IL 37% DEI DECESSI NELL’UE È PER PATOLOGIE CARDIOCIRCOLATORIE

Eurostat ha pubblicato le statistiche sulle morti per patologie cardiocircolatorie in occasione della giornata mondiale del cuore del 29 settembre. Le malattie del sistema circolatorio sono state nel 2014 causa di morte per 1,833 milioni di persone nell’Unione Europea: oltre un terzo (37%) di tutte le morti nell’Ue. Le donne (994.600 morti) sono state più colpite degli uomini (838.100).  Gli attacchi cardiaci sono rimasti il ​​principale tipo di patologia cardiaca fatale nell’UE e hanno portato alla morte di quasi 623.100 persone (il 34% di tutte le morti causate da malattie del sistema circolatorio), mentre gli ictus hanno ucciso quasi 422.000 persone (il 23% ).

Malattie cardiache e ictus sono stati la causa di due terzi di tutte le morti in Bulgaria (66%), di oltre 1 su 2 decessi in Romania (59%), Lettonia (57%), Lituania (56%), Estonia (53%) e Ungheria (50%), di circa di un terzo nel Regno Unito (27%), nei Paesi Bassi (28%), Belgio (29%), Irlanda e Spagna (entrambi del 30%), Lussemburgo e Portogallo (entrambi del 31%), e di un quarto o meno di tutte i decessi in Danimarca (24%) e in Francia (25%) (Figura). Il dato dell’Italia fornito da Eurostat pone il nostro Paese esattamente nella media Ue con il 37% di decessi. Anche in Italia le più colpite (56,37%) sono le donne mentre gli uomini si fermano al 43,63 per cento.

L’ATEROSCLEROSI E I SUOI MECCANISMI

Dall’ultrasonografista del Centro, Samuela Castelnuovo

L’aterosclerosi è una malattia infiammatoria cronica delle arterie di grande e medio calibro (Figura). Anatomicamente, la lesione caratteristica dell’aterosclerosi è l’ateroma o placca aterosclerotica, ossia un ispessimento della tonaca intima delle arterie dovuto principalmente all’accumulo di materiale lipidico e a proliferazione del tessuto connettivo.

Nelle prime decadi di vita l’aterosclerosi è asintomatica; tende a manifestarsi clinicamente intorno ai 40-50 anni di età, con fenomeni ischemici acuti o cronici, che interessano principalmente cuore, encefalo e arti inferiori. Le lesioni evolvono con il tempo: iniziano nell’infanzia come strie lipidiche (a carattere reversibile) che, in alcuni tipi di arterie, tendono a trasformarsi in placche aterosclerotiche vere e proprie. Queste, nelle fasi avanzate della malattia possono restringere il lume arterioso (stenosi) e nelle fasi finali possono ulcerarsi e complicarsi con conseguente trombosi. Il trombo può portare a un’occlusione istantanea dell’arteria generando in questo modo l’evento vascolare acuto.

La prima fase della patologia aterosclerotica è il danno endoteliale, indotto da fattori che possono essere di natura meccanica (p.es. ipertensione arteriosa) o chimica (p.es. ipercolesterolemia). Il danno endoteliale permette l’infiltrazione e la successiva modificazione (aggregazione, ossidazione e/o glicosilazione) delle LDL dal sangue nella tonaca intima. D’altro canto, l’endotelio danneggiato esprime sulla superficie cellulare a contatto con il sangue molecole di adesione cellulare (selectine, VCAM-1, ICAM-1) e invia segnali chemotattici (MCP-1), che facilitano l’adesione di monociti e linfociti all’endotelio e la loro successiva migrazione nell’intima. Qui i monociti si trasformano in macrofagi capaci di fagocitare le lipoproteine infiltrate e ossidate. Grazie a questo processo i macrofagi si trasformano in cellule schiumose, le cellule tipiche della stria lipidica. La secrezione di citochine e di fattori di crescita, di derivazione principalmente macrofagica, induce la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla media all’intima, dove proliferano, si differenziano nel fenotipo “sintetico” e producono matrice extracellulare, determinando la trasformazione delle strie lipidiche nelle lesioni avanzate. Alla crescita delle lesioni può contribuire l’adesione di pistrine all’intima denudata e il formarsi di trombi intramurali, conseguenti alla erosione/ulcerazione delle placche aterosclerotiche.

