COS’È LA CURCUMINA?

La curcumina appartiene alla famiglia dei curcuminoidi, polifenoli vegetali presenti nella curcuma, una spezia di comune impiego in diverse cucine e medicine tradizionali asiatiche, estratta dalla radice della Curcuma longa (genere Zingiberaceae). I principali curcuminoidi presenti nella curcuma sono la curcumina o diferuloil-metano (70-85%) e i suoi analoghi biologicamente attivi, la dimetossicurcumina o curcumina II (circa il 17%) e la bi-dimetossicurcumina o curcumina III (circa il 6%) (Figura). I curcuminoidi hanno diversi possibili effetti benefici sulla salute; tra questi spiccano quelli anti-infiammatori, anti-ossidanti, ipolipemizzante e ipoglicemizzante. Studi sperimentali e clinici hanno confermato la sicurezza dell’assunzione della curcumina, con conseguente approvazione del suo impiego da parte della Food and Drug Administration (FDA). Nell’uomo stati somministrati sino a 12 g/die di curcumina per via orale per un periodo di quattro mesi, in assenza di tossicità; solo alle dosi più elevate sono stati descritti modesti effetti collaterali, per lo più di tipo gastrointestinale (diarrea, nausea, colorazione giallastra delle feci). Ad oggi, la maggior parte dei dati disponibili sull’efficacia terapeutica dei curcuminoidi proviene da studi sperimentali in modelli animali; gli studi clinici effettuati sono per lo più osservazionali e basati su casistiche di dimensioni ridotte. Nelle prossime settimane discuteremo gli effetti metabolici dei curcuminoidi e l’impatto degli stessi sul danno vascolare.

Giornale Italiano dell’Arteriosclerosi 8:90, 2017

CAPPUCCINO E BRIOCHE…O…LATTE E FETTE BISCOTTATE?

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

La colazione è il pasto più importante: dopo il lungo digiuno notturno è la carica per affrontare una nuova giornata. Come in tutti pasti non devono mancare i tre componenti principali: proteine, carboidrati e lipidi. Ecco due classiche colazioni italiane….

LA PRAVASTATINA RIDUCE LA MORTALITÀ IN PREVENZIONE PRIMARIA

Vi chiederete: dov’è la novità? Beh, questo è lo studio più lungo mai condotto con una statina e dimostra, una volta di più, che ridurre il colesterolo fa bene al cuore e ai vasi, anche in prevenzione primaria.

Il WOSCOPS (West Of Scotland Coronary Prevention Study) è uno studio randomizzato, controllato versus placebo, iniziato negli anni ’90 e durato circa 5 anni. Aveva arruolato 6.595 soggetti di sesso maschile, di età compresa tra i 45 e i 64 anni, randomizzandoli a pravastatina 40 mg/die o placebo. Oggi viene proposta un’analisi post-hoc che ha interessato 5.529 partecipanti senza evidenza di patologie cardiovascolari al reclutamento, seguiti per un totale di 20 anni. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: con colesterolo LDL < 190 mg/dl (2.969 soggetti con LDL medio di 178±6 mg/dl) o colesterolo LDL ≥ 190 mg/dl (2.560 soggetti con un colesterolo LDL medio di 206±12 mg/dl) al momento della randomizzazione. Nei soggetti trattati con pravastatina la mortalità per coronaropatia, per cause cardiovascolari e per tutte le cause nell’arco dei 20 anni di follow-up si è ridotta rispettivamente del 22%, del 17% e del 12%. Il beneficio è stato doppio nei soggetti con LDL ≥ 190 mg/dl (-28%, -25% e -18%) rispetto a quelli con LDL < 190 mg/dl (-16%, -9%, -7%).

Circulation (IF=19.309) 2017 Sep 6. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.117.027966.

