti questi alimenti in una dieta salutare, stando attenti a non eccedere in calorie (basta sostituire altri alimenti con questi) potrebbe contribuire a ridurre il rischio di cardiopatia ischemica.

J Am Heart Assoc. (IF=4.425) 6:e005162.

IL PRIMO ATLANTE DELLE PROTEINE DEL CUORE

Un gruppo di scienziati tedeschi ha tipizzato le proteine del cuore, realizzando così la prima mappa proteomica di questo organo vitale. Uno strumento che diventerà il benchmark del cuore sano, da confrontare con cuori patologici, per scoprire le differenze a livello molecolare. Un enorme passo avanti verso la medicina di precisione in cardiologia.

Il cuore umano batte nel corso della vita 2 miliardi di volte e ogni contrazione è controllata da una complessa interazione tra segnali elettrici e forze meccaniche. Quattro sono i tipi principali di cellule coinvolte in questa attività: fibroblasti, cardiomiociti, cellule muscolari lisce e cellule endoteliali. Alla base di questo complesso apparato ci sono le proteine, circa 11.000 quelle individuate dai ricercatori del Max Planck Institute of Biochemistry e del German Heart Centre della Technical University of Monaco, che hanno sistematicamente classificato le proteine di ogni popolazione cellulare del cuore, realizzando in questo modo il primo atlante di proteomica del cuore umano.
Un lavoro enorme che consentirà di individuare le differenze tra un cuore sano e uno malato, contribuendo così a definire le cause delle diverse patologie cardiache.
I prossimi passi della ricerca consisteranno nel validare questo atlante come riferimento per individuare variazioni presenti in cuori malati. I primi risultati di questa analisi stanno fornendo utili indizi nei pazienti con fibrillazione atriale, un disturbo del ritmo cardiaco. In particolare sono emerse differenze importanti per quanto concerne le proteine del metabolismo energetico delle cellule, che appaiono tuttavia diverse anche tra individui con la stessa patologia. Queste differenze tra individui con la stessa aritmia sottolineano ancora una volta quanto sia importante la medicina personalizzata: sebbene la patologia sia la stessa, i pazienti presentano una diversa disfunzione a livello molecolare.

Nature Commun. (IF=12.124) 8:1469, 2017

LE UOVA DI CIOCCOLATO

Dalla Dietista del Centro. Raffaella Bosisio

È antichissima la tradizione di scambiarsi le uova per la festività di Pasqua. Già presente nei riti religiosi antichi, con l’avvento del cristianesimo questa offerta divenne simbolo non solo propiziatorio ma addirittura di rinascita. Nel medioevo era usanza donare alla servitù uova dipinte come augurio di buon raccolto e di fecondità. Il classico uovo di cioccolata nasce probabilmente alla corte di Luigi XIV, che grazie al nuovo prodotto arrivato dalle Americhe, il cacao, fece confezionare le prime uova di cioccolato. Solo nel 1789 (anno di rivoluzione, evidentemente!) attraverso un nuovo processo di lavorazione ideato da Rodolphe Lindt si ottenne il primo cioccolato omogeneo e non più granuloso come quello precedente. Nel 1825 l’olandese Van Houte riuscì con nuovi macchinari a produrre l’uovo di cioccolato come quello che conosciamo attualmente. Le tipologie raggiunte sono ormai innumerevoli e su di esse l’industria dolciaria oggi si sbizzarrisce in innumerevoli e svariate offerte del prodotto includenti quasi sempre all’interno sorprese per i più piccoli.

100 g di cioccolato fondente. Kcal 542; carboidrati 56.70 g; proteine 5.80 g; lipidi 34.00 g (saturi 20.00 g; polinsaturi 1.07 g; monoinsaturi 10.92 g); fibra 1.40 g.

CANAKINUMAB (ANTI IL-1BETA) NELLA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE?

Canakinumab è un anticorpo monoclonale diretto contro l’interleuchina IL-1beta (ne abbiamo parlato ieri), che agisce bloccandone le attività biologiche; non riconosce la forma IL-1alfa. Ha un’emivita relativamente lunga, tanto da venir somministrato per via sottocutanea una volta ogni 3 settimane. È approvato dall’EMEA e dall’FDA per il trattamento di alcune malattie infiammatorie rare, come la sindrome di Muckle-Wells, la malattia infiammatoria multisistemica a esordio neonatale, gravi forme di sindrome familiare autoinfiammatoria da freddo, la sindrome periodica associata al recettore del fattore di necrosi tumorale, e la sindrome da iperimmunoglobulinemia D.