Nella patogenesi dell’aterosclerosi intervengono, quindi, l’endotelio, i leucociti, le cellule muscolari lisce e le piastrine; rivestono un ruolo fondamentale l’infiltrazione lipidica della parete arteriosa e l’azione meccanica del flusso sanguigno sulle pareti dell’arteria.

Le manifestazioni cliniche dell’aterosclerosi sono dovute alla riduzione del flusso sanguigno con conseguente ischemia del tessuto servito dall’arteria lesa. La riduzione del flusso dipende dal restringimento del lume in corrispondenza delle lesioni aterosclerotiche e dalla inefficienza dei meccanismi di compenso, rappresentati principalmente dall’instaurarsi di circoli collaterali che consentono al sangue di raggiungere i territori ischemici attraverso vasi secondari. Le manifestazioni croniche (p.es. angina stabile o claudicatio) sono conseguenza di un restringimento stabile dell’arteria colpita, che rende il flusso ematico incapace di aumentare quando le condizioni funzionali lo richiedono (sforzi fisici). La sintomatologia, in particolare il dolore, tende a essere assente a riposo e a presentarsi in occasione di esercizio fisico più o meno intenso, a seconda della gravità dell’ostruzione arteriosa e dell’efficienza dei circoli collaterali. Le manifestazioni acute (angina instabile, infarto miocardico, ictus ischemico) sono invece il risultato di un’improvvisa riduzione del lume arterioso, generalmente causata dalla rottura (fissurazione) di una placca aterosclerotica, con conseguente trombosi, che provoca una brusca riduzione del flusso ematico nel territorio a valle.

INIBITORI DEL TRASPORTATORE SGLT2 E INSUFFICIENZA CARDIACA: CONFERME DAL “MONDO REALE” NELLO STUDIO CVD-REAL

L’empagliflozin, un inibitore del riassorbimento renale di glucosio mediato dal trasportatore SGLT2, ha ridotto l’incidenza di morte cardiovascolare e di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca in pazienti con diabete di tipo 2 e malattia aterosclerotica cardiovascolare. Questa evidenza è stata ora estesa agli altri inibitori di SGLT2 oggi disponibili in clinica. Lo studio CVD-REAL ha infatti confrontato l’incidenza di questi stessi endpoints in pazienti sottoposti a trattamento con qualsiasi inibitore di SGLT2 rispetto ad altri farmaci ipoglicemizzanti, con lo scopo di verificare se tale beneficio cardiovascolare è confermato anche nella pratica reale e se si tratta o meno di un effetto di classe. I dati sono stati raccolti tramite i registri nazionali di Stati Uniti, Norvegia, Danimarca, Svezia, Germania e Regno Unito. Sono stati analizzati 309.056 pazienti diabetici, metà dei quali trattati con un inibitore di SGLT2. Canagliflozin, dapagliflozin ed empagliflozin erano utilizzati rispettivamente nel 53%, 42% e 5% dei pazienti trattati con un inibitore di SGLT-2. L’uso degli inibitori di SGLT-2, rispetto agli altri farmaci ipoglicemizzanti, ha prodotto una riduzione del 40% delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco (HR 0.61; P<0.001) e del 50 % della mortalità totale (HR 0.49; P<0.001). L’effetto sulla combinazione dei due endpoints, morte e ospedalizzazioni, è stato di -46% (HR 0.54, P<0.001) (Figura). Si conferma quindi il beneficio cardiovascolare di una terapia con inibitori del riassorbimento renale di glucosio nel paziente diabetico.