DIABETE. IN ITALIA 3,2 MILIONI DI MALATI

L’ultimo rapporto ISTAT certifica che la prevalenza di diabete in Italia è quasi raddoppiata in trent’anni. Nel 1980 il 2,9% della popolazione soffriva di diabete, nel 2016 i malati sono il 5,3% dell’intera popolazione (il 16,5% fra le persone di 65 anni e oltre). Anche rispetto al 2000 i diabetici sono 1 milione in più. L’aumento è dovuto sia all’invecchiamento della popolazione che ad altri fattori, tra cui l’anticipazione della diagnosi (che porta in evidenza casi prima sconosciuti) e l’aumento della sopravvivenza dei malati di diabete. Confrontando le generazioni, nelle coorti di nascita più recente la quota di diabetici aumenta più precocemente che nelle generazioni precedenti, a conferma di una progressiva anticipazione dell’età in cui si diagnostica la malattia. Nell’ultimo decennio, poi, la mortalità per diabete si è ridotta di oltre il 20% in tutte le classi di età.
Il diabete è una malattia fortemente associata allo svantaggio socioeconomico. Tra le donne le disuguaglianze sono maggiori in tutte le classi di età: le donne diabetiche di 65-74 anni con laurea o diploma sono il 6,8%, le coetanee con al massimo la licenza media il 13,8% (i maschi della stessa classe di età sono rispettivamente il 13,2 e il 16,4%). Lo svantaggio socioeconomico si conferma anche nella mortalità ed è più evidente nelle donne, al contrario di quanto si osserva per le altre cause di morte: le donne con titolo di studio basso hanno un rischio di morte 2,3 volte più elevato delle laureate.
Il diabete è più diffuso nelle regioni del Mezzogiorno dove la prevalenza è del 5,8% contro il 4,0% del Nord. Anche per la mortalità il Mezzogiorno presenta livelli sensibilmente più elevati per entrambi i sessi.
Obesità e sedentarietà sono rilevanti fattori di rischio per la malattia diabetica. Tra i 45-64enni la percentuale di persone obese che soffrono di diabete è al 28,9% per gli uomini e al 32,8% per le donne (per i non diabetici rispettivamente 13,0% e 9,5%). Nella stessa classe di età il 47,5% degli uomini e il 64,2% delle donne con diabete non pratica alcuna attività fisica nel tempo libero.

MALATTIE GENETICHE DELLE HDL – DEFICIT DI LCAT

La lecitina:colesterolo aciltransferasi (LCAT) è una glicoproteina di 416 aminoacidi, sintetizzata nel fegato e secreta nel plasma, dove catalizza la reazione di esterificazione del colesterolo. L’LCAT trasferisce l’acido grasso in sn-2 della lecitina all’ossidrile in 3 del colesterolo, con formazione di colesterolo esterificato e lisolecitina. Circa il 75% del colesterolo plasmatico è in forma esterificata, che deriva quasi interamente dall’azione dell’LCAT. L’LCAT gioca anche un ruolo fondamentale nella maturazione delle HDL, e contribuisce a determinarne composizione, struttura, metabolismo e concentrazione plasmatica.

Nell’uomo, il gene che codifica per l’LCAT è localizzato sul cromosoma 16 (regione 16q22). Sono state identificate quasi 100 diverse mutazioni nel gene LCAT (www.lcat.it), che in omozigosi causano due malattie rare delle HDL: Familial LCAT Deficiency (FLD, OMIM# 245900) e Fish-Eye Disease (FED, OMIM# 136120), entrambe caratterizzate da livelli plasmatici di HDL fortemente ridotti (ipoalfalipoproteinemia). Nei pazienti con FLD, l’LCAT non viene sintetizzato o è completamente inattivo, e la quasi totalità del colesterolo plasmatico è in forma non esterificata. L’accumulo di colesterolo non esterificato in vari tessuti è responsabile delle manifestazioni cliniche, che includono opacità corneale progressiva (figura), anemia e glomerulosclerosi focale, che progredisce rapidamente a insufficienza renale (dalla terza-quarta decade d’età), con necessità di terapia emodialitica ed eventualmente trapianto renale. Nei pazienti con FED, l’attività dell’LCAT è parzialmente ridotta e la concentrazione di colesterolo esterificato nel plasma è solo lievemente diminuita rispetto alla norma. Il fenotipo clinico è generalmente meno grave che nei casi di FLD. Nonostante la grave ipoalfalipoproteinemia, i pazienti con FLD, ma non quelli con FED, non sembrano esposti a un elevato rischio cardiovascolare.