Sulla base di un coinvolgimento dell’IL-1beta nell’aterogenesi e nell’insorgenza di eventi cardiovascolari, è stato condotto, e da poco terminato, lo studio CANTOS (Canakinumab ANti-inflammatory Thrombosis Outcome Study), in più di 10000 individui sopravvissuti a un infarto miocardico, sottoposti alle comuni terapie indicate in prevenzione secondaria (statine ad alte dosi, aspirina e altri antiaggreganti, beta-bloccanti, anti-RAAS…). I pazienti arruolati presentavano uno stato infiammatorio cronico, dimostrato da livelli di proteina C reattiva (hsCRP) > 2.0 mg/L, e sono stati trattati con 3 diverse dosi (50 mg, 150 mg o 300 mg) di canakinumab ogni 3 mesi. Dopo 4 anni di trattamento le tre diverse dosi di canakinumab hanno ridotto i livelli di hsCRP del 26%, 37% e 41%; canakinumab non ha prodotto alcuna variazione nei livelli di lipidi circolanti. La dose più bassa (50 mg) non ha prodotto effetti sugli eventi cardiovascolari (una combinazione di infarto o stroke non fatale e morte cardiovascolare), che invece sono diminuiti del 15% e 14% con le dosi più elevate.

Non mancano però le ombre. Innanzitutto l’efficacia non è correlata alla dose somministrata. Curiosamente la somministrazione di canakinumab ha aumentato le infezioni fatali; e non è variata la mortalità totale.

New Engl J Med (IF=72.406) 377:1119, 2017

INTERLEUCHINA-1BETA. UN TARGET PER LA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE?

È ben noto che l’infiammazione è una componente rilevante nei processi aterotrombotici che sono alla base di molti eventi cardiovascolari. Tanto che uno stato infiammatorio cronico, valutato per es. misurando la concentrazione plasmatica di proteina C reattiva, ha un effetto additivo rispetto ai classici fattori di rischio nel predire l’insorgenza di eventi cardiovascolari.

Le citochine costituiscono una classe di proteine coinvolte nell’infiammazione e nell’immunità, e giocano un ruolo importante nell’aterogenesi e in numerose malattie infiammatorie. Tra queste, le interleuchine, secrete dai leucociti, mediano la comunicazione tra vari tipi cellulari e regolano la crescita, differenziazione e motilità cellulare.

L’interleuchina-1 (IL-1) è stata la prima a essere identificata quasi quarant’anni fa. Esiste in due forme correlate strutturalmente: IL-1alfa, che rimane associata alle cellule che la producono e agisce per contatto diretto con altre cellule, e IL-1beta, che invece agisce da mediatore solubile. L’IL-1 esercita molte funzioni nella regolazione delle risposte infiammatorie/immunitarie ed è coinvolta nella patogenesi di varie malattie. Attiva la produzione di prostaglandine e di monossido d’azoto, induce la produzione di sé stessa e di altre citochine, aumenta l’espressione di molecole d’adesione e fattori trombogeni, aumenta la produzione di metalloproteasi, e attiva le cellule del sistema immunitario. Tutte le cellule coinvolte nell’aterogenesi (endoteliali, muscolari, macrofagi) rispondono all’IL-1, attivando processi che favoriscono l’erosione e la rottura degli ateromi. Se ne deduce che limitando l’azione dell’IL-1 si potrebbe ridurre l’insorgenza di eventi cardiovascolari.