Circulation (IF=19.309) 136:249,2017

 

IL PEPERONCINO

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Il peperoncino rosso è una pianta originaria dell’America centrale. Appartiene alla famiglia delle Solanacee e conta circa 3000 varietà che si differenziano per il grado di piccantezza. Questo viene misurato attraverso la scala di Scoville (dal chimico che l’ha ideata) con un valore da 0 a 10. Il contenuto della capsaicina, responsabile del conferimento del gusto piccante, viene misurato in unità di Scoville (SU) con valori che variano da 0 fino ai 16 milioni (capsaicina pura). Con questa scala è possibile  classificare i vari tipi di peperoncino partendo dal meno piccante, peperone comune (SU 0) per arrivare al peperoncino di Cayenna  (SU 50.000), fino al famigerato Habanero che ha un valore di 600.000 SU e viene considerato il più piccante al mondo. Studi svolti su popolazioni consumatrici di peperoncino hanno dimostrato i suoi effetti benefici. Infatti i recettori TRPV1, che sono presenti in molti tessuti, una volta attivati dalla capsaicina, possono  rivestire un ruolo importante nell’infiammazione, nello stress ossidativo e di conseguenza nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. È stato ampiamente dimostrato come nelle popolazioni consumatrici di peperoncino vi sia una bassa prevalenza di obesità e di diabete di tipo 2.

LA RICETTA. Salsa messicana

Ingredienti: Cipolla bianca g. 100, coriandolo g.15, pomodori maturi g. 320, peperoncini jalapeño g. 50, il succo di un lime, mezzo cucchiaino di zucchero, sale qb. Tagliare la cipolla finemente e aggiungere il succo di lime con un po’ di scorza grattugiata. Tagliare a cubetti i pomodori, unire il coriandolo e i peperoncini senza semi. Aggiungere lo zucchero e il sale quindi mescolare con cura. Lasciare riposare in frigorifero per almeno tre ore, Buon appetito!

Kcal (per porzione g. 60): 19,12. Proteine: 0,60 g. Lipidi: 0,11 g. Carboidrati: 4,35 g. Fibra: 1,13 g.

ANATOMIA DELLA PARETE ARTERIOSA

Dall’ultrasonografista del Centro, Samuela Castelnuovo

La parete arteriosa è costituita da tre tuniche relativamente ben definite: intima, media e avventizia (Figura).

La tonaca intima rappresenta lo strato più interno dell’arteria. Il rivestimento interno a contatto col sangue è costituito dall’endotelio, tessuto epiteliale pavimentoso formato da un unico strato di cellule appiattite e distanziate tra loro in modo da formare una barriera impermeabile, che può diventare permeabile in conseguenza a diversi stimoli. Poiché il singolo strato di cellule endoteliali è l’unica barriera tra il sangue e i tessuti trombogenici sottostanti, l’integrità dell’endotelio è di fondamentale importanza per il mantenimento delle caratteristiche strutturali e funzionali del vaso. L’endotelio si appoggia sulla lamina basale, uno strato di tessuto connettivo lasso, costituito da collagene (che ha attività trombogenica), proteoglicani, elastina e altre glicoproteine della matrice. Oltre ad avere funzione strutturale, l’endotelio funge da filtro per gli scambi vasi/interstizio sia in condizioni fisiologiche che patologiche. Ha, inoltre, un importante ruolo nel regolare il tono vascolare, l’adesione di piastrine e leucociti, e la proliferazione delle cellule muscolari lisce. Il rivestimento più esterno dell’intima è una struttura elastica (detta lamina elastica interna), non presente nei capillari, formata da uno strato fenestrato di fibre elastiche disperse e disposte in direzione longitudinale. Questi spazi, soprattutto nelle arterie di medio calibro, permettono alle cellule muscolari lisce di penetrare nell’intima (cellule miointimali). La tonaca intima non è una mera barriera passiva, ma ha funzioni ben precise nella regolazione della pressione arteriosa e dell’emostasi.