VITAMINA D E MALATTIE CARDIOVASCOLARI – 1 – COS’È LA VITAMINA D?

Il termine vitamina D identifica un gruppo di molecole liposolubili a nucleo steroideo con anello “aperto” (figura), le cui forme principali sono l’ergocalciferolo, o vit. D2, e il colecacliciferolo, o vit. D3.

Il termine “vitamina” (che sta a indicare una sostanza indispensabile alla vita che l’organismo non può produrre e pertanto deve essere assunta con gli alimenti) è in questo caso improprio, in quanto la pelle è in grado di sintetizzare vit. D3 a partire dal 7-deidrocolesterolo, per rottura fotochimica prevalentemente ad opera dei raggi ultravioletti. La capacità della pelle di produrre vit. D3 diminuisce con l’età, la pigmentazione e l’uso di filtri solari, ed è influenzata da stagione, distanza dall’Equatore, altitudine e livello di inquinamento. La vit. D3 è pure presente nel pesce e nel rosso d’uovo. La vit. D2 viene invece prodotta dai vegetali per irradiazione di uno sterolo di membrana, l’ergosterolo.

Le vitamine D2 e D3 sono biologicamente inerti e debbono essere attivate da una serie di idrossilazioni; la prima, ad opera del fegato, produce 25-idrossivit. D, che viene poi convertita alla forma attiva 1,25-idrossivit. D nel rene (figura).

La vit. D favorisce l’assorbimento intestinale di calcio e fosforo, il riassorbimento renale di calcio e i processi di mineralizzazione ossea. La carenza di vit. D pertanto diminuisce l’assorbimento intestinale e il riassorbimento renale di calcio, con conseguente aumento dei livelli di paratormone (PTH), attivazione degli osteoclasti e demineralizzazione ossea.

La condizione di carenza di vit. D viene definita monitorando i livelli serici del metabolita inattivo 25-idrossivit. D, che ha un’emivita decisamente più lunga della forma attiva 1,25-idrossivit. D (settimane vs ore), e fornisce una stima dell’effetto combinato di produzione cutanea e assunzione alimentare. Le linee guida correnti indicano valori <20 ng/ml inadeguati a mantenere un adeguato metabolismo osseo, e indicativi di una condizione di deficit di vit. D. Tale deficit si manifesta con una vaga costellazione di sofferenze e dolori muscolo scheletrici, associata a ridotti livelli serici di calcio e fosforo, e aumento della fosfatasi alcalina e del PTH.

J Amer Coll Cardiol (IF=19.896) 70:89, 2017

OBESITÀ NEL MONDO. L’ITALIA TRA I PAESI VIRTUOSI

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), ha recentemente pubblicato il rapporto “Obesity Update 2017”, con l’obiettivo di aggiornare i dati sulla prevalenza dell’obesità nei Paesi Ocse e a livello mondiale, e di fornire delle proiezioni al 2030 di come questa epidemia globale evolverà.

Nel 2015 il 19,5% degli adulti dell’area Ocse era obeso. Questo tasso varia da meno del 6% in Corea e Giappone a più del 30% in Ungheria, Nuova Zelanda, Messico e Stati Uniti. Più di un adulto su quattro è obeso in Australia, Canada, Cile, Sud Africa e nel Regno Unito. In Italia meno di uno su dieci.