LE SIGARETTE ELETTRONICHE ALTERANO LE DIFESE IMMUNITARIE E LE SECREZIONI DELLE VIE RESPIRATORIE

La popolarità delle e-cig è in crescita, sia tra i fumatori che tra i giovani che non hanno mai fumato prima, anche perché da molti vengono viste come un’alternativa a basso rischio al fumo di sigaretta. In realtà, vista la loro recente introduzione, sono ancora scarsi gli studi sulla sicurezza con follow up a lungo termine. Al contrario, continuano ad accumularsi evidenze su una serie di effetti biologici indotti dalle e-cig, che sembrano smentire la tesi della loro presunta innocuità.
L’ultimo in ordine di tempo è stato pubblicato dai ricercatori della University of North Carolina. Lo studio aveva l’obiettivo di valutare l’effetto delle sigarette elettroniche sulle vie aeree, mettendo a confronto l’escreato di utilizzatori di e-cig, di fumatori di sigarette tradizionali, e di non fumatori. I campioni biologici sono stati sottoposti ad analisi di proteomica quantitativa, determinando la concentrazione delle mucine MUC5AC e MUC5B; è stata inoltre determinata la formazione di NET (Neutrophil Extracellular Trap, cioè filamenti di materiale nucleare derivato dai neutrofili e immesso nell’ambiente extracellulare in risposta a stimoli infiammatori).
Gli utilizzatori di e-cig hanno mostrato un significativo aumento delle proteine correlate allo stress ossidativo e alla detossificazione aldeidica, rispetto ai non fumatori. Sempre negli utilizzatori di e-cig sono aumentate le proteine dell’immunità innata associate alla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), quali elastasi e metalloproteinasi-9. Una caratteristica unica, rilevata nell’escreato degli utilizzatori di e-cig, è l’aumento significativo di proteine NET e di proteine correlate ai granulociti neutrofili (mieloperossidasi, azurocidina, protein-arginina deaminasi 4). I neutrofili circolanti degli utilizzatori di e-cig mostrano inoltre un’aumentata sensibilità alla NETosi (un processo immunitario innescato da stimoli infiammatori, che provoca il rilascio da parte dei neutrofili di una specie di ‘rete’ di materiale nucleare nell’ambiente extra-cellulare) indotta da PMA (forbolo miristato acetato). Sia nei fumatori di sigarette che di e-cig è stata infine rilevata un’elevata concentrazione di mucina MUC5AC, cioè un’alterata composizione del muco.
I risultati descrivono nei consumatori di e-cig un’alterata risposta dell’immunità innata del polmone, con effetti in parte comuni con quelli prodotti dal fumo tradizionale e altri del tutto peculiari ed esclusivi delle e-cig. Sono risultati che mettono in serio dubbio la tesi che vuole le e-cig un’alternativa più salutare del fumo di tabacco tradizionale e che meritano un’attenta riflessione.

Am J Respir Crit Care Med (IF=13.204) 197:492, 2018

ANCORA SUL CAFFÈ…..

Abbiamo visto l’altro giorno come bere caffè riduca la mortalità; almeno è quello che emerge dall’analisi dello studio EPIC in 10 Paesi Europei. Oggi vi propongo questa “umbrella analysis” dei risultati di quasi 220 meta-analisi che hanno messo in relazione consumo di caffè ed eventi clinici di vario tipo. Una mole di dati impressionante!

Il primo risultato è una conferma: bere 3-4 tazze di caffè (espresso o caffè americano sembrano produrre lo stesso effetto) riduce la mortalità totale (-17%) e la mortalità cardiovascolare (-19%). Bere caffè diminuisce anche il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari, metaboliche (diabete e gotta), epatiche e neurologiche, e di sviluppare un cancro, in particolare a prostata, endometrio, pelle e fegato.

In ogni caso, bere caffè dà più benefici che problemi di salute. Non va bene però bere caffè in gravidanza, quando aumenta il rischio di aborto spontaneo e riduce il peso corporeo del nascituro. Nelle donne, ma non nei maschi, il consumo di caffè aumenta il rischio di fratture.

BMJ (IF=20.785) 359:j5024,2017

LATTE ALTERNATIVO: IL LATTE DI RISO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Chiamata erroneamente latte, la bevanda di riso nasce probabilmente in Giappone verso il 250 a.c. Nota come Amazake, veniva consumata calda e raccomandata per le sue proprietà defatiganti e tonificanti. È divenuta all’improvviso richiestissima perché rispetta i dettami della dieta vegana. Si ottiene facendo macerare i chicchi di riso in acqua e, aggiungendovi enzimi specifici (amilasi), si separano i residui dalla parte liquida con l’aiuto di un decanter; si filtra quindi il liquido ottenuto per ottenere una bevanda omogenea. Ricca di carboidrati, la bevanda è completamente priva di lattosio risultando così adatta agli intolleranti a questo zucchero. Al contrario del latte vaccino, è povera di proteine e di vitamine (B12 e vitamina D) e povera altresì di calcio. Il latte di riso è inoltre privo di colesterolo e ricco di acidi polinsaturi. Molto spesso, per risolvere tutte o talune di queste carenze, si trovano in commercio delle bevande che vengono appositamente addizionate dei nutrienti mancanti.

100 ml latte di riso. Kcal 70; carboidrati 15 g; proteine 0.3 g; lipidi 1 g (saturi 0.1 g, polinsaturi 0.6 g, monoinsaturi 0.3 g); fibra 0.03 g.