La tonaca media (o strato muscolare) è assente nei capillari. È composta da un’alternanza di strati di cellule muscolari lisce e di fibre elastiche, disposte su più strati concentrici, più o meno toniche a seconda del tipo di arteria. Mentre le fibre elastiche prevalgono nelle grosse arterie, le fibre muscolari sono preminenti nelle arterie di medio e piccolo calibro. La media è una tonaca poco vascolarizzata; l’ossigeno e le sostanze nutritive necessarie al lavoro muscolare arrivano per diffusione dai vasi dell’avventizia. L’elasticità della tonaca media contribuisce alla propagazione dell’impulso sistolico del cuore, favorendo il flusso del sangue nel torrente circolatorio e smorzandone la natura pulsata. Con l’avanzare dell’età le fibre elastiche tendono a deteriorarsi e sono sostituite da tessuto fibroso. In condizioni fisiologiche le cellule muscolari lisce contribuiscono a regolare l’attività motoria dei vasi, sono in grado di sintetizzare vari tipi di collagene, proteoamminoglicani ed elastina, e sono dotate di recettori per le LDL.

La tonaca avventizia è lo strato più esterno che avvolge i vasi arteriosi. È formata da connettivo fibrillare e/o elastico con cellule di origine mesenchimale. Nelle arterie di notevole calibro (>7 mm), la tonaca avventizia è costituita da cellule (solitamente fibrociti) e fibre collagene frammiste a numerose fibre elastiche che, al limite della tonaca media, si addensano a costituire la lamina elastica esterna, una membrana elastica fenestrata simile alla lamina elastica interna. Nelle arterie di media grandezza (2,5-6 mm), la tonaca esterna è costituita da tessuto connettivale fibrillare a fasci intrecciati, misti a fibre elastiche (in queste arterie assume una parte predominante la parte elastica e muscolare della tonaca media). Nelle arterie di piccole dimensioni (<2,5 mm), la tonaca avventizia è poco rappresentata e nei vasi più fini è costituita solo da poche cellule allungate e disposte parallelamente all’asse del vaso. Capillari e precapillari non presentano una tonaca avventizia, ma solo rare cellule mesenchimali chiamate periciti dalla funzione ignota.

STATINE E MORTALITÀ IN PREVENZIONE SECONDARIA

Il “Scandinavian Simvastatin Survival Study” (4S), i cui risultati sono stati pubblicati nel 1994, rappresenta una pietra miliare tra i numerosi trials clinici di prevenzione cardiovascolare secondaria con statine. Lo studio perseguiva l’obiettivo di valutare il beneficio della terapia con simvastatina (20-40 mg/die) in 4444 pazienti cardiopatici con valori molto elevati (secondo le linee-guida di oggi) di colesterolo plasmatico (LDL-C basale medio 187 mg/dl). Dopo 5.4 anni di terapia la mortalità totale si era ridotta del 30% (p<0,001) nei pazienti in simvastatina rispetto al gruppo in placebo, una riduzione quasi interamente dovuta alla diminuzione del 42% (p<0,001) della mortalità coronarica. Dieci anni più tardi, il follow-up a lungo termine dimostrava che i benefici della terapia con simvastatina sulla mortalità totale e cardiovascolare si mantenevano nel tempo.

Lo studio “Heart Protection Study” (HPS) rappresenta la seconda pietra miliare nella valutazione dell’efficacia delle statine nel ridurre la mortalità. Ha incluso più di 20000 pazienti ad alto rischio (con coronaropatia o altra vasculopatia aterosclerotica, o diabetici) trattati con simvastatina (40 mg/die) o placebo e seguiti per una durata media di 5 anni. Nel gruppo trattato con simvastatina, la mortalità totale è diminuita del 13% e la mortalità coronarica del 18%. Un messaggio chiave emerso dallo studio HPS è che la riduzione della mortalità era indipendente dai valori basali di LDL-C.