 

 

 

Dagli anni ’90 in poi la prevalenza di obesità è cresciuta in Canada, Francia, Messico, Svizzera e Stati Uniti, mentre è stabile per Inghilterra, Italia, Corea e Spagna. Nella maggior parte dei Paesi (ma non in Italia) la prevalenza di obesità è maggiore nelle donne che negli uomini. Tuttavia l’obesità maschile sta crescendo più rapidamente.
La quota di bambini in sovrappeso o obesi all’età di 15 anni varia dal 10% in Danimarca al 31% negli Stati Uniti. L’Italia, con il 15,5% si pone esattamente sulla media Ocse. Nonostante le politiche messe in atto in molti Paesi Ocse il numero di quindicenni in sovrappeso o obesi è aumentato costantemente dal 2000 nella maggior parte dei Paesi.
Le disuguaglianze sociali hanno un peso rilevante nel determinare sovrappeso e obesità, soprattutto tra le donne. Nella metà dei Paesi per i quali sono disponibili dati in questo tipo, le donne con bassi livelli di istruzione hanno due o tre volte più probabilità di essere in sovrappeso di quelle che hanno un livello di istruzione superiore.
Le persone obese hanno minori prospettive di lavoro rispetto alle persone di peso normale; sono meno produttive a causa del maggior numero di giorni di malattia e del minor numero di ore lavorate e guadagnano circa il 10% in meno rispetto alle persone non obese.
Per il futuro, le proiezioni dell’Ocse mostrano un costante aumento dell’obesità fino al 2030 e in particolare la prevalenza di obesità aumenterà negli Stati Uniti, Messico e Inghilterra, dove il 47%, il 39% e il 35% della popolazione è previsto sarà obesa. Al contrario, l’aumento dovrebbe essere più contenuto in Italia e in Corea, con tassi di obesità proiettati rispettivamente al 13% e al 9% nel 2030.

http://www.oecd.org/health/obesity-update.htm

GLI STEROIDI ANABOLIZZANTI FANNO MALE AL CUORE

Milioni di persone al Mondo utilizzano illecitamente steroidi anabolizzanti (SA), inclusi testosterone e i suoi derivati sintetici, per aumentare la massa muscolare o per motivi estetici. Il consumo di anabolizzanti è cresciuto a partire dagli anni ’80 e quindi un considerevole numero di consumatori “cronici” si trova ora nella mezz’età, quando in genere compaiono i primi effetti secondari di un loro uso prolungato, in particolare a carico del sistema cardiocircolatorio.

I ricercatori Massachusetts General Hospital di Boston coordinati da Aaron L. Baggish hanno condotto uno studio di coorte trasversale, reclutando 140 soggetti di sesso maschile di età compresa tra 34 e 54 anni, di cui 86 utilizzavano da oltre 2 anni SA e 54 che non li utilizzavano. Hanno valutato la funzionalità ventricolare con ecocardiografia transtoracica e l’aterosclerosi coronarica con TC coronarica. Rispetto ai non utilizzatori, chi assumeva SA presentava una ridotta funzione sistolica (FE: 52 ± 11% vs. 63 ± 8%, P <0,001) e diastolica (velocità di rilassamento precoce: 9,3 ± 2,4 cm/s vs. 11,1 ± 2,0 cm/s, P <0,001) del ventricolo sinistro. Gli utilizzatori di SA presentavano anche una maggiore estensione dell’aterosclerosi coronarica, che correlava con la durata di esposizione a SA. L’utilizzo di SA si associa quindi a disfunzione cardiaca e aterosclerosi precoce. Visto il crescente consumo di AS tra gli atleti non professionisti e la popolazione in generale, è bene che i medici prestino maggior attenzione agli effetti negativi di tali sostanze e che si mettano in atto politiche sanitarie volte a scoraggiarne l’uso.

Circulation (IF=19.309) 135:1991,2017

IL CACHI

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

Spesso viene erroneamente chiamato “caco” al singolare, laddove la corretta espressione è “cachi” tanto al singolare quanto al plurale, valida sia per il frutto che per l’albero. I cinesi hanno chiamato il cachi l’albero delle sette virtù: fa molta ombra, il suo fogliame è un ottimo concime, è molto longevo, la sua chioma ha fantastici colori decorativi, non viene attaccato dai parassiti, è una buona fonte di legna da ardere, offre un buon habitat per la nidificazione di molti uccelli. Il frutto del cachi è soffice, dolcissimo e simboleggia l’autunno. È molto energetico apportando 70 kcal. ogni 100 gr.; è infatti formato dal 18% di zuccheri. Questa caratteristica lo rende un frutto che, nel passaggio stagionale, può apportare una sferzata di energia, magari consumandolo a colazione, benché rimanga sconsigliabile ai diabetici e alle persone sovrappeso. Il quantitativo di acido ascorbico varia fino a raggiungere la quantità di 50 mg. nella sua massima maturazione. Ricco di beta-carotene, precursore della vitamina A, grazie all’azione sinergica del licopene e delle xantine, può svolgere una funzione antiossidante. Il frutto acerbo è ricco di tannini che, avendo proprietà astringenti, determinano la caratteristica sensazione di allappamento al palato. I cachi hanno proprietà diuretiche e depurative dovute alla presenza di un buon quantitativo di potassio.