A riassumere i risultati di 26 trials di intervento con statine, che hanno incluso quasi 170.000 individui, ha provveduto una metanalisi pubblicata su Lancet nel 2010. I risultati evidenziano che maggiore era la riduzione di LDL-C, maggiore era la diminuzione della mortalità totale e coronarica; ad ogni 1 mmol/L (39 mg/dl) di riduzione di LDL-C corrispondeva una diminuzione del 10% della mortalità totale e del 20% della mortalità coronarica.

LA NOCCIOLA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Dette anche avellana, è il frutto del nocciolo, un albero molto diffuso in Italia dove cresce spontaneamente sia in pianura che in collina. Ne esistono molte varietà: la più pregiata è quella delle Langhe denominata “gentile tonda”. Le nocciole sono ampiamente impiegate in pasticceria nella produzione di torroni, torte, gelati. Ultimamente vengono proposte in molte diete per le loro indubbie qualità: 100 g. di nocciole contengono 13,8 g. di proteine e 64,1 g. di grassi di cui 5,20 g. polinsaturi e 38,62 monoinsaturi. Sono il frutto più ricco di vitamina E e di acido oleico (omega 9), rendendo questo alimento apprezzabile perché in grado di coprire il fabbisogno giornaliero di vitamina E con un’assunzione relativamente modesta. Molteplici studi hanno confermato come una porzione di 30 g. di nocciole possa influenzare positivamente il profilo lipidico. Trials svolti su bambini affetti da ipercolesterolemia omozigote hanno dimostrato una diminuzione del colesterolo LDL e un incremento del rapporto HDL-C/LDL-C . Particolarmente ricche di ferro, zinco, selenio e vitamine del gruppo B, le nocciole rappresentano un buon integratore alimentare con l’unica avvertenza di considerare il notevole valore calorico (655 Kcal per 100g.) e quindi limitarne quantitativamente il consumo.

 LA RICETTA. Torrone di nocciole

Ingredienti: 250 g. di nocciole, 250 g. di zucchero semolato. Tostare in forno le nocciole per dieci minuti. In un tegame versare lo zucchero con qualche cucchiaio d’acqua sino a formare un caramello. Unirvi le nocciole e versare il composto su di un foglio di carta da forno. Lasciare raffreddare e tagliare in pezzi. Buon appetito!

Kcal (per porzione g. 50): 315,9. Proteine: 3,45 g. Lipidi: 16,02 g; saturi 1,04 g; insaturi 1,3 g; monoinsaturi 9,65 g. Carboidrati: 27,65 g. Fibra: 2,02 g.

L’OBESITÀ È UN FATTORE DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE ANCHE IN ASSENZA DI MALATTIE METABOLICHE

Gli individui obesi o sovrappeso che non hanno malattie metaboliche presentano un rischio cardiovascolare maggiore dei normopeso. L’evidenza emerge da uno studio condotto da Neil Thomas dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito, i cui risultati sono stati pubblicati dal Journal of the American College of Cardiology. I ricercatori hanno esaminato i dati raccolti dal “The Health Improvement Network” (THIN) nel periodo 1995-2015, relativi a 3,5 milioni di adulti inizialmente sani dal punto di vista cardiovascolare; l’80.7 % non aveva malattie metaboliche (diabete di tipo 2, dislipidemia ipertensione).

Durante il follow-up di 5.4 anni si sono verificati 165.000 eventi cardiovascolari. Gli individui obesi metabolicamente sani avevano il 49% in più di probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari e quasi il doppio di andare incontro a insufficienza cardiaca rispetto agli individui normopeso senza anomalie metaboliche (Figura 1). Anche gli individui in sovrappeso senza anomalie metaboliche avevano un rischio maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari rispetto agli individui con peso normale.

D’altro canto, come peraltro atteso, in tutti gli individui, indipendentemente dalla categoria di peso, la presenza di malattie metaboliche aumentava significativamente il rischio cardiovascolare (Figura 2).