LA RICETTA. Muffin di cachi
Ingredienti: 3 cachi maturi, 250 g. di farina 00, 140 g. di zucchero, 15 g. di cacao amaro, 2 uova, 1 cucchiaino di lievito,70 ml di olio extravergine di oliva. Lavare i cachi e tagliarli a pezzetti, versarli in una pentola con 40 g. di zucchero e cuocere a fiamma bassa per 15 minuti, quindi frullare fino ad ottenere una crema. Montare le uova con lo zucchero rimasto, unire l’olio, la farina setacciata, il cacao amaro, l’olio e in ultimo la crema di cachi. Versare negli appositi stampini e infornare a 170° per 20 minuti. Buon appetito!

Kcal (per porzione): 207,39. Proteine: 4,35 g. Lipidi: 7,53 g; saturi 0,43 g; insaturi 0,63 g; monoinsaturi 4,74 g. Carboidrati: 32,58 g. Fibra: 1,21 g.

MALATTIE GENETICHE DELLE HDL – DEFICIT DI ABCA1 (MALATTIA DI TANGIER)

Esistono due gruppi di malattie genetiche rare a carico del sistema HDL: l’ipoalfalipoproteinemia familiare, caratterizzata da una riduzione o completa assenza di HDL nel sangue, e l’iperalfalipoproteinemia familiare, caratterizzata invece da marcato aumento delle HDL nel sangue. Entrambe sono geneticamente eterogenee, causate cioè da mutazioni in geni diversi, che codificano per proteine coinvolte nel metabolismo delle HDL.

Il gene ABCA1 è localizzato sul cromosoma 9 (9q31) e codifica per il trasportatore ABCA1, una proteina di membrana di 2261 residui aminoacidici appartenente alla famiglia dei trasportatori ABC (ATP Binding Cassette), coinvolta nel processo di rimozione del colesterolo dalle cellule (vedi articolo del 17/07).

Ad oggi sono state descritte più di 170 mutazioni del gene ABCA1, che aboliscono la capacità del trasportatore di promuovere la rimozione di colesterolo cellulare. Nella condizione di omozigosi (quando un individuo eredita due alleli mutati), mutazioni del gene ABCA1 causano un’ipoalfalipoproteinemia familiare a trasmissione recessiva chiamata malattia di Tangier (TD, OMIM #205400), dal nome dell’isola al largo delle coste della Virginia (USA) da dove proveniva il primo caso identificato nel 1960.
Nei soggetti affetti la perdita di funzionalità di ABCA1 provoca l’accumulo di colesterolo (soprattutto esteri del colesterolo) in molti tessuti, principalmente tonsille (che appaiono ingrossate e con una tipica colorazione giallo-arancio, figura), fegato, milza e linfonodi. Il profilo lipidico si caratterizza per un’assenza quasi completa di HDL e una moderata ipertrigliceridemia; in particolare, le HDL sferiche e mature sono totalmente assenti, e le poche HDL presenti nel plasma sono discoidali, immature, di tipo pre-beta. Il rischio cardiovascolare è elevato.

Nei soggetti eterozigoti, che quindi hanno ereditato un solo allele mutato, il valore di HDL colesterolo nel sangue è pressoché dimezzato rispetto alla norma, con particelle HDL di piccole dimensioni. Tale condizione non si associa a un fenotipo clinico, e il rischio cardiovascolare è modestamente aumentato.