 

J Amer Coll Cardiol (IF=19.896) 70:1429, 2017

METFORMINA E ATEROSCLEROSI PRECLINICA NEL PREDIABETE

Il Diabetes Prevention Program and its Outcome Study (DPPOS), che ha coinvolto 3.234 persone con prediabete, aveva evidenziato come la metformina e l’adozione di corretti stili di vita avessero permesso di ridurre il rischio di sviluppare il diabete rispetto al placebo (N Engl J Med. 346:393, 2002). Una nuova analisi dei dati del DPPOS dimostra che la metformina rallenta la crescita delle calcificazioni aorto-coronariche (CAC). Nel nuovo studio, Ronald Goldberg della University of Miami e il suo team hanno esaminato i dati di 2.029 partecipanti al DPPOS. Al follow-up (14 anni) i ricercatori non hanno riscontrato differenze nella formazione di CAC tra il gruppo placebo e i gruppi che si sono sottoposti solo a un cambiamento dello stile di vita. È stato invece osservato che solo il 75% degli uomini in trattamento con metformina mostrava CAC, rispetto all’84% degli uomini del gruppo placebo; inoltre, la gravità delle CAC era inferiore nel gruppo di pazienti trattati con metformina (39,5 vs. 66,9 AU). Tali differenze sono state registrate solo nei soggetti di sesso maschile, mentre non è stato osservato nessun effetto nelle donne.

Questi risultati forniscono la prima prova che la metformina può proteggere dall’aterosclerosi coronarica negli uomini con prediabete, anche se è necessaria una dimostrazione che la metformina riduce anche gli eventi cardiovascolari in questi soggetti (come avviene nei pazienti diabetici) prima di poter formulare qualsiasi ipotesi terapeutica. Come osservano i ricercatori in una nota, la metformina potrebbe contribuire a ridurre le CAC migliorando la funzionalità endoteliale e migliorando il profilo lipidico dei pazienti, nonché riducendo l’infiammazione. Il differente effetto tra uomini e donne potrebbe essere riconducibile a interazioni ormonali; è stato infatti dimostrato che la metformina riduce i livelli di testosterone negli uomini, ma non nelle donne.

Circulation (IF=19.309) 136:52, 2017

RIGIDITÀ ARTERIOSA. IL SIGNIFICATO PROGNOSTICO DELLA “PULSE WAVE VELOCITY” AORTICA

Un gran numero di studi prospettici ha dimostrato in maniera chiara come la rigidità arteriosa, valutata misurando la PWV aortica (vedi articoli precedenti su www.centrogorssipaoletti.org) abbia una forte relazione con la futura insorgenza di malattie cardiovascolari, relazione almeno in parte indipendente dall’effetto confondente di altri fattori di rischio cardiovascolare.

Valga per tutti un’analisi del famoso studio di Framingham (Circulation 121: 505, 2010) che dimostra come una PWV carotido-femorale elevata si associa a un aumento del 46% del rischio di sviluppare un evento cardiovascolare, anche dopo avere corretto per l’effetto di età, sesso, pressione arteriosa sistolica, terapia anti-ipertensiva, colesterolo totale e HDL, fumo e diabete (Figura). Inoltre, l’aggiunta della PWV a un modello che include i fattori di rischio sopra riportati è in grado di migliorarne significativamente la capacità predittiva dell’insorgenza di eventi cardiovascolari.

Esistono tre ipotesi per spiegare perché la rigidità arteriosa sia un predittore di rischio cardiovascolare così potente. 1) la rigidità arteriosa potrebbe favorire l’insorgenza di malattie cardiovascolari indipendentemente dai fattori di rischio tradizionali; 2) la rigidità arteriosa potrebbe semplicemente rappresentare un marcatore integrato dell’effetto dei fattori di rischio sulla parete arteriosa, ed essere più strettamente correlata ai futuri eventi cardiovascolari rispetto agli stessi fattori di rischio misurati occasionalmente; 3) visto che l’ateroma altera le proprietà meccaniche della parete arteriosa, la rigidità arteriosa potrebbe rappresentare una misura dell’entità dell’aterosclerosi aortica.